Dal 17 novembre 2018 al 3 marzo 2019, Palazzo Magnani di Reggio Emilia celebra Jean Dubuffet (1901-1985), uno dei maggiori pittori del Novecento, protagonista dell’Informale.
La mostra, dal titolo L’arte in gioco. Materia e spirito 1943-1985, ne illustra la figura di genio universale e multiforme, esplorando i numerosi cicli creativi, le vaste ricerche, le sperimentazioni tecniche inedite e originali.
La rassegna, curata da Martina Mazzotta e da Frédéric Jaeger, presenta una selezione di 140 opere - dipinti, disegni, grafiche, sculture, libri d’artista, dischi - provenienti principalmente dalla Fondation Dubuffet di Parigi e dal Musée des Arts Décoratif di Parigi, nonché da musei e collezioni private di Francia, Svizzera, Austria e Italia, oltre a un nucleo di 30 lavori di protagonisti storici dell’art brut, realizzato in collaborazione con Giorgio Bedoni.
“Dubuffet fu un autentico homme-orchestre - affermano Martina Mazzotta e Frédéric Jaeger - un artista-alchimista nel senso più antico del termine, per il quale l’arte viene a estendere il reale, viene a rendere visibile l’invisibile. Nelle sperimentazioni sulla materia e poi sul puro segno, anche in maniera provocatoria, ambigua, sconvolgente, egli risveglia nell’osservatore il senso di meraviglia, di stupore e di bellezza per il mondo, un mondo in cui verità e realtà coincidono. Con il suo rigore vitalissimo e intriso d’ironia, Dubuffet ha saputo estendere i limiti convenzionali dell’arte in maniera autonoma, originale e ancora feconda oggi: il gioco dell’arte”.
Il percorso espositivo, suddiviso in tre sezioni principali, si sviluppa intorno alla dialettica tra le due nozioni di materia e spirito.
La prima, dal 1945 al 1960, presenta tutta la ricchezza dei cicli intorno alla materia, da Mirobolus, Macadam et Cie a Matériologies; la seconda verte sugli anni compresi tra il 1962 e il 1974, con i lavori della serie de L’Hourloupe, nati da un disegno eseguito macchinalmente al telefono, che si trasformerà 12 anni più tardi in scultura monumentale.
La terza parte esplora il nuovo orizzonte di intenso cromatismo, sviluppatosi tra il 1976 e il 1984 con i Théâtres de mémoire e con i Non-lieux, dove il forte gesto pittorico svela “non più il mondo ma l'immaterialità del mondo” (Dubuffet).
La rassegna include una sezione dedicata all’art brut, termine coniato nel 1945 dallo stesso Dubuffet che ne costituì la prima collezione al mondo designata con tale nome. Si tratta di una forma di espressione artistica spontanea, scoperta dall’artista negli ospedali psichiatrici, propria di quei talenti che, privi di una formazione accademica, sono posseduti da un istinto creatore puro e talvolta ossessivo. A Palazzo Magnani si possono ammirare le opere di Aloïse, Wölfli, Wilson, Walla, Hauser, Tschirtner – divenuti oramai parte integrante della storia dell’arte del XIX/XX secolo - provenienti dalla Collection de l’Art Brut di Losanna, da collezioni private svizzere e dal Gugging Museum di Vienna.
A partire dal 1960, Dubuffet si confronta incessantemente anche con la musica, a lui cara fin dall’infanzia, maturando esperienze in compagnia dell’artista Asger Jorn, del gruppo Cobra. Il rapporto con la materia si traduce qui nell’utilizzo di un numero enorme di strumenti di tutti i tipi e di dispositivi elettronici, da cui trarre “suoni inediti”, in una sorta di parallelismo con le tecniche e i media pittorici. In mostra saranno presentati video musicali, documenti e i sei dischi della Galleria del Cavallino di Venezia (1961).
Nei libri d’artista, Dubuffet introduce lo jargon, gergo fonetico di sua invenzione, diretto ed immediato, che decostruisce secondo nuove regole la lingua francese. I volumi sono un contrappunto linguistico alla sua figurazione. Tra il 1948 e il 1950 scrive e illustra tre sorprendenti libri: Ler dla campane, stampato con mezzi di fortuna e su carta da giornale; Anvouaiaje par in ninbesil avec de zimaje dove gli omuncoli che popolano paesaggi inospitali sono un’anticipazione stilistica degli Assemblages del 1953; Labonfam abeber par inbo nom, pubblicato nel 1950, è un “Kama Sutra” alla Dubuffet.
Sono inoltre esposti alcuni elementi - scenografie, costumi - dello spettacolo Coucou Bazar, opera d’arte totale che contempla pittura, scultura, teatro, danza e musica, alla quale Dubuffet lavora dal 1971 al 1973 e che verrà realizzata anche a Torino nel 1978, in collaborazione con la FIAT.
Una serie di attività collaterali - lezioni, conferenze, spettacoli, workshop - realizzate in collaborazione con importanti istituzioni, oltre ad attività formative e didattiche (per scuole di ogni ordine e grado), corsi di aggiornamento per insegnanti, completano e arricchiscono il programma della mostra.
La Fondazione Palazzo Magnani conferma l’attenzione verso le persone con disabilità fisica e psichica, in stretta collaborazione con il Progetto Reggio Emilia città senza barriere. Il percorso espositivo sarà arricchito dalla tridimensionalizzazione di alcune opere di Jean Dubuffet e da soluzioni idonee alla fruizione dei visitatori secondo modalità facilitate, nella consapevolezza che l’arte sia via di accesso privilegiata al benessere di tutte le persone.
In contemporanea, dal 17 novembre 2018 al 3 marzo 2019, a Palazzo da Mosto a Reggio Emilia, si tiene la mostra La Vita Materiale. Otto stanze, otto storie, che offre interessanti connessioni con l’antologica di Dubuffet.
La rassegna presenta le opere di otto artiste contemporanee, Chiara Camoni, Alice Cattaneo, Elena El Asmar, Serena Fineschi, Ludovica Gioscia, Loredana Longo, Claudia Losi, Sabrina Mezzaqui, accomunate - seppure con sperimentazioni formalmente molto diverse - dall’impiego di materiali spesso umili e tradizionalmente associati all’artigianato.