Dal 14 novembre 2019 al 18 gennaio 2020, la galleria Officine dell’Immagine di Milano ospita la più ampia personale mai realizzata in Italia dell’italo-senegalese Maïmouna Guerresi, a cura di Silvia Cirelli.
Molto nota a livello internazionale, Maïmouna Guerresi è tra i protagonisti dell’attuale Lagos Photo Festival, oltre ad essere inclusa nella collettiva Modest Fashion allo Stedelijk Museum Schiedam. Chiamata a esporre in prestigiosi musei come il LACMA Museum di Los Angeles, Institute du Monde Arabe IMA e il Cultural Institute of Islam ICI di Parigi, il KIASMA Museum of Contemporary Art di Helsinki, il National Museum of Sharjah, il National Museum of Bamako o il MACAAL Museum di Marrakech; i suoi lavori fanno parte di grandi collezioni pubbliche come quelle del Smithsonian African Art Museum di Washington, il LACMA Museum di Los Angeles o il M.I.A Minneapolis Institute of Art.
Artista poliedrica dall’incisiva forza poetica, Maïmouna Guerresi si relaziona costantemente con temi di attualità come l’identità e la multiculturalità, creando un dialogo allusivo fra la cultura europea e quella africana. Miscelando ingredienti personali a testimonianze del reale, Guerresi esplora la molteplice varietà dei linguaggi stilistici – dal video all’installazione, dalla fotografia alla scultura – tracciando un percorso narrativo che trova nell’esaltazione della spiritualità, il motore di ricerca primario. Nella sperimentazione di un’umanità universale, dove l’armonia fra culture e fedi diverse prende il posto della paura e della sorda negazione, l’artista conquista un’audacia espressiva carica di seducenti simbolismi e contemplazioni estetiche.
La mostra presentata a Milano, dal titolo RÛH/SOUL, ripercorre i tratti distintivi della sua vasta carriera artistica, ponendo l’accento su un registro lessicale ibrido, combinazione di rimandi mistici, metafore culturali e influenze taumaturgiche. La scelta stessa del titolo – l’arabo rûh significa “spirito interiore” – contestualizza un approccio narrativo che assorbe un’accentuata sensibilità contemplativa, da sempre filo conduttore della sintesi poetica di Maïmouna Guerresi. Nell’urgenza di interiorizzare e poi svelare il messaggio artistico, la simbologia del corpo diventa allegoria della dimensione interiore: il corpo come luogo d’incontro di fedi diverse, il corpo come manifestazione della forza umana, il corpo come dimora sacra di una trasformazione in continuo divenire. Gestualità, cromatismo, scelta degli abiti e degli scenari, costruiscono un istante immortalato nella sua complessa elaborazione, un istante che regala ai personaggi degli scatti una monumentalità quasi eterea, sospesa fra realtà e trascendenza.
La giustapposizione fra oggetto, il suo utilizzo e il suo significato culturale è da sempre essenziale nel mondo visionario dell’artista e si confronta con i richiami della credenza sufi, una specifica pratica mussulmana dal carattere mistico e ascetico che colloca l’uomo al centro dell’universo, in rapporto diretto con il divino. Questa ricerca d’intimo dialogo con il divino, rivendica l’importanza degli elementi naturali come la simbologia dell’albero o del ramo, che diventano ponte metafisico fra il cielo e la terra; ma sorprende anche per l’impiego di altalene, trampolini o sacchi gonfi d’aria, metafore di un processo di sospensione, di sollevamento dal suolo. Sull’assolutezza del passaggio costante fra energia terrena e contemplazione interiore, l’artista proietta la propria trama culturale, una trama che sul concetto evolutivo della vulnerabilità umana, costruisce la propria legittimità.