Dimora Artica presenta Taixunia, mostra personale di Giusy Pirrotta. Unendo diversi riferimenti tratti dall'antropologia culturale e dalla sociologia contemporanea, il progetto è sviluppato intorno al mito del paradiso perduto, tra illusione e realtà.
Il mito di un luogo utopico dove regna pace e armonia, e in cui l’uomo vive in completa simbiosi con la natura e il cosmo, è presente in molte culture, religioni, sistemi mitologici e credenze, oltre ad essere stato sviluppato in ambito letterario, soprattutto dal diciannovesimo secolo, da autori come Goethe, Thoreau, Nietzsche, Flaubert, Dostoevsky.
Eden, Paradiso, Età dell’oro, Arcadia e Campi Elisi sono nomi diversi dello stesso archetipo dell'immaginario collettivo, solitamente descritto come un luogo fantastico perso a causa di un evento apocalittico, una tragedia, una catastrofe naturale, una maledizione divina, o un comportamento che attira forze oscure e diaboliche.
In Memories and Visions of Paradise, Exploring the Universal Myth of a Lost Golden Age (1995), Richard Heinberg esplora dal punto di vista storico e antropologico diversi miti sul paradiso perduto, interpretandoli come l'elaborazione di ricordi di un luogo reale, sedimentati nella memoria collettiva. In tali visioni ricorrono riferimenti ad una dimensione pastorale in cui l'uomo è in armonia con il cosmo, un equilibrio che secondo John Zerzan (1999, Against Civilisation, Reading and Reflections) si è incrinato gradualmente con l’avvento della civilizzazione, un fattore talmente pervasivo da produrre stati di alienazione e inadeguatezza, che sfociano in patologie e nevrosi. Secondo Zerzan e il pensiero Anarco Primitivista, la perdita del contatto con l'aspetto primitivo, nomade e selvaggio dell’uomo contemporaneo corrisponde alla perdita dell’autosufficienza e della libertà dell’uomo stesso originariamente raggiunta nel suo profondo rapporto con la natura. L’uomo contemporaneo diventa dipendente e chiuso dentro un sistema di produzione e consumo dove il capitalismo è talmente radicato nella nostra esistenza da non consentire alternative se non la fine del mondo. Secondo Mark Fisher (2009, Capitalism Realism: Is there no Alternative?) le distopiche visioni cinematografiche che riportano l’uomo ad uno stato primordiale dopo una catastrofe naturale o un evento di distruzione di massa, sono testimonianze della mancanza di vere alternative: l'inconscio collettivo rivela l'ineluttabilità del sistema di forze che diventano parte del reale.
Sviluppato intorno a queste riflessioni e sul ruolo sociale e antropologico che i miti sull'Arcadia rivestono nella contemporaneità, Taixunia mira a descrivere un luogo costruito sull’idea di escapismo e riscoperta di un mondo dove l’uomo ritrova il contatto con la propria “umanità” legata al rapporto con la natura. Giusy Pirrotta rielabora forme tratte dal folklore e dalle credenze popolari, in particolare osservando rituali che esaltano l’avvicinamento alla dimensione primitiva e selvaggia dell’uomo, per narrare una nuova storia in cui poter immaginare un’alternativa alla società contemporanea.
Il nome di questa nuova utopia deriva dalla parola cinese taixu, che significa grande vuoto, vuoto supremo dal quale tutto nasce e tutto ritorna, concetto che emerge in diversi percorsi filosofici e religiosi orientali e che Zhang Zai (1020 - 1077), filosofo cinese neo-confuciano della dinastia Song, per primo associa al Qi, la forza vitale, contraddicendo la definizione Buddista e Daoista di Taixu come vuoto assoluto che non può contenere nulla al suo interno, ma definendolo come elemento catalizzatore e di trasformazione se associato alla forza vitale.
Taixunia è dunque un luogo, una meta finale che si può raggiungere solo con l'ausilio di particolari strumenti, decifrando un linguaggio sconosciuto e compiendo rituali che saranno scoperti lungo il cammino e che l’artista definirà con lo sviluppo del progetto. Lo spazio di Dimora Artica viene trasformato da Giusy Pirrotta nel primo capitolo di questa storia in cui sono presentati tre personaggi in procinto di partire per Taixunia per ritrovare l'essenza originaria dell'esistenza.
Elemento centrale della mostra è una grande mappa che rappresenta Taixunia attraverso montagne e corsi d'acqua, una mappa dipinta su più di duecento piastrelle di ceramica bianca disposte sul pavimento. Oltre a ricordare le tipiche decorazioni portoghesi chiamate azulejos, l'opera reinterpreta la tradizione pittorica cinese Shan Shui, in cui il paesaggio è rappresentato in modo idealizzato e non realistico, accostando i colori secondo un diagramma che esprime forze ed equilibri della natura e le sensazioni provate dall'artista nella natura selvaggia.
Sculture realizzate con ceramica smaltata e altri materiali presentano i tre protagonisti di questo viaggio: teste e maschere dipinte con diversi colori, in continuità con il paesaggio, dagli occhi che s’illuminano con luci colorate. Lo sguardo degli esploratori proietta all'esterno, sotto forma di luce, il paese che essi desiderano, luogo che corrisponde alla loro interiorità più profonda, insieme origine e destino.
Una di queste proiezioni diviene sequenza d'immagini, sotto forma di diapositive tratte dalla raccolta di incisioni Voyage Pittoresque Ou description des Royaumes De Naples et De Sicilie, resoconto delle esplorazioni effettuate dall’artista francese Jean Honorè Fragonrad nel periodo a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, epoca di rinnovato interesse per l'antichità e di Gran tours formativi tra rovine e paesaggi bucolici.
Il legame tra paradiso desiderato e ricordo del luogo originario è suggerito da Giusy Pirrotta anche in chiave autobiografica, scegliendo tra le incisioni quelle che si riferiscono alle “Calabrie”, nome con il quale un tempo era definita l'attuale Calabria, tra le quali compare anche la sua città d'origine.
La dimensione affettiva dei ricordi che vanno a formare l'inconscio personale e collettivo diviene quindi la chiave per decifrare miti e immagini simboliche, che emergono dall'interiorità andando a formare la nostra visione del mondo.