Nel XVII secolo le indiane – tele di cotone stampate e dipinte provenienti dall’India – conquistano il mercato europeo. La nuova mostra temporanea al Museo nazionale presenta numerose di queste magnifiche tele, racconta la storia della produzione tessile, tematizza il patrimonio coloniale e ripercorre le rotte commerciali tra India, Europa e Svizzera.
Fino al secolo scorso il cotone era una delle merci più importanti al mondo. Da questa pianta, che cresce solo nelle regioni tropicali e subtropicali, si realizzano tessuti che, insieme al cotone grezzo, sono diventati uno dei prodotti commerciali più apprezzati. Le indiane hanno avuto un ruolo determinante: fin dai tempi precristiani, infatti, si sono sviluppate tecniche di tintura e di stampa che sono rimaste a lungo inaccessibili e hanno costituito il modello per le stampe su tessuto in Asia e in Europa.
Tessuti indiani con motivi insoliti, in seguito conosciuti con il nome di indiane, fanno la loro comparsa in Europa a partire dal XVI secolo. Nel XVII secolo alcuni ingegnosi uomini d’affari iniziano a ricreare queste stoffe, che un secolo più tardi vengono accolte con entusiasmo dal pubblico. Il loro utilizzo è estremamente variegato: vengono impiegate per realizzare abiti, tende, carte da parati o rivestimenti per poltrone e divani delle abitazioni dell’alta società. Il successo è tale da costringere la Francia a chiudere le frontiere per proteggere la produzione della seta nazionale, fornendo così nuove opportunità per la Svizzera e le aziende elvetiche che presto conquistano un ruolo importante nel settore dei tessuti di cotone.
All’inizio del XIX secolo, grazie all’avvento della rivoluzione industriale, gli europei riescono a produrre tessuti di cotone a prezzi molto più bassi. I flussi commerciali in seguito si invertono: l’India esporta il cotone come materia prima e allo stesso tempo importa tessuti di cotone più economici, che mettono in difficoltà la fiorente industria artigianale. I piccoli agricoltori perdono il lavoro, la povertà e la fame dilagano. La città di Bombay (l’odierna Mumbai) diviene il centro del commercio del cotone e si afferma un’industria tessile indipendente in rapida espansione. La società commerciale svizzera Gebrüder Volkart (l’odierna Volkart Holding AG), che alla fine del XIX secolo diventa uno dei maggiori esportatori di cotone al mondo, fonda la sua prima filiale a Bombay nel 1851.
Ma all’epoca la presenza svizzera nel subcontinente non si limita solo agli uomini d’affari. La società missionaria evangelica di Basilea «Basler Mission», fondata nel 1815, è attiva nel territorio con i suoi missionari, che sono stati inviati qui per convertire gli indiani, in particolare gli indù. È necessario però finanziare i servizi sociali, gli ospedali e le scuole che i missionari stanno costruendo. Si inizia così a trarre profitto dalle fornaci, tipografie e tessiture, ma allo stesso tempo si accende il dibattito sul fatto se sia lecito o meno realizzare dei guadagni con la missione.
Nel XX secolo, il cotone in India assume ancora una volta un ruolo importante. Dal 1930, il cotone filato e tessuto a mano, noto come khadi, diventa il simbolo del movimento di liberazione dell’India e il tratto distintivo del Mahatma Gandhi. Il fotoreporter svizzero Walter Bosshard immortala gli eventi di quel periodo con la sua macchina fotografica. Il suo reportage fotografico del 1930 ritrae Gandhi in un momento della sua vita privata mentre tesse a mano. E le foto fanno subito il giro del mondo.
La mostra che si tiene al Museo nazionale Zurigo presenta una selezione di tessuti indiani ed europei, tra cui preziose opere in prestito provenienti dalla Svizzera e dall’estero, e racconta inoltre il ruolo delle aziende svizzere nel settore dell’oro bianco: una storia fatta di interconnessioni, un esempio di come la storia svizzera sia legata direttamente alla storia mondiale.