L’effimero barocco seicentesco si caratterizza per i festeggiamenti, per i quali le corti facevano costruire sontuosi carri trionfali, maschere e allegorie, scenografie strepitose, spesso a carattere mitologico. I carri venivano fatti sfilare all’aperto con un corteo, davanti ad un foltissimo pubblico. L’ aggettivo effimero stava ad indicare la brevissima durata degli apparati, utilizzati solo il giorno della festa. Poi venivano tutti smontati e, in parte, adibiti ad altri scopi. Capiamo quindi quale importanza storica abbiano i dipinti che raffiguravano questi eventi, unico modo per noi di poterli conoscere.
La mostra Il carro d’oro di Johann Paul Schor, visibile nella Sala delle nicchie di Palazzo Pitti fino al 5 maggio, è nata intorno ad un quadro che da il titolo alla mostra, acquistato nel 2017 all’ultima Biennale dell’Antiquariato a Firenze dal Direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Shmidt. “L’acquisizione del grande dipinto di Johann Paul Schor si è rivelata una opportunità per approfondire gli studi sull’artista – commenta il Direttore –e per ricostruire non solo la storia dell’evento raffigurato sulla tela, ma tutto un tessuto di relazioni artistiche e di committenza nel secondo Seicento a Roma e a Firenze”. Con dovizia di particolari, a cominciare dalle 25mila foglie d’oro che componevano l’albero posto sul carro e le ghirlande che adornavano le damigelle( in verità maschi camuffati ) del corteo, avvolte in abiti giallo oro ricoperti da voluttuose trasparenze, l’artista mostra il corteo allestito a Roma nel 1664 per il Carnevale del Principe Giovan Battista Borghese. Schor è anche colui che ha realizzato il carro d’oro della sfilata, obbedendo alla mentalità del secolo di celebrare in fasto e in allegria. Secondo Gian Lorenzo Bernini, che lo aveva come collaboratore, Schor era in grado di disegnare qualsiasi cosa. Ma una tale realizzazione presupponeva anche una preparazione scientifica oltre che capacità artistiche, poiché si trattava di marchingegni di grande peso, quindi anche difficili da progettare e movimentare e perché la riuscita del progetto dipendeva anche dal saper valutare, da parte del costruttore, come illuminare le varie parti del corteo per renderlo ben visibile ai tanti spettatori. La sua provenienza da Innsbruk diceva dell’ illustre scuola di ottica da lui frequentata in quella città, prima di venire in Italia. Qui ben presto divenne famoso. I Borghese ripetutamente si rivolsero a lui, ma anche i Colonna, per i quali nel 1662 l’artista ideò uno spettacolare letto, non arrivato a noi altro che in un disegno ( in mostra), composto di una gigantesca conchiglia che emerge dal mare in un trionfo di cavalli e figure mitologiche. Insieme con il fratello Egid fu chiamato dai Colonna a decorare la galleria del palazzo. Altre grandi famiglie romane, i Chigi, i Barberini, i Rospigliosi, ne chiesero i servigi, come si desume dalla ricerca di Elena Fumagalli,che ha trovato manoscritti inediti riguardanti anche le spese sostenute “dall’eccellentissimo Prencipe, Don Giovan Battista Borghese”.
A fine mostra la grande tela di Schor sarà destinata al futuro Museo delle Carrozze, che avrà sede a Palazzo Pitti.
Indissolubilmente legato a questo quadro è la Giostra dei Caroselli a Palazzo Barberini per l’arrivo a Roma di Cristina di Svezia, monumentale tela di Filippo Gagliardi e Filippo Lauri. E’ stato richiesto al Museo di Palazzo Braschi a Roma. Un prestito importante che permette allo spettatore di seguire il racconto di come si celebrava, all’epoca, il Carnevale, con l’ evento notturno del 28 febbraio 1656, di portata eccezionale, fatto per accogliere la sovrana che aveva abiurato alla sua religione, convertendosi al cattolicesimo. Alla luce di centinaia di fiaccole, nella piazza antistante Palazzo Barberini, corredata per l’occasione di tre ordini di comode tribune che accolsero più di tremila spettatori, Il Papa volle rendere onore alla Regina al suo arrivo nell’Urbe con una sfilata di carri allegorici, nei colori della regina, bianco e azzurro, e in quelli del Papa, rosso e oro. E’ una veduta aerea con particolari squisiti, che, a ben guardare, ci dicono molto del modo di vestire, della divisione in classi( nell’angolo a destra è dipinto il popolo che cerca di varcare lo sbarramento per assistere più da vicino allo spettacolo), della ricchezza esibita della chiesa cattolica, delle simbologie usate per indicarne la superiorità rispetto al protestantesimo.
In mostra sono esposti anche stampe. disegni, oggetti e incisioni (inclusa una selezione dei Balli di Sfessania, acquaforti satiriche di Jacques Callot, che ci danno indicazioni di come le persone meno abbienti festeggiavano il Carnevale in strada), per rivivere la magia, le esagerazioni e i costumi dei carnevali e delle feste nel Seicento.
La piacevolissima mostra è curata da Alessandra Griffo e Maria Matilde Simari. Si tratta, grazie alle scelte espositive frutto di studi approfonditi di una “piccola grande” mostra. Per gustarla appieno è importante leggere il catalogo di Sillabe, corredato di foto che permettono di apprezzare i dettagli dei due dipinti principali, e non solo, tanto da darci una visione storica per immagini della vita nella seconda metà del 600.