Un aspetto poco conosciuto di questo grande poeta è la sua passione per l’arte figurativa, sulla quale ci ha lasciato scritti critici di grande interesse. La mostra Pittura e poesia. Ungaretti e l’arte del vedere, a cura dalla saggista e critica letteraria Alexandra Zingone, inaugurata il 16 maggio nella sede di Tornabuoni Arte di Firenze e visibile fino al 6 settembre. permette di leggere le parole del poeta a commento di quadri di grandi nomi dell’arte italiana ed europea tra gli anni Dieci e Settanta del Novecento. L’esposizione traccia un panorama attraverso le parole del poeta, presentando un suo commento su opere di Giacomo Balla, Ardengo Soffici, Carlo Carrà, Gino Severini, Amedeo Modigliani, Giorgio de Chirico, Pablo Picasso, Enrico Prampolini, Ottone Rosai, Jean Fautrier, Franco Gentilini, Giuseppe Capogrossi, Alberto Burri e Piero Dorazio..
Dalla biografia del poeta si apprende come ha incontrato tutti questi pittori. Giuseppe Ungaretti approdò a Parigi nel 1912, in un momento in cui la capitale europea era all’apice dell’effervescenza artistica e culturale. L’incontro con le avanguardie internazionali segnò profondamente il suo itinerario esistenziale, affascinandolo con le sperimentazioni e le tendenze artistiche. Un soggiorno cruciale, che condizionò il suo sguardo sulle arti, in particolare sulla pittura, che per lui era semplicemente una diversa espressione della poesia: “Chiamo poeta qualsiasi artista”. Le frequentazioni parigine, alla vigilia della guerra, furono per lui estremamente significative così come sottolinea in Vita d’un uomo. “Degli incontri che feci a Parigi in quel periodo o nel dopoguerra furono notevoli quelli con Soffici e Palazzeschi e gli altri futuristi, con Boccioni, con Carrà, con Marinetti; quelli con Braque e Picasso, già cubisti, o con Delaunay, che si diceva pittore orfico; quelli con Péguy, con Sorel, con Bédier, con Bergson. Tutti mi facevano mille feste immeritate nell’incontrarmi, delle quali ero sempre molto sorpreso. Furono incontri con un tipo d’arte e con un tipo di moralità che hanno avuto decisiva importanza nella mia formazione generale, e, naturalmente, nella mia poesia.”
Molti anni dopo, a Roma, si confrontò, invece, con artisti italiani quali Dorazio, Capogrossi e Burri. L’intensità di questi incontri, da Parigi a Roma, lo rese molto più che un semplice testimone privilegiato di un’epoca artistica senza pari: Ungaretti sviluppò la propria poetica nella continuità dei linguaggi, alimentando una profonda fascinazione per la pittura e rendendo così veramente originale e creativo il modo di parlare di essa. Usando espressioni attinenti al suo linguaggio poetico, ha messo in luce le somiglianze fra poesia e pittura.
Dice, in totale originalità, di Picasso: E’ il disegnatore più straordinario, più inesauribile di risorse che ci sia mai stato. Ma che nichilista, che negatore dell’uomo, che furibondo amante del mostruoso, del disastro, almeno in tante sue opere. Disarticola i corpi…, li scompone,li squarta, li strazia, li calpesta, li offende, dà loro una dismisura ossessiva, con parti, i nasi delle donne di solito, di un erotismo da terrori. Certo, il Barocco parte dal mostruoso, dal cataclisma, ma finiva anche col trovare una sostituzione armoniosa della rovina. Qui spesso non c’è che la voluttà di rovinare, la rabbia verso l’uomo, da degradare.
Dice di Balla: ...Luce. Sotto il segno della luce è sorto Balla….un’impronta di luce qua e là, a volte quasi il divorare della luce...Il moto che si risolve in lucem l’apparizione della luce...il miracolo del moto dell’apparizione rivelatrice della luce ...il dinamismo per scomposizione della luce...per colori...disintegrazione della luce in coloriofferti dagli oggetti osservati, per indurla a potersi riedificare nel medesimo attimo quale integrità di luce…, fusione improvvisa di quei colori nei quali, per necessità di espressione pittorica, era andata prima scindendosi… Incendi di colore. ...tutta questa materia risolta sulle tele in colori, in zuffa di colori, non ha che una mira,...divenire, in ultima analisi, luce...realtà di luce...Luce! Luce! Luce!
Dice di Burri: Il medico, poi pittore reduce dalla prigionia nei campi di concentramento nazi che, con quell’orrore negli occhi,vuota nelle sue opere il bubbone infernale, ne mette in mezzo ai lutti l’ingiusto cratere di sangue e di fuoco voluto dall’inferno,e mostra come la fiamma della libertà domina alla fine anche il più atroce sadismo.
L’intensità di questi incontri, da Parigi a Roma, lo rese molto più che un semplice testimone privilegiato di un’epoca artistica senza pari: Ungaretti sviluppò la propria poetica nella continuità dei linguaggi, alimentando una profonda fascinazione per la pittura e rendendo così possibile un vero e proprio incontro tra le arti.
Per conoscere tutti i commenti sui vari autori è disponibile un catalogo pubblicato da Forma Edizioni. Nelle stesse edizioni è stata stampata una plaquette, realizzata appositamente per la mostra , con un saggio di Alexandra Zingone dal titolo «Modello e fonte di molti orizzonti». Dorazio per Ungaretti. La Zingone espone nel dettaglio il pensiero di Ungaretti, nel linguaggio della maturità. Si avvale dell’elaborazione che ne fa il pittore Dorazio, allievo prima e ricercatore di parole in poesia, di colori in pittura e dei legami fra letteratura ed arte, in parte già detti dal Maestro e in parte elaborati insieme a lui verso la fine degli anni 60. Dagli scritti di Dorazio riportati dalla critica d’arte si vede chiaramente la profonda ammirazione del pittore per il Poeta.
Universalmente noto come poeta, Ungaretti era però una figura a tutto tondo: intellettuale, saggista, professore, traduttore, critico d’arte. Ha solo sfiorato il Nobel, pare perché non era laico per la giuria svedese del premio, che gli preferì Quasimodo.