Galleria Raffaella Cortese è lieta di presentare la seconda mostra personale di Francesco Arena. Come nel 2015 la mostra si articola nei tre spazi della galleria con il medesimo “rapporto” di un’opera per ogni spazio. Coerente con la sua ricerca che intreccia memoria storica collettiva e personale, Tre sequenze per voce sola, segna un nuovo capitolo nella poetica di Arena. Il titolo, che in parte ricorda quello delle “Sequenze” per voce composte da Luciano Berio, a livello ideale scandisce la partizione della mostra: tre opere e tre racconti ognuno narrato da una sola voce, dove storia, tempo e spazio si fondono. In via Stradella 7, Angolo Scontento (Hommage à la mort de Sigmund Freud) è un triangolo cavo sospeso da terra. La scultura, in rame opaco all’esterno e specchiante all’interno, ospita una persona seduta, nata nello stesso anno della morte di Sigmund Freud (1939) che racconta di se stesso e della sua vita. L’opera diventa concretizzazione della distanza temporale tra un’azione definitiva, la morte di Freud, e l’oggi. L’idea di anniversario in ricordo di una morte è qui analizzata attraverso il suo contrario: una vita, quella del performer, iniziata quando il fondatore della psicanalisi morì. La scultura è destinata a cambiare nel tempo: ogni anno l’età del performer aumenterà così come la distanza tra il presente e l’anno della morte di Freud, sino a quando l’opera non potrà più essere abitata.
Il secondo racconto lo si ascolta nello spazio di via Stradella 4 tramite una registrazione su nastro magnetico. Questa scultura sonora fonde tempo e distanza. Esiste una formula geometrica per calcolare la massima distanza tra l’osservatore e l’orizzonte che sta osservando. Linea finita (orizzonte Gianluigi) consiste in una bobina di nastro magnetico per registrazioni audio lunga quanto la distanza tra l’osservatore e il suo orizzonte e su cui è registrata la sua storia: il punto di osservazione della persona, in questo caso Gianluigi, è a 168 cm di altezza, che determina una bobina di 4.630 metri contenente un tempo di circa 6 ore 46 minuti e 8 secondi di registrazione audio. L’opera diventa un ritratto/autoritratto che, all’occorrenza, può essere riprodotta su commissione. Nel terzo atto della mostra, protagonista è il silenzio su una verità troppo a lungo nascosta. Su un piano rialzato al centro dello spazio di via Stradella 1 vi è riposto Marmo con 3274 giorni, scavato in modo da ospitare un numero di fogli di agende corrispondenti ai giorni che vanno dal 23 ottobre 2009 al 10 ottobre 2018, rispettivamente giorno della divulgazione mediatica del decesso di Stefano Cucchi e quello della testimonianza che incrimina i carabinieri presenti al fermo del geometra romano per le percosse che ne hanno determinato la morte. Per 3274 giorni le responsabilità sono state negate dall’Arma e da buona parte del mondo politico italiano nonostante fossero evidenti sin dal primo giorno perché impresse sul corpo della vittima.
Le opere che compongono la mostra sono tre racconti non-fiction, reali. Ritornano temi cari alla produzione dell’artista quali la fascinazione verso il mondo numerico che va a determinare spesso anche l’aspetto formale delle opere, la riflessione sullo scorrere del Tempo e sull’idea di monumento come memoria collettiva e segno. Francesco Arena ringrazia Gianluigi Trevisi e Davide Viterbo per aver reso possibile la realizzazione dell’opera Linea finita (orizzonte Gianluigi).
Francesco Arena nasce a Torre Santa Susanna, Brindisi, nel 1978. Vive e lavora a Cassano delle Murge, Bari. Ha esposto in numerosi musei ed istituzioni italiane ed estere tra cui ne ricordiamo alcuni: Kunstmuseum St. Gallen; Castello di Rivoli, Rivoli (TO); Triennale di Milano, Milano; Frac Franche-Comté, Besançon, Olnick Spanu Art Program, Garrison, NY; Frac Champagne-Ardenne, Reims; Museion, Bolzano; Fundação Iberê Camargo, Porto Alegre, Brasile; Peep Hole, Milano; De Vleeshal, Middelburg, Paesi Bassi; MAXXI, Roma; Nomas Foundation, Roma; Fondazione Merz, Torino; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino. Nel 2013 ha partecipato al Padiglione Italia nella 55° Biennale di Venezia, Venezia curato da Bartolomeo Pietromarchi.