Il Castello D’Albertis Museo delle culture del mondo di Genova ospita il progetto Witjai, “io esisto”: una mostra fotografica e un libro risultato di un lungo percorso, che l’artista e fotografo Gianluca Balocco ha iniziato nei suoi viaggi nella foresta amazzonica, tra il 2014 e il 2016. In Ecuador ha incontrato il popolo Shuar, ripercorrendo gli stessi sentieri del biologo naturalista Crespi, alla ricerca delle relazioni bio-evolutive e ancestrali tra il genere umano e quello vegetale. “Nulla vive per se stesso e tutto è in relazione con tutto”: come le piante, l’uomo, anche se spesso inconsapevole, può esistere solo all’interno di un sistema di connessioni con l’ambiente naturale in cui vive e con cui condivide il 26% del proprio DNA.
La vita con i piccoli clan e le famiglie ha dato forma ad un lavoro libero dai condizionamenti di un set fotografico e senza interventi di post produzione. Balocco ha lasciato che l’azione si manifestasse davanti all’obiettivo al di fuori del suo controllo, non facendo ma facendo accadere, in modo da lasciare i soggetti liberi di esprimersi. Fotografo e soggetto, parte attiva e non passiva del processo creativo, hanno discusso insieme la rappresentazione di una verità: nel nome di questo popolo, Shuar, la sua stessa missione “difensore della natura”.
Il risultato sono ritratti che, seguendo i canoni classico-rinascimentali, ci restituiscono l’identità dell’individuo. Il soggetto in posa tiene stretto tra le mani l’oggetto che trasmette ai contemporanei ed ai posteri status, valori e occupazione. Ogni persona o famiglia ha scelto la sua pianta e, come in un dittico, la parte inferiore della fotografia presenta l’immagine di un seme sacro Shuar ingrandito migliaia di volte. Nuovamente Balocco introduce, con precisione, un intelligente riferimento al Rinascimento. Due registri di diverso significato simbolico e metaforico a rappresentare il pericolo di distruzione della foresta, come delle minoranze indigene.
“Armati delle proprie piante”, impugnate come strumenti di lotta in difesa della propria cultura, identità ed esistenza, gli Shuar lanciano il loro monito. Niente affatto isolati dal mondo civile come noi lo conosciamo, ci raccontano la loro visione, per insegnarci a riconoscere e difendere il legame strettissimo tra uomo e natura.
Più che ritratti fotografici, gli scatti di Gianluca Balocco appartengono tanto al dominio dell’arte quanto a quello della ricerca socio-antropologica. Costituiscono un ritratto collettivo di un popolo che considera piante, alberi e radici esseri sacri e intelligenti, messi a disposizione dell’uomo dal pianeta affinché egli possa purificarsi, curarsi, nutrirsi e, in generale, vivere. Un pianeta in cui le piante appartengono alla stessa, sacra, categoria delle cose vive.
La ricerca di Balocco riporta così l’attenzione a ciò che Crespi già scriveva nelle sue lettere del ‘23 il pericolo di distruzione della foresta ed estinzione delle minoranze Shuar ridotte a poche centinaia. Lo spettatore sarà chiamato a calarsi in questa realtà.
Come in un gioco spazio-temporale, le foto scattate da Gianluca Balocco sono affiancate a oggetti Shuar arrivati a Genova nel 1892 in occasione del quarto centenario colombiano ed oggi sono parte delle collezioni etnografiche del museo. Mai più esposti da quell’appuntamento celebrativo delle Missioni Cattoliche Americane, oggi raccontano un’altra storia, in un accoppiamento anacronistico che nasce da uno sguardo solo apparentemente distratto.
Gianluca Balocco: artista - fotografo, usa la fotografia come strumento scientifico in progetti definiti al limite tra la biologia evoluzionista e l’antropologia contemporanea ispirata al pensiero sull’anacronismo storico di George Didi-Hubermann. Da alcuni anni privilegia i temi di un’ecologia che parte dalla consapevolezza delle relazioni sistemiche necessarie alla vita e all’evoluzione dell’uomo, il tutto volto a sottendere anche una riflessione su sostenibilità, inquinamento ambientale, problemi energetici, futuro del Pianeta. Nella costruzione dei suoi set fotografici, spesso di impostazione concettuale, l’ambiente umano e sociale viene rivisitato attraverso una visione sistemica che lo connette al mondo intelligente vegetale per rivelarsi nella propria accezione anacronistica. In questo modo, la fotografia è lo straordinario medium che può raccontare e rivelare il valore della biodiversità e della vita come un microscopio per un biologo.