Argenti sgargianti, bottiglierie preziose, vini rari, stoviglie pregiate, magnifici trionfi e centritavola di marzapane, gelatina e zucchero, erano parte, in epoca barocca, di una imbandigione che era un teatro e, insieme, una trionfante esibizione di eccessi e una celebrazione laica e rituale del lusso e della magnificenza. Nient’altro che questo era il banchetto barocco, imbandito sulle mense reali, che aveva sempre, tra i suoi convitati, un protagonista fisso che era il sapore dolce, grazie ad una miriade di leccornie che arricchivano rinfreschi e banchetti dall’inizio alla fine del pasto.
Il primo servizio di credenza si apriva sempre, infatti, con dolcetti, ciambellette, biscotti, mostaccioli e pasticcini di marzapane. La tavola diventava così, da subito, una elaborata alchimia culinaria che produceva piatti sontuosi e spesso inverosimili, in cui, quasi sempre, zucchero o miele, frutta e salse dolci avevano un ruolo fondamentale. Alla fine dei banchetti principeschi lo zucchero (che mai aveva abbandonato il campo ed era stato presente, in varie quantità, in ogni portata) si ripresentava con confetture, confetti, geli, sorbetti, cotognate, gelatine, canditi, conserve, o insieme alla cioccolata, calda e fredda, servita a fine pasto. A dominare, durante tutto il banchetto era stato il sapore agrodolce, ottenuto attraverso gli ingredienti più disparati: se non direttamente con zucchero impiegando fichi, datteri, frutta candita, aceti fioriti, acqua di rose, mieli, acque odorose ed essenze vegetali. Dai pasticci di pesce, carne e verdure, fino ai biancomangiare, lo zucchero si impasta nella cucina barocca con i vari altri sapori in abbinamenti che oggi non possono non sorprendere. Sovrapposizioni e mescolanze di sapori sono infatti una caratteristica fissa della cucina di questa epoca, perché anche sulla tavola barocca – come del resto in quella Medievale – i gusti agro, dolce, salato e piccante si fondono e si confondono in un’unica esperienza sensoriale, senza alcuna netta separazione tra loro, come accade invece oggi.
Carni e pesci (soprattutto d’acqua dolce) lessati, arrostiti, stufati, affumicati, grigliati, trovavano costanti abbinamenti con lo zucchero, cosa che oggi sorprende, ma che rappresentava invece una caratteristica predominante anche della cucina del Seicento. Tutto ciò è reso possibile, ovviamente, dalla disponibilità di questa materia prima, grazie soprattutto al ruolo di Venezia – solido fino dal Duecento – nell’importazione da Candia, Cipro, dall’Egitto e dall’Oriente, e nella commercializzazione continentale, dello zucchero. C’erano, a disposizione di cuochi e farmacisti, vari tipi di zucchero: il mascabù era il più ordinario, lo zucchero bianco zucarum album, il più raffinato. Lo zucchero viaggia in sacchi, in pani e in polvere. Di queste la più raffinata per consistenza è detta polvere dolce, e diventa poi polvere di Cipro, per poi trasformarsi in un prodotto per la cosmesi, la cipria, della quale cicisbei e dame del secolo successivo non potranno fare a meno. La polvere fine di Cipro viene sparsa su ogni tipo di vivanda per ottenere una glassa e formare una crosticina trasparente di zucchero. Esisteva anche uno zucchero bianchissimo detto fioreton e uno colorato e aromatizzato con acqua di rose e di viole detto rosatum e violatum. Nelle botteghe degli speziali veneti lo zucchero in pani, a forma arrotondata, si chiamava caphetino, campanon opanon, e quello a forma piramidale è detto di Babilonia.
Anche gli ornamenti della tavola erano spesso fatti di festoni e fiori di zucchero colorato, con piatti abbelliti da arabeschi e corone di pasta di zucchero che, a volte, veniva impiegata anche per realizzare tazze e recipienti ideati per contenere altre prelibatezze. Nel banchetto offerto all’Arsenale di Venezia a Enrico III di Francia, nel 1574, ogni suppellettile era di zucchero, dai piatti alle forchette, dalla frutta alle tovaglie, dalle salviette al pane. Ma a parte questi memorabili avvenimenti, accanto al ruolo edulcorante, era costante l’impiego dello zucchero per la realizzazione di sagome ornamentali, centritavola, trionfi, sculture e statue che ornano la mensa e il suo contorno.
A volte la teatralità, il gigantismo, l’esibizionismo, l’amore per l’ostentazione degli eccessi tipici della cultura barocca, giungevano ad utilizzare lo zucchero per raffigurare, a grandezza naturale, eroi dell’antichità, personaggi storici, divinità mitologiche, guarnendo queste dolci invenzioni con argento e oro. Anche in questo caso, come nella preparazione delle vivande, l’obiettivo era quello di far percepire ai commensali la tavola principesca come una sorprendente dimensione dello straordinario e quasi del divino.
Testo di Alfredo Antonaros