Trasfigurazione, crepuscolo, rinascita sono i temi, di matrice classica ma riletti in chiave contemporanea, che caratterizzano i lavori più recenti di Agostino Arrivabene. Dal 23 maggio al 26 luglio li troviamo nella mostra personale Vesperbild alla galleria Giovanni Bonelli di Milano: una sequenza di immagini e narrazioni tratte dal mondo mitologico e letterario che raffigurano le diverse fasi di un processo che, dal travaglio interiore e fisico, giunge al desiderio della guarigione attraverso il sogno o l'intervento divino con la trasmutazione in corpi nuovi.
Il progetto prende il nome dalle Vesperbilder (letteralmente, “immagini del vespro”), sculture nate in Germania nel XIV secolo che raffiguravano la Madonna con in grembo il corpo di Gesù morto. Le figure tedesche della Pietà sono spesso caratterizzate da accenti intensamente espressivi e patetici, soprattutto nella rappresentazione del corpo di Cristo che, attraverso la trasfigurazione della carne e del volto, diventava quasi deforme, incarnazione della sofferenza. Le Vesperbilder erano punto di unione tra due stadi estremi, fra la morte e la resurrezione, erano le immagini dell'attesa, icone di meditazione crepuscolare, anello che univa la notte al giorno e viceversa. Le Vesperbilder contemporanee di Agostino Arrivabene riflettono soprattutto su questo concetto di passaggio, di soglia, di confine tra luce e ombra.
Nei dipinti sorge imponente un’attenzione compassionevole verso ciò che è mortale, fragile, malato. L'opera intitolata Monatto dai muti campanelli, che si ispira al personaggio ovidiano di Ciparisso, ritrae un appestato che si trasforma in creatura vegetale. Come nel suo omologo mitico, il monatto piange un pianto senza requie, ma muto. Penseranno a piangerne il dolore le due prefiche mutanti, ispirate alle tavole anatomiche di Bernhard Siegfried Albinus, secondo elemento del trittico.
Il polittico dedicato alla vicenda di Orfeo ed Euridice si concentra sul canto rituale attraverso il quale Orfeo tenta di recuperare l’amata dal regno dei morti. La mano frammentata della fanciulla e il suo piccolo volto in estasi, dislocati dal resto del corpo a formare ciascuno un elemento del trittico, diventano simbolo di supplica eterna. Altre opere in mostra hanno una chiara origine nelle iconografie floreali di Bruegel: qui l’artista dà vita a creature arcimboldesche in cui le ombre divorano l’identità rivestita di soli fiori che divengono catalizzatori di pollini generativi.
Chiude la mostra un progetto eclettico in cui Arrivabene unisce pittura, scultura e oreficeria. Partendo dall’icona dei Dioscuri, l’artista fonde la loro identità in un nuovo mostro siamese le cui due teste sono cinte da strane corone ossee tratte dal mondo iconografico di Ernst Haeckel. Così fino a realizzare una micro scultura in materiali preziosi che diverranno gemelli da polso, realizzati dall’abilità del gioielliere Mirco Baroso chiamato da Arrivabene a dialogare con la sua opera.