La sala personale allestita da Turcato alla Biennale di Venezia del 1972 si presenta come un’esplosione di colore all’interno di un’installazione anticonformista. Gran parte delle opere esposte vennero create appositamente per la Biennale e preannunciarono le future sperimentazioni dell’artista con la forma, la composizione, la sculturalità, la scala dimensionale e il colore. La Galleria Secci ha scelto di ricreare questa mostra, la quale ha costituito un punto di svolta nella carriera dell’artista.

Nell’ambito di questa esposizione, Turcato ha esibito la prima delle sue Oceaniche, a seguito di un viaggio in Kenya nel 1970. Affascinato dai colori vivaci delle canoe artigianali dai pescatori locali, l’artista (casualmente 15 anni prima della serie di canoe di Gilberto Zorio degli anni ’80) ha riprodotto a memoria le forme e i motivi osservati ritagliando la tela in modo da ricordare delle tavole da surf. Dotandole di uno spessore quasi tridimensionale di 3 cm, una verticalità imponente (tra i 280 e i 320 cm) e appendendole seguendo una diagonale, le Oceaniche sembrano librarsi lungo i muri come a pelo d’acqua. Turcato aveva iniziato ad esplorare l’idea di rimodellare le sue tele già dalle metà degli anni ’60.

Durante la cruciale conversazione con Carla Lonzi del 1967, l’artista aveva affermato la necessità di superare gli angoli retti.

Io, intanto voglio superare […] assolutamente il rettangolo del quadro, il quadrato del quadro… Per me, la dimensione quadrangolare è un’idea sbagliata perché…tutto quello che viene dalla sezione aurea, insomma, è un po’ incastrarsi in un certo geometrismo […] è lo spigolo che dà fastidio, soprattutto… in fondo è un punto morto […].

Precorrendo i timori di Jaques Derrida sui tradizionali bordi squadrati dell’immagine, trattati nel saggio ‘Paregon’ all’interno de La verità in pittura (1978), Turcato ha trasformato la tela in qualcosa di plasmabile che poteva essere ritagliato in forme diverse, piuttosto che tirato su strutture rettangolari, rendendo così più profondo il suo approccio alla forma.

Le Oceaniche, che anticipano la sua serie di sculture longilinee Le libertà, incarnano il desiderio dell’artista di smussare la nettezza degli angoli, scalzando l’idea che ‘il quadrato è una forma esatta’. La serie ci parla inoltre della relazione di Turcato con le idee di nomadismo e primordialismo, aspetti che svilupperà in altre opere. Tali temi, parte dello Zeitgeist culturale della fine degli anni ’60, emergono sulla scia del movimento hippie, della guerra in Vietnam e delle proteste di lavoratori e studenti.

Gli ideali anticapitalisti delle comunità alternative alla ricerca di una comunione con la natura hanno ispirato l’immagianrio occidentale, propugnando un ritorno ad un vivere semplice, primordiale (pur tenendo conto della natura problematica in termini di implicita superiorità da parte della cultura dominante).

Tale momento di svolta è stato connesso ai lavori di artisti concettuali come Mario Merz, Eliseo Mattiacci o Emilio Prini, ma non di Turcato, il quale era considerato appartenente ad una generazione precedente, nonostante il fatto che uno dei suoi più cari amici era l’artista, poeta e critico Emilio Villa, il quale sarebbe tornato dal leggendario viaggio alle Cave di Lascaux con Mario Diacono nel 1961, creando in seguito un impatto esteso sia sulla comunità artistica che sulle idee di primordialismo. Mentre il rapporto di Turcato con il nomadismo è spesso stato analizzato in relazione alla sua personalità singolare e il suo desiderio di viggiare (Flaminio Guidoni ha scritto, per esempio, che ‘Turcato è un nomade vero, di razza antica’), l’influenza del saggio L’arte dell’uomo primordiale (c. 1961) di Emilio Villa, come dimostrato in maniera interessante da Silvia Pegoraro, si intreccia con l’idea di pittura e del colore dell’artista ad un livello ancora più profondo, evolutosi grazie alla sua esposizione ad altre culture e alla preistoria.

‘L’Altro’, in quanto sconosciuto e non conoscibile, se considerato all’interno di una concezione lacaniana della sessualità femminile, parla anche dell’assenza di una mediazione tra il soggetto e l’Altro stesso, tra uomo e donna, tra il desiderio del soggetto e il desiderio dell’Altro. L’Altro diviene un altrove, una mancanza nella quale il soggetto può scomparire e perdersi in una sorta di infinito del desiderio.

Vari critici, come Gualdoni, hanno accennato all’approccio di Turcato all’eroticismo:

Turcato pratica l’arte come l’arte é, puntiforme, discontinua, instabile, non uniforme, seguendo gli andamenti pulsanti e non rettilinei di una carica erotica caparbiamente concentrata su se stessa […].

Le Oceaniche appaiono formalmente falliche nel loro complesso, eppure evocano una femminilità con le loro vulve implicite nei vivaci campi di colore matissiani, alcune delle quali presentano scarabocchi che ricordano peli pubici sulle giunture delle forme vaginali. L’intrecciarsi di simboli maschili e femminili in un’unica opera sembra mettere in discussione la nozione lacaniana che i due non possano mai incontrarsi , se non mediati dal desiderio. L’artista svilupperà forme simili nei suoi disegni di questo periodo, con titoli come Elegia e Apparizioni, riproducendo diamanti allungati che paiono ripiegati attorno un centro di colore più scuro o diverso, talvolta definito dalle forme di gambe femminili. L’artista era interessato al movimento di liberazione femminile e ha discusso con Lonzi l’evoluzione di quest’ultimo. Ha evidenziato, il particolare, l’avvento della minigonna e la sua associazione alla libertà:

D’altra parte, vedendo le giovani che indossano le minigonne, non si può più concepire l’amore romantico, tipo Francesca Bertini, o neanche giù di lì, è assurdo no? Il movimento erotico sarà molto più libero, molto più naturale. In fondo, i romani, i greci erano in questa situazione qua… è la prima scossa, che è venuta proprio in questo senso… beh contro un cristianesimo, un cattolicesimo in particolare…

La passeggiata, un trittico di gambe femminili nel quale tre tele trapezioidali si intersecano l’una con l’altra, ha un appeal erotico pop, con i suoi ben definiti campi cromatici arancione fluorescente e lilla tenue, non dissimile da un più esplicito Tom Wesselman o Allen Jones, creando inoltre una forma astratta anche se osservato da lontano. L’idea della sessualità femminile riecheggia in tutta l’esibizione, come ad esempio in Il tunnel, il quale sembra richiamare un ‘buco’ femminile lacaniano.

Un vortice schematico su larga scala di rosso, giallo, diverse tinte di blu, grigio e bianco. Il tunnel è anche un portale ipnotico, psichedelico, verso un altro universo, un’esplorazione del concetto spazialista dell’infinito come descritto da Lucio Fontana, con il quale Turcato è stato fotografato alla Biennale del 1966 accanto alle sue Superfici lunari (Fig.1). Qui, i paesaggi lunari in gommapiuma sullo sfondo presagiscono i suoi lavori su astronavi e vita extraterrestre esibiti alla Biennale del 1972: Cosmico – Marziano BipBip and Cosmico (Composizione).

Turcato ha seguito con attenzione gli sviluppi della corsa allo spazio, guardando nel 1962, secondo la testimonianza di suo cognato Ettore Caruso, una conversazione televisiva tra John Fitzgerald Kennedy e Wernher Von Braun, capo architetto del Saturno V, che avrebbe poi lanciato l’astronave Apollo sulla luna nel 1969.

Marziano BipBip, dipinto con colori elettrici è, sia nel titolo che nella forma, una diretta rappresentazione della fascinazione dell’artista per il cosmo e la sua rappresentazione mitica, plasmata dalle politiche della Guerra Fredda.10 La forma di quest’opera, un lungo rettangolo antropomorfizzato dotato di due antenne, una argentata e l’altra di un rosso papavero, che spuntano dal corpo giallo limone e lavanda, è quella di un Marziano come immaginato nei film, racconti e fumetti sci-fi popolari al tempo. Come le Oceaniche, l’opera venne appesa in obliquo, come a ricordare dei detriti spaziali. La sua forma e colori sono ripetuti con leggere variazioni in Cosmico (Composizione), appeso al muro contiguo.

Entrambe le opere intitolate Cosmico si rifanno alle astronavi, con due pannelli solari rettangolari tenuti insieme da una sottile struttura e cornice metalliche. Queste ‘ali’ sono separate da uno spazio vuoto, corrispondente al punto mediano sul quale sarebbe posta l’antenna del satellite. Su entrambi i lati di questo spazio sono dipinte delle sottili bande di colore, come raggi di uno spettro cromatico. La grande attenzione di Turcato per la struttura dei satelliti si combina con ‘la sua ossessione di creare un colore introvabile sullo spettro’.

Le opere della serie Cosmico rivelano fino a che punto l’artista fosse ispirato dall’ingegneria spaziale e le leggi fisiche che hanno influenzato, ad esempio, lo sviluppo di cellule solari per l’alimentazione di veicoli spaziali, mentre gli stralci di colore sembrano mimare la visuale degli astronauti dello spuntare della Terra oltre l’orizzonte lunare. L’uso di materiali iridescenti da parte di Turcato, i quali donano alle sue tele una sorta di lucentezza lunare, sembrano tendere verso il suo desiderio di ‘inventare un colore’.

Una delle opere più singolari all’interno dell’esposizione di Turcato sono le protuberanze quasi aliene di Le spine di Cristo e della Maddalena. Due forme simili a tronchi, una gialla e una rosa pallido, sono coronate da un’aureola di lunghe spine. Le due forme coniche si protendono da una tavola di compensato ovale con i loro occhi multicolori, come degli steli, esaminando lo spazio della stanza da un’insolita altezza. Una giocosa fotografia mostra Turcato in posa sotto la sua creazione rassomigliante un UFO, le braccia spalancate e le mani aperte verso i cieli, in una gestualità estatica (Fig. 2).

Il titolo dell’opera e le spine evocano l’immagine astratta di un Cristo sofferente, come anche la relazione tra Cristo e Maddalena, corpi celesti che orbitano insieme. Il misticismo ironico di Turcato era anche influenzato dalla sua necessità di creare oggetti ‘un po’ fantastici, un po’ poetici, oggetti grandi o piccoli o strutturazioni anche […].

L’effetto gravitazionale e quella che Gualdoni chiamava la ‘pura sensualità psicologica’14 di queste vanno esperiti dal vivo. In opposizione a un modello cartesiano del visivo nel quale ‘sapere’ è ‘vedere’, le parole di Maurice Merleau-Ponty risuonano nella riproduzione tattile dell’universo che Turcato ha creato nella sala: ‘Non vedo [uno spazio] tramite il suo involucro esteriore; vivo in esso dall’interno, vi sono immerso. Dopotutto, il mondo é tutto attorno a me, non di fronte a me.’

Questa filosofia di percezione incarnata, dell’essere nello spazio, addirittura quello cosmico, prende vita quando si interagisce con queste opere animate sicché i loro colori pulsanti destabilizzano il dualismo dell’osservatore attivo e la passività di ciò che viene osservato. Le spine nelle Spine di Cristo possono essere lette tanto come una dissacrazione dell’iconografia cristiana, quanto una concettualizzazione dell’extraterrestre. La visione di Turcato, ad un tempo mistica e ironica, rimane un invito nelle possibilità psicologiche dell’immensità del cosmo.

(Testo di Martina Caruso)