La fotografia torna grande e prorompente protagonista a Ferrara con la mostra Oltre lo sguardo, monografica della fotoreporter Arianna Di Romano, visitabile dal 20 febbraio al 12 giugno nella cornice della bellissima Palazzina Marfisa d’Este, in corso della Giovecca.
Nata da un’idea di Vittorio Sgarbi e organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara in collaborazione con Kingford, la mostra è un viaggio attraverso l’obiettivo delicato, sensibile e attento di Arianna Di Romano, fotografa di talento che viene spesso paragonata a grandi maestri come Elliott Erwitt e Robert Doisneau per la poesia e la composizione, Sebastião Salgado per il trattamento dell’immagine, Sergio Larrain e Dorothea Lange per l’attenzione agli ultimi. Uno sguardo alle vite “difficili”, quelle degli emarginati, degli indigenti, dei senzatetto, dei ragazzi di strada, dei gitani, dei detenuti, dei poveri, degli anziani rimasti soli. Con stupore, delicatezza e dedizione all’Umanità.
Le fotografie sono avvolgenti e parlano da sole, tutte rigorosamente in bianco e nero, salvo quattro a colori. Con grande enfasi sul chiaroscuro e sui dettagli fatti di visi rugosi e rassegnati e di schiene e mani affaticate, ogni foto ha una sua anima profonda e unica, ci si fa un’idea, salvo poi rimanere stupiti dai titoli. È il racconto di frammenti di umanità raccolti in giro per il mondo, un invito allo spettatore a spingersi “oltre lo sguardo”, oltre l’illusoria, e spesso fuorviante, apparenza del dato reale, alla ricerca di una diversa, e autentica, bellezza. Alla ricerca della giusta dimensione.
Arianna Di Romano, sarda di origine ma siciliana di adozione (oggi vive nel grazioso borgo di Gangi, sulle Madonie), ha immortalato volti e situazioni che l’hanno catturata nel profondo nei luoghi dove ha condotto i suoi reportage, dai più remoti villaggi del Sud Est asiatico, a quelli della Romania e della Polonia fino ai campi profughi e rom in Serbia e Bosnia, dai paesi della sua terra natale, la Sardegna, alle celle di un carcere siciliano (a quello di Caltagirone ha avviato un percorso di fotografia per i detenuti più giovani). Le sessanta fotografie in mostra, tanto libere quanto sapientemente studiate (tecnica ma molto cuore e magia), rivelano una sincera partecipazione emotiva e invitano lo spettatore a spingersi “oltre lo sguardo”, oltre l’illusoria, e spesso fuorviante, apparenza del dato reale, alla ricerca di una diversa, e autentica, bellezza. Quello del mondo e dell’Uomo.
“Fotografando, scavo nell’umanità dimenticata - spiega l’artista - che amo e di cui vorrei trasmettere la bellezza. Vivo le sensazioni che provano le persone che ritraggo, mi identifico in loro. Continuamente cerco me stessa nell’altro”.
In Malesia l’hanno denominata “ladra di anime”. Gli abitanti, in gran parte animisti, non volevano farsi ritrarre per timore che venisse rubata loro l’anima. “Quello che mi spinge a fotografare- racconta - è proprio rubare uno sguardo che sia profondo. I volti che incontro li rubo, perché appartengono a persone che non sono mai in posa, sono tutti sguardi che quasi sicuramente non incontrerò mai più. Spesso non riesco a comunicare con loro. Rubo quegli sguardi per dare loro una voce”. Una voce che abbiamo sentito, forte e chiara.