Inaugurato al Cinema La Compagnia il 2 ottobre dal “FánHuā Chinese Film Festival”, la 50 giorni di Cinema copre un arco temporale di tre mesi con nove festival. Nell'articolo 50 Giorni di Cinema a Firenze si può leggere l’elenco dei Festival, che abbracciano opere europee, asiatiche ed indiane. Presente di riflesso anche l’America, il cui pubblico attribuisce ai film italiani dell’ultimo anno più apprezzati il “Premio N.I.C.E”. ovvero New Italian Cinema Events. Nella serata “N.I.C.E.” è proiettato uno di tali film per il pubblico della 50 giorni di Cinema.
“FánHuā Chinese Film Festival”, fra il 2 e il 6 di ottobre, ci fa viaggiare, grazie alla potenza del cinema, nella cinematografia e nella cultura cinese. Parte con Snow Leopard, l’ultimo lavoro di Pema Tseden, maestro tibetano prematuramente scomparso, un’opera ecologista incentrata su un animale affascinante e misterioso, il leopardo delle nevi. Prosegue, tra lungometraggi di fiction, cortometraggi e animazione discutendo dell’obbligo legale del figlio unico in Growing Apart, del ruolo delle donne in una società in cambiamento in film come Good Autumn, Mommy e del conflitto tra tradizione e modernità in una cultura come quella della Mongolia Interna in To Kill a Mongolian Horse.
Per approdare, come di consueto, a un classico da riscoprire nella serata di chiusura, A Soul Haunted by Painting, biografia cinematografica della pittrice Pan Yuling, infiammata da una grande interpretazione di Gong Li e firmata dalla regista femminista Huang Shuqin. Abbiamo scoperto, grazie a questo film, che uno dei quadri della coraggiosa pittrice, che ha affrontato il nudo in una società che, oltre a non concepire che una donna potesse dipingere, non permetteva certe libertà, è alla galleria degli Uffizi.
Dal 15 al 20 ottobre al Cinema La Compagnia, al Cinema Astra e a Rifugio Digitale – e online sulla piattaforma PiùCompagnia/MyMovies – va in scena una settimana di immersione nel Medio Oriente contemporaneo, tra storie di vita e storie di speranza. Sono più di trenta gli ospiti internazionali a Firenze per questa quindicesima edizione di "Middle East Now", con la voglia di condividere, ascoltare e provare a spiegare. Ecologie di resistenza è il tema centrale che si muove fra cinema, mostre, eventi e talk. Il ricco programma comprende 34 film - tra anteprime italiane, europee e internazionali.
"Middleast Now Festival" ha inaugurato un tipo di festival che comprende, oltre al cinema, molti degli aspetti culturali dei vari Paesi del Medioriente: la condizione delle donne, lo sfruttamento dei territori, la guerra.
No other land di Basel Adra, Hamdan Ballal (palestinesi) e Yuval Abraham, Rachel Szor (israeliani), documentario acclamato al festival di Berlino (“Miglior Documentario” e “Premio del Pubblico”), cattura la realtà straziante dell'occupazione a Masafer Yatta, villaggio a sud di Hebron. Dal 2020 l’esercito arriva con bulldozer e distrugge una casa dopo l’altra, senza aspettare che gli abitanti la svuotino dei loro mobili e suppellettili. Fogli vengono distribuiti agli abitanti, sconvolti nel leggere il timbro del tribunale israeliano, che autorizza la devastazione del territorio con la giustificazione di esercitazioni militari. Tuttavia, dalle riprese nel corso degli anni, emerge chiaramente che queste operazioni servono in realtà a favorire l'espansione dei coloni ebrei, i quali arrivano persino a sparare sui palestinesi indifesi.
Protagonisti del documentario: Basel, giovane attivista palestinese che ha combattuto l'espulsione di massa della sua comunità fin dall'infanzia e Yuval, un giornalista israeliano che si unisce alla sua lotta in un improbabile sforzo di aiutare la popolazione. Il film, realizzato da un collettivo israelo-palestinese di quattro giovani attivisti, è un atto di resistenza creativa all’occupazione e di ricerca di un percorso verso l’uguaglianza e la giustizia. Così come lo è il gruppo di 22 corti, realizzati da pochi mesi, nell’infuriare della guerra a Gaza, da giovani palestinesi, riuniti nel film dal titolo From ground zero.
I corti di Mad Solutions sono un viaggio tutto al femminile in Egitto, Sudan, Palestina e Arabia Saudita. I corti appassionati sono messaggi potentissimi che denotano e propagano nuove visioni della società che li genera. Un’Arabia Saudita contemporanea è la protagonista di Last party in R. Desert, anteprima italiana alla presenza del pioniere del cinema indipendente saudita, il regista Mahmoud Sabbagh.
Per qualità e attualità i film scelti da Lisa Chiari e Roberto Ruta, direttori artistici del Festival, andrebbero citati tutti, ma, nell’economia dell’articolo posso citare ancora solo Hanging Gardens, del regista Iracheno Ahmed Yassin Al Daradji, la cui sensibilità ha trasformato in grande attore un ragazzino, preso dalla strada, dandogli il ruolo di As’ad, un orfano dodicenne che vive raccogliendo rifiuti. Si parla di sessualità, e di come la profonda laicità e il candore del protagonista si contrappongano, riguardo al rapporto uomo donna, alla cultura religiosa degli adulti di potere che vedono nella sessualità solo perversione.
Quest’anno, in conferenze a cadenza quotidiana, i talk delle 19.30, si approfondisce il Libano, narrando in sintesi gli antefatti della storia politica contemporanea del Paese. Proprio in questo ottobre in cui esso attende da un momento all’altro un ennesimo attacco da Israele.
Per viaggiare nei sapori della cucina street food palestinese è stata organizzata una serata, nel ridotto del cinema, di apericena a cura di Silvia Chiarantini, con il supporto di Atomic Falafel. Ogni anno questo evento è sold out, per la curiosità di nuovi sapori e, per chi già li conosce, per la maestria con cui sono realizzate le ricette. Anche sul versante cibo si confermano le capacità e le buone tradizioni del popolo Palestinese che la prepotenza del suo vicino vuole nuovamente annientare.
Dal 17 ottobre al 3 novembre è possibile vedere anche una mostra d’arte fotografica in cui vengono narrate 5 storie di esperienze quotidiane, per ripensare il concetto di accessibilità in una serie di luoghi specifici del Medio Oriente e Nord Africa. Si fa riflettere lo spettatore su un terribile cambiamento negli spostamenti dell’umanità. Prima era possibile viaggiare via terra e via mare attraverso il Medio Oriente e il Nord Africa. Le conseguenze del dominio coloniale, passato e presente, gli spostamenti forzati delle popolazioni, l’espropriazione delle terre, i disordini politici, le spinte capitalistiche, le guerre e i conflitti hanno trasformato questa regione in un insieme di territori sorvegliati e militarizzati, che dividono le comunità, ne bloccano i movimenti e le alienano dalle loro relazioni con la terra e fra di loro. Questo progetto, a cura di Roï Saade, si chiama AIR, RIVER, SEA, SOIL. A History of an exploited land. Un viaggio nelle terre sfruttate della Tunisia, Egitto, Libano, Giordania, Iraq.
Terzo colosso della 50 giorni: dal 2 al 10 novembre alla Compagnia si svolge la sessantacinquesima edizione del “Festival dei Popoli” - il festival internazionale di cinema documentario più antico d’ Europa. L’immagine del poster attaccato in varie parti della città è realizzata con l’ausilio di un software di intelligenza artificiale generativa. Ritrae una donna che si aggira per le piazze e i ponti di una città in trasformazione. Una pioniera dal futuro, un’innovatrice che percorre le strade di una Firenze reale e a un tempo immaginaria. Si ispira ai grandi temi del momento, tra paure globali e nuove soluzioni locali. Come il documentario, immagina nuovi futuri possibili, con lo sguardo sulle complessità del mondo e i piedi ben saldi nel presente, da dove costruire il domani. La rassegna ha la direzione artistica di Alessandro Stellino, quella organizzativa di Claudia Maci, la presidenza di Roberto Ferrari. “Sarà un’edizione molto politica” ha dichiarato il direttore artistico.
Dal 29 ottobre al primo novembre abbiamo “France Odeon” che, oltre a presentare la migliore produzione francese dell’anno in anteprima e gli incontri con attrici e attori, mostre fotografiche e recensioni di libri, apre per il secondo anno ai bloggers. A differenza del Festival dei popoli si rende conto che l’informazione sceglie vie sempre nuove e diverse e quindi il giornalista iscritto all’albo è uno dei tanti informatori, cui non conviene limitarsi perché spesso è meno libero di esprimersi al di fuori dei canoni che gli detta il giornale per cui scrive.
Fra il 13 novembre e l’11 dicembre avremo “Lo schermo dell’arte”, il “Festival di Cinema e Donne”, il “Florence Queer Festival”, “River to River” e, infine, “N.I.C.E. x Irish Film Festa”.
Il “Festival di Cinema e Donne” è alla sua quarantacinquesima edizione. Nel corso di questi lunghi anni - è il più longevo su questo argomento in Europa -, ha contribuito a far conoscere donne regista, scovandole anche in luoghi remoti della terra. Oggi in Italia esse hanno raggiunto il ragguardevole numero di 100, sicuramente in buona parte grazie all’opera delle due direttrici artistiche, Paola Paoli e Maresa D’Arcangelo. Le quali hanno passato il testimone alla “Mediateca Toscana”, continuando a svolgere ruoli importanti di raccordo fra la Mediateca e il mondo della cinematografia al femminile, di cui avevano ovviamente un cospicuo data base.
Margarethe Von Trotta, spesso invitata da loro a presentare alcuni dei suoi film in varie edizioni del Festival, riceve quest’anno dall’Università la Laurea Honoris Causa. Non si ha notizia che il “Premio Sigillo della Pace”, che veniva sempre attribuito da Paola e Maresa alla regista di un film progettato per favorirla, prosegua in questa nuova conduzione del Festival. C’è da augurarsi che, di questi tempi così infestati dalle guerre, ci si ricordi che il messaggio che può dare il Cinema è di gran lunga superiore agli scritti e ai talk sull’argomento.