Dal 16 maggio al 13 luglio 2019, la galleria Officine dell’Immagine di Milano è lieta di presentare la seconda personale dedicata a Halida Boughriet (Lenz, 1980), una delle autrici più interessanti dell’emergente scena contemporanea.
Curata da Silvia Cirelli, la mostra Out of Place propone i recenti progetti di questa talentuosa interprete, presentati in esclusiva italiana. Già riconosciuta a livello internazionale per esposizioni al Centre Pompidou e all’Institut du Monde Arabe di Parigi, alla Biennale di Rabat, alla Depart Foundation di Los Angeles, a Documenta 14 o alla11sima Biennale di Dak’Art, Boughriet sorprende per un’ecletticità espressiva rara, che spazia dalla fotografia al video, fino alla performance, in cui lei stessa diventa portavoce del messaggio artistico.
Da sempre attenta all’esplorazione di tematiche socioculturali, identitarie, comportamentali e geopolitiche che riguardano la storia culturale attuale, Halida Boughriet traduce in arte la precarietà di un momento storico segnato dal senso di sradicamento, l’incomunicabilità fra le persone e il bisogno di appartenere. Arrivando all’autentica essenzialità emotiva e denudando completamente le vulnerabilità umane, la narrazione di questa giovane interprete vede il corpo come punto focale dell’intero percorso creativo. Nella spasmodica urgenza di colmare il vuoto di un doloroso dinamismo nomade, la simbologia del corpo diventa dunque motore di ricerca e soprattutto allegoria della restituzione di un’identità.
Nucleo centrale del percorso espositivo le serie Border del 2017, e Exile de Anges del 2019, dove l’equilibrio fra luce e ombra, di chiara ispirazione caravaggesca, sintetizza un paesaggio emozionale costruito dall’autenticità di persone comuni. I protagonisti degli scatti sono infatti testimoni di guerre, violenze, soprusi, ai quali l’artista restituisce quella voce che è stata tolta loro. Anche nel progetto fotografico Les absents du décor del 2018 è di scena la fragilità umana, questa volta però, enfatizzata dalla ricostruzione di finti universi a dimensione d’uomo realizzati dalla stessa artista con l’utilizzo del cartone. Come vere e proprie mise en scènes di stampo occidentale, queste inverosimili ambientazioni rivelano la minuziosa attenzione per i dettagli che l’artista dedica a ogni singolo progetto, scegliendo un vocabolario estetico che vede l’importanza del concetto di archivio e riappropriazione di una memoria culturale. La reinterpretazione di delicati contenuti come la violenza, nelle sue accezioni più ampie, da quella individuale a quella sociale o politica, si condensa nell’opera Bullet AK-47 (2018) e nel video Lamma bada, for what appeared to be (2019). In quest’ultimo, la veemenza di un oggetto bellico, il fumogeno tenuto in mano dall’artista, viene snaturalizzato e “piegato” dalla suggestiva e poetica danza che accompagna la romantica melodia cantata dalla nota Fairouz nel 1960. Chiude la mostra, la recente serie Ce qui Brûle (2019), incisioni a laser su legno, che raffigurano scene di guerre, ribellioni o distruzione, prese da internet o giornali. Il fuoco del laser scalfisce il legno in maniera indelebile e permanente, quasi a voler gridare l’urgenza di affrontare in modo deciso e risoluto la crisi umanitaria che è quotidianamente sotto i nostri occhi ormai da troppo tempo.