Vi siete mai chiesti perché molte piante riportano nel loro nome riferimenti a divinità del mondo classico, a santi o a pianeti ? Oggi risulta difficile spogliarsi di qualche secolo di storia della farmacopea moderna e pensare a un mondo senza la medicina moderna che a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo si avvale della chimica e della genetica. Rispetto a questi ultimi due secoli di storia della scienza medica, la tradizione millenaria dell’uso terapeutico delle piante dovrebbe riportarci a un più diretto e consapevole rapporto con il “mondo verde”.
Queste le due parole che hanno carpito la mia attenzione quando ho avvicinato qualche pagina di un volume che mette in relazione, per la prima volta, una serie di argomenti costruendo un indispensabile quadro storico della nostra civiltà. Ci riporta in un mondo quasi primitivo che sembrerebbe scomparso in realtà così vicino che potremmo sentirne benissimo gli echi e trarne grande vantaggio. Il modo magico delle piante. E di questo mondo Stefania Malavasi, dotta studiosa della materia, ce ne parla come per calarci agli albori della civiltà quando religione, magia, alchimia, cura da terribili morbi si intrecciavano e quando erano stretti i legami tra mondo naturale e “divino”, gli influssi tra astri e pianeti, tra botanica e virtù delle erbe.
Diana e Venere, due divinità, come accennavo nell’incipit, che oggi rimangono in molti nomi comuni di piante a testimoniare un'antica tradizione di cura e sapienza antica per individuare il rimedio. Diana è la divinità che sovraintende al mondo naturale più selvaggio, i boschi sono il suo regno e gli animali ne hanno timore e rispetto, il suo mito è complesso e le vengono attribuite diverse facoltà anche come divinità lunare, Ecate, in un'interpretazione del mito più tarda. E “lunarie” erano quelle piante con un grande influsso benefico sulla salute umana; dette anche piante della luna in quanto legate a questo astro e alla sua influenza.
Sembra che, sostiene l’autrice nel testo Piante magiche, segreti arcani (Cleup, 2017), i codici erbari antichi pullulino di piante lunarie benché oggi nella botanica odierna siano solo due le piante che possono fregiarsi di questo nome: Lunaria rediviva e Lunaria annua. Ad esempio il famoso giglio martagone, in latino Lilium martagon conosciuto anche come giglio gentile o bizantino appare ancora oggi indicato come pianta lunaria, quella pianta che il medico di Conegliano Nicolò Roccabonella (1415-1458) indica come De lunaria sive martagon - oggi Botryticum lunaria – indicandone l’utilizzo “In medicina et alkimia utimur tota erbacum folijs, floribus, seminibus ac radicibus” quindi l’intera pianta!
Altra lunaria dai poteri magici era la Lunaria arthritica una specie di primula che fornisce un olio balsamico probabilmente utile ai dolori articolari. Per citare anche una pianta ricercata dagli alchimisti riporta la Ros solis, rugiada del sole perché dalla sua distillazione si ricavava una acqua miracolosa capace di ridare le forze. Ma la regina delle lunarie rimane la Peonia che sembra addirittura superare riguardo a leggende e poteri la stessa Mandragora. Riportata tra le numerose lunarie anche in un erbario trecentesco, ad uso di medici che praticassero l’alchimia, la Peonia spicca negli erbari figurati come pianta dotata di grandi virtù terapeutiche poi connesse a episodi magici e leggendari. Secondo Asclepio, semidio greco, istruito alla medicina dal centauro Chirone, nelle sue rivelazioni consegnate a Tessalo, della peonia riferisce che “guarisce i malati di febbre terzana o quartana ungendoli con il succo delle foglie. Un uomo posseduto dal demonio ne sarà libero dopo un suffumigio con la sua radice, proteggerà il marinaio dal mare in tempesta, ma tutto questo non avrà effetto se fatto in luna crescente, che aumenterebbe la negatività dell’evento nefasto”.
La luna quindi accresce i poteri della peonia che possiede proprietà anche legate al ciclo alchemico, un metallo in fusione a cui verrà aggiunto lo stelo o la radice diventerà puro e brillante. I lunatici venivano chiamati in antico coloro che erano affetti da epilessia e secondo il principio, che poi sarà la base della medicina omeopatica, similis similibus curantur, trovavano giovamento e protezione dal portare la radice di questa pianta sacra alla luna, appesa al collo. Già Dioscoride medico e botanico del I secolo d.C, che operò ai tempi di Nerone, la cita come rimedio poi inserita in seguito ne El libro aggregà de Serapion, versione volgare scritta nel XV secolo per Francesco II da Carrara, dal latino, di un testo arabo di due secoli prima, come precetto “e quando la se apicha al colo dei puti epillentici, cura quelli”. Lo stesso Alessandro Magno ne faceva uso perché affetto dal “sacro morbo”.
Per ricordare anche le piante sacre a Venere possiamo avvalerci di un altro contributo altrettanto documentato e ricchissimo di riferimenti ai poteri magici delle piante Nelle mani degli dei di Erika Maderna (Aboca Ed., 2016). Anche in questo caso la tradizione è antichissima e il riferimento alla Dea è sicuramente non solo legato alle forme della pianta che assomigliavano a parti del corpo femminile ma all’uso terapeutico spesso connesso alle malattie di genere. Non dimentichiamo che la pratica e la conoscenza nell’uso terapeutico delle erbe era dall’antichità fino a tutto il medioevo in buona parte prerogativa delle donne, erbarie, maghe, medichesse, poi ostracizzate e perseguitate come streghe e fattucchiere perché detentrici di saperi fondamentali per l’umanità.
“La presenza di Venere e ancor prima Afrodite nel mito è pervasa da un immaginario aromatico e floreale che ha radici nella sua identità più antica. Il sentimento dell’originaria natura vegetale di Afrodite trova riscontro nell’antico linguaggio botanico, che ha assegnato a numerosissime specie vegetali connotazioni tratte dalla sua corporeità” afferma Maderna. Capelvenere, ombelico di venere, scarpetta di venere, pettine di Venere sono alcuni dei nomi comuni di piante le cui connotazioni delle foglie o del fiore sono tratte dalla sua corporeità. Tutto questo anche in base alla dottrina della Segnatura. La sacralità delle piante era motivata dal loro potere salvifico nella maggioranza dei casi e ancora nel caso di Afrodite, Venere simbolo di bellezza e amore universale, nella capacità di rendere più apprezzabile, più luminosa la natura dell’uomo e della donna. Ritrovamenti di ex-voto nei luoghi di antico culto e nei santuari dedicati alla dea testimoniano proprio rituali e frequentazioni per la cura della fertilità e di malattie ginecologiche.
Ad esempio dietro il nome dell’Adianthum capillus veneris c’è un mito ben preciso: adianto ha il significato di erba che non si bagna e la dea Afrodite, nata secondo Esiodo dalle acque, riporta all’episodio leggendario di una capigliatura bellissima che nonostante sia appena emersa dal mare appare perfettamente asciutta. Da qui l’uso o viceversa, per un intreccio tra pratica terapeutica, mito, culto e magia, della pianta come rimedio alla caduta dei capelli e in generale per uso cosmetico per la salute e la brillantezza delle chiome femminili.
Addentrarsi in questo “mondo verde” di magia e segreti arcani significa ripercorrere anche un racconto, una storia antica che è però avvalorata da migliaia di documenti antichi che ne testimoniano una tradizione fondamentale oggi per la nostra vita. La medicina chiamata allopatica, che fa uso soprattutto di farmaci prodotti dalla sintesi chimica in laboratorio si è nuovamente rivolta, in questi ultimi venti anni, alla ricerca di quei principi attivi tratti dalle piante a cui si era dovuta riferire per forza di cose due secoli fa, quando aveva riprodotto in laboratorio composti presenti in natura e conosciuti come efficaci per la cura di gravi malattie.
Un esempio tra molti il chinino, un alcaloide naturale rimedio contro le febbri malariche, estratto dalla corteccia di specie arboree andine del genere Chinchona, che è oggi ritornato in uso poiché la sostanza di sintesi che fu prodotta sullo stesso principio di azione, la clorochina, ha incontrato molte resistenze dopo la sua ripetuta somministrazione. Moltissime le case produttrici di fitoterapici, le case farmaceutiche che fanno uso di principi attivi di piante per la cura delle malattie croniche e non, solo qualche esempio curcuma, pompelmo, ananas, withania, echinacea, elicriso, aloe, timo ma la lista è lunghissima.
Tornare ai “semplici” del mondo naturale consente di riconoscerci come figli di un lungo processo di conoscenza, di addentrarci nei suoi meandri camminando sulle spalle dei giganti. Questi testi ricchi di un grande patrimonio di competenze e saperi universali sono indispensabili per chi volesse cogliere lo spirito del mondo naturale e goderne con pienezza.