La mostra, a cura di Gianluca Ranzi, raccoglie le opere di Alberto Biasi, Axel Lieber, Christian Megert e Nahum Tevet intorno al suggestivo tema del caso e della necessità, suggerito dal titolo del famoso libro del biologo francese Jacques Monod.
L’arte, il cinema, la letteratura sono le spie dell’esistenza del caso: esse mostrano come le biforcazioni (di esistenze, di possibilità, di eventi) siano continue e spesso impreviste. I molteplici casi che l’arte mette in scena danno luogo a mondi differenti, spesso divergenti, che confutano l’idea di un mondo unico rigidamente tenuto insieme dalla necessità. Monod sostiene infatti che è solo una visione d’insieme, che tenga uniti il caso e la necessità, che può spiegare l’evoluzione umana e quindi i suoi prodotti culturali. Gli artisti convocati per questa mostra hanno in comune, pur nella diversità delle rispettive ricerche e nella varietà dei loro esiti, un atteggiamento ambivalente che mostra da una parte la necessità della forma (Axel Lieber), della composizione (Nahum Tevet), del dinamismo (Alberto Biasi), dello spazio (Christian Megert), ma dall’altra innestano anche nelle loro opere un anticorpo, che potremmo chiamare un derivato del caso, che manda in frantumi l’ordine e la necessità di quella prima impostazione.
Nel caso di Alberto Biasi la dinamica ottico-percettiva delle sue opere si arricchisce di una molteplicità infinita di casi e sotto-casi, si complica e si apre alla variazione, non solo cromatica ma soprattutto percettiva, per cui non esiste più l’univocità del centro, ma un’inesauribile ricchezza di punti di vista, di fughe nello spazio e nel tempo, di ingegnosissime soluzioni tecniche e di sottili accorgimenti psicologici: macchine capaci di promuovere emozione interna ed esterna all’opera.
Per Nahum Tevet l’opera evidenzia una memoria che procede per frammenti e quasi si innesca a partire da una decostruzione degli oggetti, del loro senso così come della loro funzione. L’interazione tra forma, colore e spazio è anche il sintomo di una mentalità che è erede delle avanguardie storiche ma non ne è succube e il colore, qui e là, e il non-finito, servono ad alleggerire il senso di un progetto totale, a cancellare l’ideologismo attraverso la rimodulazione continua e il riadattamento.
Christian Megert usa la luce e il riflesso luminoso come un laser che segmenta, taglia e scompone lo spazio del quadro, allargandosi all’ambiente e alle dinamiche percettive dello spettatore. Lo specchio diviene il mezzo principe per moltiplicare identità multiple e formulare in libertà nuove e continue ipotesi di modulazione spaziale. In questo modo elementi di complessa costruzione creano movimento attraverso il riflesso e la dinamica delle corrispondenze, anche per via di dissonanza.
Le installazioni e gli assemblages di Axel Lieber sono un viaggio ironico e surreale intorno al mondo degli oggetti quotidiani, che diventano rompicapi e calembours, sono miniaturizzati o ingigantiti, rintuzzati e decostruiti. Antropologia, scienza, humor e fantasia convivono nelle sue opere e suggeriscono infiniti mondi possibili, pongono continue sfide alla logica e costituiscono anche un irresistibile godimento per l’intelligenza.