Il “dolce” è una scoperta dell’uomo da quando nella sua protostoria, assaggiando un chicco d’uva o un fico, è rimasto conquistato da quella nuova sensazione strana, ben diversa da quella di erbe e radici che alternava alla carne cruda, unici nutrimenti della sua dieta. Ma anche adesso è una rivelazione per gli uomini che, crescendo, scoprono il “dolce” nei primi cibi, diversi dal latte materno, nel quale il lattosio, lo zucchero del latte, dolce non è. Una volta scoperto, per il resto della vita gli uomini conviveranno con il “dolce”, quasi sempre ingrediente dei nutrimenti, ma l’apprezzano e lo cercano anche per solo edonismo.
Istintivamente, il “dolce” viene collegato allo zucchero o al miele, due prodotti tanto a portata di mano che, come gli altri altrettanto usuali, vengono poco considerati. Invece, a chi volesse indagare il mondo del dolce, si aprono risvolti affascinanti a partire dal miele, il primo vero dolcificante presente, da sempre, in tutte le civiltà di ogni tempo e in tutte le latitudini, esclusi - forse - gli Eschimesi. Si scopre che bisogna risalire a sette-otto millenni ante Cristo per trovare nei graffiti i primi documenti quando, osservando gli orsi, l’uomo aveva preso a imitarli rubando il miele alle feroci api selvagge. Saranno gli Egizi a scoprire l’uso del fumo per placarne l’ira e addomesticarle approntando per loro le prime arnie mobili da spostare lungo il Nilo per offrire alle api il variare delle fioriture durante le stagioni.
Il loro miele, unico dolcificante di rilievo, divenne così risorsa, merce di scambio, pagamento dei tributi, segno di ricchezza e benessere – una terra dove scorrono latte miele, promette Iddio agli Ebrei mentre già presso i Sumeri e altre popolazioni, nella valle fra Tigre ed Eufrate, già avevano dimestichezza con certi dolcetti fatti con farina, sesamo e miele le cui ricette tuttora comuni fra i … discendenti, sono giunte fino a noi. Né mancavano le frodi tanto che nel Codice di Hammurabi, fra le molte norme, sono indicate quali fossero le pene, sicuramente più efficaci di una multa. Più vicini a noi, i Greci ritenevano che Dioniso neonato fosse cresciuto a miele e chicchi d’uva, e μέλισσα era ogni sacerdotessa di Demetra, la Grande Madre; gli dei bevevano ambrosia, acqua profumata, nettari e miele, imitata dai mortali che avevano trovato il modo di rendere attraente il loro vino rendendolo più accettabile con l’infusione di essenze vegetali e miele per poi accompagnarlo a certi loro dolcetti come quelli citati ne Gli Arcanesi di Aristofane.
Il culto del miele passerà a Roma dove gli schiavi costosi, dopo i retori greci comprati quali precettori, erano quelli che sapevano curarsi delle api e trarne il miele che, a tavola, era accostato a carni, pesce, formaggio, cacciagione, uova o legumi ed era integrante nei dolci fatti di farina, fichi, noci, mandorle e quant’altro vive ancora in certe preparazioni tradizionali di molte aree d’Italia. Di altrettanta cura e attenzione, il miele sarà oggetto nel medioevo europeo, a partire da Carlo Magno che in ogni azienda agricola vuole si pratichi l'apicoltura o dagli Imperatori di Germania che concedono privilegi agli apicoltori. Ma sarà la Chiesa a esaltare il ruolo delle api e dei loro prodotti. Si pensi agli exultet, lunghe pergamene istoriate contese da vescovi e abati per possedere le più belle da srotolare e recitare cantando la gioia del compiuto mistero pasquale. Affascinante e osservata nei secoli, le api e la loro vita, nelle varie culture sono diventate modello di società, messaggeri e tramite con le divinità antiche, fonte per poeti e letterati, oggetto di proverbi o di aneddoti fino ad essere elevate a simboli religiosi nel cristianesimo.
Eppure, stranamente e nonostante la grande attenzione, solo nel XVI secolo si indaga l’anatomia delle api e si scoprono i ruoli (regina - fino ad allora ritenuta un Re -, fuchi, operaie). Furono curiosità scientifiche più che indagini tecniche nel momento in cui, dopo la scoperta del Nuovo Mondo, il miele perde importanza e passa in secondo piano con l’arrivo dello zucchero di canna caraibico, più “pratico” ed economico, e che segnalerà la fine della fortuna di Venezia, fino al momento unica, a importarlo dall’Oriente.
Ma quella dello zucchero è un’altra storia tutta da scoprire fra l’epopea dei pirati, la vergogna dei tre secoli dello schiavismo e i risvolti economici e sociali dal blocco napoleonico alle ultime direttive della Comunità europea. Misteriosa nell’antichità, invece, fu la mitica manna biblica che cadde dal cielo durante l’esodo degli Ebrei per scomparire alla fine del loro viaggio. “Man-hu” si chiedevano - cos’è ? - e, da allora, quanti si arrovellano non sono ancora riusciti a chiarire cosa fosse quell’inesplicabile materia nutriente, dolce e… benedetta. Da quel “man-hu”, il nome della manna vive lungo la storia pur se associato a cose le più varie ma, soprattutto oggi, si riferisce quella tratta dal frassino che, a Castelbuono e Pollina, in Sicilia, è nuovamente oggetto di una ripresa produzione destinata agli impieghi non solo nella erboristeria e nella medicina popolare ma è tornata alla ribalta anche nell’arte pasticcera.
Il fascino di questa manna traspare nella descrizione dei gesti dei mannaloru che hanno personalizzato ’a muddia (il frassino) al quale, con grande attenzione perché altrimenti ’a muddia stuona (stordisce), e con atti di dolce affetto, incidono ’u cuozzu (il collo),’a schina,’u piettu per raccoglierne ’u sangu. Conoscere questo mondo, - api, miele, manna - e apprezzare il valore storico, culturale, economico, alimentare o edonistico significa mantenere in vita, e non perdere, la civiltà sottesa che magari, inconsciamente, è quella di cui portiamo addosso i risvolti.