E’ con un’ opera che rinvia ad una scena antica, archeologica, che si snoda la mostra “Franco Guerzoni . Ritrovamenti. 2000-2017 “, uno dei più grandi artisti italiani contemporanei (Modena, 1948 - annovera importanti mostre personali nazionali e internazionali tra cui la partecipazione al Padiglione Italia della XLIV Biennale d’Arte di Venezia; il Forum Internazionale Kunstmesse a Dusseldorf; Galleria d’Arte Moderna a Bologna; Palazzo Massari, a Ferrara; Schloss Ettersburg a Weimar; Palazzo Forti a Verona; Triennale di Milano; MAMbo a Bologna; Palazzo Fortuny a Venezia, e nel 2020 con “L’immagine sottratta” è a Milano al Museo del ‘900), di scena nella Galleria Marcorossi artecontemporanea a Verona, e in contemporanea a Milano e a Torino.
E il rinvio è proprio tutto sui muri della galleria attraverso pareti vecchie e scrostate, intonaci e crepe, graffi e cadute, evocate sui quadri.
Ma “Ritrovamenti” creata durante e post lockdown, è l’espressione, concreta e formale, del segno, del colore e di una presenza. E l’opera colpo d’occhio d’apertura è “Pompei Bombay “(2005), un quadro rosso al cui interno è una sorta di silhouette che trova non poche analogie con un grande reperto dell’arte funeraria della Magna Grecia: è la “Tomba del tuffatore” (un affresco che risale 480 -470 a.c.), unica testimonianza di pittura greca, figurativa e non vascolare, a noi nota. E la silhouette che si distende sul lato sinistro del quadro rinvia proprio a quel fantastico affresco, ma anche ad una espressiva forza cromatica che lo connota. A far da contrappunto, quasi in via riservata, è una piccola opera su “scagliola, pigmenti in polvere e oro in foglia”, come un richiamo ad un’altra storia, e ad altre culture, come alle pale d’altare medievali. Ma è tutto il percorso della mostra -costituito da nove opere che occupano delicatamente lo spazio scenico - che muove tra rinvii e rimandi, soglie e metafore da cui sortiscono i “ritrovamenti”.
Pareti-palinsesto dai molteplici evocativi affioramenti in cui prende corpo la ricerca archeologica dell’artista. La rovina come luogo dell’antico, ma anche come possibile simulazione che insiste sulla pittura, per creare nuove pitture, che diventano – come ricorda Guerzoni - una sorta di “libro da sfogliare, un viaggio verso l’interno che consente di rintracciare il vissuto, le memorie, i segni, i simboli, tutto ciò che nel corso dei secoli quel frammento di muratura ha raccolto.» Opere che insistono sul segno, su di un carattere e su di una forma fortemente voluta e concettualizzata. Più di un’ astrazione o di un’informale diventa una possibile figurazione, la rappresentazione di una “pellicola” sulla “pellicola”, un passaggio su di un passaggio nel quale rivive la storia, il passato e il presente. “Strappo d’affresco” - opere del 2012 e 2013 - allineate alla parete, dimostrano il carattere e la presenza, la testimonianza e la concretezza.
Ma oltre al quotidiano è di un’archeologia dello sguardo che si può trattare. Non casualmente in più opere di Guerzoni ricorrono legami, riferimenti e contaminazioni con quel grande artista e amico della scena fotografica emiliana che fu Luigi Ghirri. Uno sguardo per una forma che diventa espressione di una pittura che potrebbe sembrare opaca ma da cui traspare uno strato e una presenza lieve e seducente. Materia su materia non come un’addizione o un rigonfiamento, ma semmai come leggerezza dell’opera che vince e si afferma su di uno spazio neutro i cui oggetti presenti – sassi, fili e frammenti – sono concettualizzati e rappresentati, e i cui “Motivi vaganti” (2005), “Musivum” o “Ritrovamenti” (2009) diventano forme attoriali, presenze delicate, soffici e leggere in grado di costruire pittura su scultura, oggetti su testi, frammenti di restauri, strappi, archeologie su pareti, per un passato dentro un presente - il nostro - e la costanza per un “ritrovamento”.