Ancora un mese per visitare la retrospettiva che la Fondazione Palazzo Magnani dedica all’artista reggiano Luciano Bertoli, allestita fino al 24 novembre 2024 nella sede di Palazzo da Mosto a Reggio Emilia.

Curata da Martina Corgnati, l’esposizione s’intitola Frattempo. Le curve di Mandelbrot in riferimento all’omonima serie pittorica, realizzata a partire dagli anni Novanta e mai esposta al pubblico, custodita dalla famiglia nel futuristico studio-abitazione dell’artista nei pressi del Castello di Canossa.

Il corpus principale della mostra, volta a riscoprire l’interesse e l’originalità di una ricerca lontana dal mainstream artistico e commerciale, è composto proprio dai dipinti denominati Frattempo. Le curve di Mandelbrot, capaci di evidenziare lo spiccato interesse dell’artista per le scienze esatte. L’insieme di Mandelbrot, così chiamato dal nome del fisico polacco scopritore dei frattali, è un insieme di numeri complessi, delineato graficamente nel 1984 da Heinz-Otto Peitgen e John H. Hubbard e reso popolare da una copertina della notissima rivista di alta divulgazione Scientific American.

Fra il pubblico di entusiasti conquistati da quell’immagine coloratissima c’è Bertoli, che in quel momento scopre una diversa potenzialità artistico-creativa insita nel suo spiccato interesse per la fisica e il mondo della scienza in generale; la dimensione meccano-dadaista, così lungamente esplorata dagli anni Settanta in avanti, cede il passo a una ricerca più fantasy ed evocativa, che sospinge lo spettatore a navigazioni libere verso le leggi meno intuitive della fisica e verso la danza delle molecole organiche in uno spazio-tempo diverso da quello lineare della percezione ordinaria. Il percorso espositivo è completato da una ricca sezione dedicata alle opere del periodo precedente – dipinti, sculture, grafiche, disegni e assemblaggi – per presentare al pubblico le componenti essenziali di un percorso sperimentale nei materiali e nelle tecniche e sempre sostenuto da una genuina curiosità per il mondo delle macchine e della tecnica, protagoniste della società a lui contemporanea e di altre civiltà possibili, futuribili, fantascientifiche.

Negli anni Settanta e Ottanta, l’artista lavora, infatti, a paesaggi ibernati, costruzioni autogeneranti, animali meccanici, erotismi metallici, città ideali plastificate ed elettriche, installazioni e sculture, ma anche a cartelle di disegni e grafiche caratterizzate da perfezione tecnica e attenzione al dettaglio. La stessa cura che Bertoli riserva ai bozzetti: più che schizzi, veri e propri progetti ingegneristici, funzionali alla meccanizzazione delle sue sculture, molte delle quali pensate per l’esterno.

Coniugando magia e tecnica, spirito fantastico alla Julius Verne e attitudine rigorosa da ingegnere, in cinquant’anni di ricerca Luciano Bertoli è stato in grado di intravedere aspetti della chirurgia e dell’informatica, della cibernetica e della medicina, al tempo neppure concepibili, facendo dell’arte, come conclude la curatrice, “uno strumento per essere nel tempo, nel proprio tempo, come ponte per proiettare intuizione e intelligenza verso il mondo e l’universo e le sue leggi”.