Nel 1919 André Breton e Paul Soupault conducono uno dei primi leggendari esperimenti di scrittura automatica: per intere giornate e notti insonni Breton e Soupault scrivono testi a quattro mani, seguendo libere associazioni e spericolati accostamenti verbali, cercando di svincolarsi dal controllo della ragione. Questi pensieri in libertà vengono raccolti nella pubblicazione I campi magnetici, apparsa nel 1920, qualche anno prima della nascita ufficiale del surrealismo consacrata dal manifesto del 1924. I campi magnetici può essere considerata la prima opera letteraria basata sulla scrittura automatica: raccoglie infatti un flusso ininterrotto di testi intrisi di immagini che sgorgano dall’inconscio – sogni, allucinazioni e desideri profondi, lontani dalla logica utilitaristica del linguaggio comune, a favore invece di una narrazione ricca e generativa di nuovi legami con la realtà.
A cent’anni di distanza, la mostra I campi magnetici prende spunto da questo essenziale testo surrealista per intessere un dialogo tra diverse generazioni di artisti che usano la rappresentazione del corpo e delle sue metamorfosi come veicoli per riflettere su tematiche quali l’identità e il desiderio.
Mettendo a confronto le opere di artisti storici come Man Ray con quelle di vari eredi della sensibilità surrealista quali Enrico Baj, Richard Hamilton e Louise Nevelson, la mostra I campi magnetici introduce anche il lavoro di vari giovani artisti che praticano una forma di neo-surrealismo, mescolando un rinnovato interesse per la figurazione con tensioni più oscure o, alternativamente, con un senso solare di meraviglia e stupore.
Attraverso un fitto dialogo inter-generazionale, la mostra registra le forze di attrazione e repulsione che intrecciano a distanza le opere di vari artisti contemporanei e moderni, collegando maestri del ventesimo secolo e giovani promesse dell’arte internazionale. La mostra funge così anche da biografia intellettuale della Galleria Marconi, innestando sull’eredità storica dello Studio Marconi l’instancabile ricerca di nuovi talenti di Gió Marconi.
Curata da Cecilia Alemani, la mostra si focalizza sulla rappresentazione del corpo – e, in particolare, del corpo femminile – per analizzare e contrastare diverse concezioni della sessualità e della definizione del sé. Tra feticci e totem, la mostra I campi magnetici mette in scena molteplici anatomie fantastiche, in cui il corpo è rappresentato in un flusso costante di trasformazione: dispossessato, dematerializzato, e ricomposto. Installata come una camera delle meraviglie – o una “camera nera”, per citare una delle oltre 20 importanti opere di Man Ray in mostra – I campi magnetici alterna volti e ritratti, oggetti antropomorfi e corpi senz’organi, talismani e fantocci mutanti.
La mostra si apre con un’infilata di fotografie nelle quali Man Ray ha ritratto i manichini che adornavano l’ingresso dell’Esposizione Internazionale del Surrealismo del 1938 a Parigi. Una serie di opere di Louise Nevelson, Man Ray, Virginia Overton e Julia Phillips riprende e amplifica le atmosfere perturbanti del surrealismo, combinando oggetti quotidiani e misteriose rivelazioni metafisiche.
Nella sala principale, trasformata in un boudoir, si susseguono opere storiche e nuove scoperte, in un piccolo psicodramma da camera nel quale i diagrammi interiori di Kerstin Brätsch convivono accanto alle dame di bric-a-brac di Enrico Baj o vicino alle stele della Nevelson. Le più giovani Hannah Levy, Elaine Cameron-Weir e Julia Phillips, invece, compongono protesi per nuovi corpi post-umani e altre divinità ortopediche – parenti lontani delle marionette di inizio secolo e degli strumenti medici che tanto hanno affascinato sia Man Ray sia Richard Hamilton. I quadri di Gina Beavers, Santiago De Paoli, Emily Mae Smith e Summer Wheat riprendono linguaggi vernacolari, tra il pop e il naïf, con i quali descrivono frammenti di anatomie pulsanti di desideri, mentre le sculture morbide di Genesis Belanger aggiornano gli oggetti d’affezione di Man Ray in un gioco di rimandi continui tra passato e futuro, sotto l’influenza di nuove forme di attrazione tra opposti.
I campi magnetici è la seconda mostra curata da Cecilia Alemani per la Galleria Gió Marconi. Nel 2009 la mostra Solaris aveva introdotto per la prima volta al pubblico milanese le opere di Rosa Barba, Kerstin Brätsch, Haris Epaminonda, David Maljković, e i video e le sculture di Ryan Trecartin e Lizzie Fitch.