Con una riflessione giocosa, poetica e profonda sul mezzo fotografico il Museo d’arte della Svizzera italiana a Lugano fino al 26 gennaio 2025 presenta la figura pionieristica del fotografo italiano Luigi Ghirri (Scandiano 1943-Reggio Emilia 1992). Il percorso espositivo al MASI a cura di uno dei grandi esperti di arte contemporanea James Lingwood e la collaborazione di Adele Ghirri e il coordinamento seguito da Ludovica Introini, si svolge attraverso un allestimento tematico fluido, in cui il pubblico è invitato a stabilire liberamente pause, collegamenti e connessioni tra pensieri e immagini. È una scelta, questa, in cui risuona l’approccio di Ghirri verso un’opera fotografica concepita come viaggio che continua oltre la singola fotografia e richiede il ruolo critico e l’interpretazione di chi la osserva. Terminata la visita, l’invito è quindi a percorrere l’itinerario della mostra anche a ritroso, ubbidendo a quelli che Ghirri definiva gli strani grovigli del vedere.

La fascinazione di Ghirri per il viaggio, sia reale che immaginario, è il leit motiv dell’esposizione che si riflette nelle 140 fotografie a colori, per lo più stampe vintage degli anni Settanta e Ottanta che appartengono all’archivio degli Eredi di Luigi Ghirri e alla collezione dello CSAC di Parma, una selezione accurata che amplia la visione alle immagini più note come ad altre meno conosciute. All’inizio degli anni ’70 le gite fuori porta condussero Ghirri in località poco distanti dalla sua casa come Rimini o Marina di Ravenna sulla costa adriatica. Durante il fine settimana intraprendeva escursioni sulle Dolomiti e le Alpi Svizzere e in classiche destinazioni turistiche tra cui Parigi, Venezia, Amsterdam, Roma e più tardi Napoli e Capri.

Ha fotografato persone in vacanza o nel tempo libero, gente che cammina in montagna, gente che guarda le mappe in procinto di organizzare gite o gente seduta in spiaggia. Ma in mole altre immagini la figura è assente e la sua formazione da geometra contribuisce a determinare la precisione dell’inquadratura di ogni sua foto e le vedute sono rappresentate frontalmente senza alcun elemento di disturbo o drammatizzazione. Fin dall’inizio optò per la fotografia a colori, utilizzando la pellicola Kodachrome, facilmente reperibile, “perché Il mondo reale non è in bianco e nero e perché sono state inventate le pellicole e le carte per la fotografia a colori”. Nel corso di tutta la sua carriera rimase fedele a un’idea della fotografia come “un viaggio attraverso le immagini” creando sequenze nelle pagine di un libro o sulle pareti di una galleria, con un effetto cumulativo per lo spettatore.

“Quando viaggio, faccio due tipi di fotografie”, osservò, “quelle solite, che fanno tutti, e che in fin dei conti mi interessano poco o niente e poi le altre, quelle a cui veramente tengo, le sole che considero mie davvero”. Ma Ghirri non fu un fotografo di viaggio in senso convenzionale, ma un artista che, osservando da vicino e riflettendo profondamente sul ruolo delle immagini, fu in grado di realizzare un corpus distintivo di opere sull’idea, l’immagine e l’esperienza del viaggio nell’Europa del suo tempo. Da Paesaggi di cartone dei primi anni ’70, alla sezione di Montagne. Laghi, sole e mare fino agli inediti di Viaggi in casa dove si scoprono due eccezioni come le opere intitolate Atlante e Identikit, pensate e realizzate in casa. Proprio per identikit nel 1976 fotografò i libri, i dischi, le mappe, i souvenir e le cartoline che aveva in casa sua. “Ho delegato per questo autoritratto” scrisse in seguito l’autore, “gli oggetti (Libri, dischi ecc.) che testimoniano di un rapporto di conoscenza, di cultura, della mia fantasia, del passare il mio tempo”.

La mostra prosegue con Un atlante tridimensionale nel parco a tema di Rimini chiamato Italia in Miniatura e Viaggi in Italia che testimonia il percorso di Ghirri negli anni ‘80 in ogni regione d’Italia, da Nord a Sud, dalla Valle d’Aosta a Trieste alla Sicilia. Scattò fotografie nei musei di Napoli e sull’isola di Capri, un archivio in continua crescita e una traccia dei contorni mutevoli del suo paese natale. Il passaggio a una fotocamera di medio formato nel 1980 condusse a una maggiore profondità e chiarezza oltre a contorni più intensi nelle sue fotografie. Ma inquadrature e stile rimasero silenziose e non spettacolari perché la fotografia era per Ghirri “un linguaggio per vedere e non trasformare, occultare, modificare la realtà”.