Del codice e del frammento, di pitture e cromie in un dialogo seducente e affascinante, tra antico e contemporaneo, testo e contesto. E’ quanto ritroviamo nella mostra di David Simpson (Pasadena, U.S.A., 1928) in “Codici – Marmi romani”, curata da Marco Meneguzzo, in corso a Verona, a Studio la Città, e che sulla bellezza – formale, ideale e concreta – sviluppa una propria linea di azione e di realizzazione. E se il frammento romano dialoga costantemente con le straordinarie pitture di Simpson, sorprende non poco questa associazione visiva in quanto la relazione antico e contemporaneo, tra il dettaglio e il tutto diventa il quadro reale di un’opera totale.
Così le tele di David Simpson, artista americano famosissimo per i suoi monocromi, dialogano a stretto passo con gli antichi pezzi scultorei di epoca romana, prestati dai collezionisti Cristina e Pino Bianco, che in tale contesto assumono ancor più grazia e forma collocando lo spettatore in una condizione di sublimazione e idealità degli oggetti esposti.
Una figura femminile, un capitello ostiense, un’amazzonomachia e tre architravi, tutti databili tra il I e il II secolo d.C., interloquiscono così con la pittura di Simpson, con le cromie accese sorta di “sentinelle” sull’antico, per un possibile dialogo tra generazioni.
Il “codice” come linguaggio condiviso, in questo spazio scenico che ben si presta all’azione dell’installazione ma anche quale espressione di un tempo che dura, e che afferma un presente e un passato. La storia attuale, ma anche il rinvio a una Verona romana, a quanto vive in questa splendida città, al suo patrimonio storico artistico-culturale famoso in tutto il mondo.
E così l’architrave decorato, il panneggio di una statua di epoca romana, un capitello scolpito (quasi) alla stessa maniera in Britannia o in Siria, determinano la misura del successo di un codice, ci riportano altrove ma fanno immaginare una presenza costante, tra confini, storie, identità e creatività nel mondo. E’ il fascino che Simpson in questa dialettica sa offrire al pubblico, investendo trasversalmente quel concetto di Bellezza, tra antico e contemporaneo, tra passato e presente.
Così come ricorda Marco Meneguzzo, nella pittura interferenziale di Simpson, con i suoi riflessi cinetici, e le sculture antiche sapientemente cesellate, che rivelano un comune sistema di segni e significati, vive una sorta di cifrario usato per la loro creazione, da codificare secondo il periodo storico in cui sono state realizzate. E allo stesso modo in simile contesto la coazione a ripetere tipica degli scalpellini romani, è ben visibile negli intarsi minuziosi dei bassorilievi, nel drappeggio che orna il corpo dell’elegante scultura femminile, come anche nelle dettagliate foglie di acanto del capitello. Segni e simboli volti a dimostrare un’interrelazione organica con i codici della pittura in quanto convivono benissimo insieme. Infatti i suoi quadri, sorta di emblema, luce,e leggerezza sono di una bellezza straordinaria che ammalia, anche attraverso una speciale tecnica stratificata che non manca di colpire il visitatore - dai pigmenti interferenziali (titanio biossido rivestito da particole di mica) all’acrilico nero per intensificarne il colore. Gesto e ripetizione ovvero i codici con cui Simpson raggiunge l’obiettivo di una bellezza che conferisce all’opera, attraverso effetti ottico-percettivi – in quanto il colore dei dipinti cambia in base alla prospettiva dalla quale si ammirano – e che creano giochi di rifrazione della luce sulla superficie della tela in forma cinetica. E’ un colore impossibile da riprodurre, proprio come i marmi romani ci riconducono alle storie del I e II secolo dopo Cristo, per rileggere antico e contemporaneo, passato e presente, o l’idea di un’unica bellezza.