Il Living Planet Report 2014, il prestigioso documento biennale del WWF sullo stato di salute del pianeta Terra e sul consumo delle risorse, ci mette di fronte a dati allarmanti sul nostro malato globo. Ad esempio, dal 1970 ad oggi, pesci, uccelli, mammiferi, anfibi e rettili sono diminuiti del 52%, mentre la domanda di risorse dell’umanità è di oltre il 50% maggiore di ciò che i sistemi naturali sono in grado di rigenerare: “stiamo tagliando legname più rapidamente di quanti alberi riescano a ricrescere, pompiamo acqua dolce più velocemente di quanto le acque sotterranee riforniscano le fonti e rilasciamo CO2 più velocemente di quanto la natura sia in grado di sequestrare”. Se la popolazione globale avesse lo stesso tenore di vita degli italiani, servirebbero 2,6 pianeti, se avesse quello degli USA, 3,9.
I dati sulla fame e il deficit idrico sono impressionanti: quasi un miliardo di persone si alimenta in modo insufficiente e precario, quasi 800 milioni hanno sete e 1,4 miliardi non hanno accesso all’energia elettrica. Ecco che, allora, prima della catastrofe, è indispensabile: “Produrre meglio, ridurre gli input di energie e materie prime e la produzione di rifiuti, gestire in maniera sostenibile le risorse, rafforzare la produzione di energie rinnovabili”. Ben vengano, dunque, tutte quelle iniziative, che, a cominciare dai comportamenti “virtuosi” nella vita quotidiana, fino alle ricerche e alle sperimentazioni in campo industriale, possano dare il segnale di un indifferibile cambiamento di rotta.
La cultura e l’arte sono spesso precorritrici e denunciatrici di quello che poi la scienza e la politica riescono a constatare, magari quando è troppo tardi. Michelangelo Antonioni, nel lontano 1964, in quel capolavoro che è Deserto Rosso, ambientava la rappresentazione del mondo nevrotico e della realtà dissociata del “miracolo economico”, in un paesaggio industriale desertificato, dove agli arcaici orizzonti agricoli si contrapponeva un’industrializzazione devastante. Lo scenario era Ravenna, città tradizionalmente considerata “bella addormentata” o “douce morte”, paga della sua storia e della sua arte millenarie e risvegliata traumaticamente dal coacervo di impianti chimici e di raffinerie che avevano creato un immedicabile iato tra la città, il mare e la sua campagna. “Perché quel fumo è giallo?”, “Ma allora se un uccellino passa lì in mezzo muore?”, così il bimbo Valerio, chiedeva, nel film, alla mamma, Monica Vitti. Ora, nell’area dove sorgevano gli impianti petrolchimici, sono rimaste due monumentali torri Hammon, ormai testimonianza di archeologia industriale, e qui dovrebbe sorgere una “Cittadella della nautica”, ma finora, anche per le note ristrettezze economiche dei Comuni, non si è potuto far niente.
Dove, invece, si è mosso molto, è stato, sempre nel ravennate, nell’area nord, dove sorge la TRE – Tozzi Renewable Energy, che sviluppa progetti e gestisce impianti nell’ambito delle risorse rinnovabili (idroelettrico, eolico, fotovoltaico e biomasse). In un mondo dove gli industriali s’improvvisano politici, o si trasformano in speculatori finanziari rendendosi sempre più estranei a quello che producono, la storia dei Tozzi risulta esemplare per la continuità di esperienze e competenze. Tutto cominciò agli inizi del ‘900 nelle colline appenniniche di Casola Valsenio, paese di origine della famiglia, quando l’energia elettrica era ancora un sogno che Domenico Tozzi, nonno di Franco e bisnonno di Andrea, volle far diventare realtà, sfruttando le esigue e precarie risorse idriche di quel torrente-fiume che è il Senio, integrate poi da un motore diesel. Anche dopo le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, i Tozzi non si arresero e scegliendo tra i residuati bellici riuscirono a realizzare una turbina idraulica, assistita dal motore di un trattore. Così, nel 1950, i casolani poterono aprire addirittura il Cinema Senio, anche se le proiezioni dipendevano dalla “generosità” del loro corso d'acqua. Ma in quegli anni critici, la difficoltà a ricostituire un’agricoltura redditizia con i relativi scambi commerciali, indusse un progressivo spopolamento delle campagne e anche Arturo Tozzi lasciò le amate colline per inurbarsi a Ravenna come operaio presso la Sarom, gestendo, contemporaneamente, un piccolo negozio di materiale elettrico. Franco e Mario, figli di Arturo, fecero poi quel salto di qualità che avrebbe portato ai vertici attuali. Dall’elettrotecnica si passò all’elettronica, da Ravenna all’Italia, poi all’Africa, al Giappone, in un percorso apparentemente inarrestabile.
Per approfondire il significato e le prospettive di un'azienda che si ripropone di investire in fonti rinnovabili e in ricerca e sviluppo, mi sono rivolto ad Andrea Tozzi, ultimo “germoglio” della famiglia e amministratore delegato della società, chiedendogli di parlarmi della realtà aziendale attuale.
Oggi nell'azienda confluiscono storia e memoria fortemente condivisi in tratti comuni: innovazione, spirito d’impresa e sfida tecnologica. Il gruppo è oggi attivo in Italia e all’estero nei comparti dei servizi industriali e delle energie rinnovabili. Il processo di crescita del gruppo ha determinato un’ampia diversificazione di servizi e prodotti, orientando di fatto la sua strategia di crescita sui principi di uno sviluppo sostenibile e di un uso consapevole delle risorse energetiche, investendo molto in ricerca.
Come si sente nel ruolo di responsabile della continuità di una tradizione familiare così impegnativa?
Ho accettato la sfida della mia famiglia e non mi sono tirato indietro; anche se mi sento addosso tante responsabilità che comportano molti sacrifici e rinunce, voglio continuare nel solco della tradizione e metterci poi qualcosa di nuovo. Il futuro energetico dipenderà sempre di più dalle fonti rinnovabili, per questo credo e investo nella ricerca. Sono orgoglioso del nostro dipartimento di ricerca, impegnato in diversi progetti finalizzati alla generazione distribuita e all’accumulo di energia rinnovabile. L’obiettivo ultimo che ci proponiamo di perseguire è quello di superare i limiti intrinseci delle fonti energetiche rinnovabili dovuti in primo luogo alla non programmabilità della loro produzione energetica. L’accumulo di energia consente infatti di ottimizzare l’impiego delle fonti rinnovabili, rendendole fruibili a richiesta dell’utente, mentre la generazione distribuita minimizza le dispersioni energetiche in rete, attenuando l’impatto ambientale.
Quali sono i principali progetti in cantiere?
Siamo impegnati in diversi ambiti, dalla realizzazione di celle fotovoltaiche semitrasparenti alla progettazione delle cosiddette smart windows, finestre intelligenti, dotate di un rivestimento che fornisce un controllo selettivo sulla luce visibile e sulla trasmissione di calore, in modo da massimizzare il risparmio energetico e il comfort degli ambienti interni. Si tratta di progetti che trovano la loro applicazione nell’integrazione architettonica e finalizzati al risparmio e all’efficienza energetica. Siamo attivi nello sviluppo di sistemi di accumulo di energia di tipo elettrochimico, da affiancare a impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile. Un altro ambito di ricerca per noi molto importante è quello della mobilità sostenibile in cui stiamo sviluppando dei progetti che prevedono l’impiego di idrogeno per lo stoccaggio e la produzione di energia. La nostra ricerca è attiva anche in un progetto di fitodepurazione da microalghe per la produzione di biocombustibili e biogas e la depurazione di reflui civili e agro zootecnici.
E a Ravenna avete realizzato un Pratopascolo fotovoltaico con un caseificio. Anche questa è un’innovazione?
L’obiettivo è stato quello di realizzare un impianto fotovoltaico cercando di valorizzare al contempo il contesto locale e proponendo per la prima volta in Italia una funzionale integrazione tra pannelli fotovoltaici e attività agricole e zootecniche. Proprio per questo motivo lo si può definire a pieno titolo “Prato Pascolo Fotovoltaico”: l’allevamento ovino è tecnicamente connesso all’impianto. Gli ovini infatti pascolano anche sotto i pannelli, contribuendo al mantenimento del manto erboso. È stato realizzato un vero e proprio caseificio che produce oltre 600 litri di latte al giorno e oltre venti specialità casearie, tra formaggi stagionati e freschi.
Questa realizzazione ha avuto anche un forte impatto educativo, con visite di scolaresche, che vengono sensibilizzate a un approccio ecologico all'agricoltura e all'allevamento.
Proprio con questo intento, abbiamo distribuito gratuitamente alle ultime classi elementari di Ravenna e provincia una pubblicazione illustrata, che io e mio padre Franco, abbiamo presentato così: “E' un libro per bambini, una favola antica e moderna allo stesso tempo. Una storia che lambisce il senso più antico della terra e quello più evoluto della tecnologia. Ci affidiamo ai bambini, alla loro capacità di coinvolgere, entusiasmarsi, di scalare le montagne, affinché anche gli adulti, le famiglie, possano beneficiare del loro trasporto, leggere queste pagine, entrare in sintonia con l'energia della natura”.