Intitolata come un cut-up o un découpé e tenuta insieme dal format della mostra, questa serie assume la forma momentanea di un singolo lavoro prima di affrontare un futuro di separazione, distanza e riconfigurazione. La ripetizione indica un processo continuo di divenire all’interno di questa nuova serie di opere monocromatiche in cui la mano diventa misura per il mondo attraverso gesti viscerali e impronte. Questi gesti si allontanano dall’idea di marchiare o dal desiderio di lasciare una impronta individuale, e uniscono, invece, la trasparenza e l’interazione dei materiali attraverso un intimo atto di scoperta. I fori per le dita cuciti fanno pensare di poter attraversare il piano pittorico – entrando nell’immagine… provandola e indossandola. Questi dipinti sono sinceri promemoria che la superficie e l’immagine sono una costruzione. L’improvvisazione e l’evidenza della mano diventano un mezzo per ricordare l’autorialità come processo fittizio, una ricerca di un’immagine che si insinua e scivola nell’essere.
In “L’ordine del tempo”, Carlo Rovelli disgrega il tempo come lo intende da sempre e suggerisce, in alternativa, che il tempo possa essere meglio compreso a partire dalla struttura del nostro cervello e delle emozioni, piuttosto che dall’universo fisico. Suggerisce che non possiamo definire completamente o adeguatamente il tempo perché “non abbiamo la grammatica per farlo”. Mahinay vede l’astrazione come uno spazio per avvicinare queste incognite. Non avere la grammatica è una traccia per la crescita. L’incertezza è un segno per la possibilità di scoperta e reinvenzione. Qui si può avere l’opportunità di formare nuove reti neurali. La terra di confine tra l’astrazione e la figurazione offre un luogo per esplorare il confine tra il sé e l’altro e la tenerezza per la condizione di incompletezza condivisa dell’umanità.