Luisa Mè – duo di giovani artisti italiani che presentano il proprio lavoro al pubblico per la prima volta rivolgono allo spettatore affinché non si limiti a una immediata e istintiva partecipazione.
Un’energia prorompente trasforma situazioni di pace apparente in veri e propri combattimenti che costringono le figure in contorsioni innaturali e dolorose. I personaggi si dimenano a tal punto da sembrare voler uscire dalla tela spingendo con forza gambe e Allo stesso tempo tuttavia questo perimetro diventa un appoggio saldo per poter attivare l’azione violenta e necessaria ricreata all’interno della composizione piedi sui confini del telaio.
Anche le sinuose sculture in resina e creta, contraddicendo quell’immobilità che dovrebbe caratterizzarne la natura, appaiono animate da una volontà di ribellione evidente nella pressione verso pavimento quasi a precedere la fuga. La costante ricerca di consolazione e il desiderio di trovare rifugio dietro bellezze rassicuranti danno vita ad una malattia che inaspettatamente cresce in forma di becchi appuntiti sui volti dei personaggi che si trasformano in figure semi-umane dalla sorprendente intensità iconica. Personaggi antropomorfi decorati con lunghe piume colorate, come in ‘Orano’ o ‘Per via del sole’, sembrano divinità di qualche religione primitiva catturate nell’atto di mettere in pratica un rituale.
Al tempo stesso i personaggi dei dipinti hanno fattezze simili a quelle di apostoli o martiri che formano immagini iconiche riconducibili alla cristianità e ricordano le figure dormienti dei capolavori del Mantegna e del Bellini. L’omaggio ai maestri della storia dell’arte sacra italiana, anche nella gamma di colori vivaci distribuiti su tutta la scena, diventa opportunità per prendere in prestito dall’iconografia religiosa quella potenza visiva necessaria per coinvolgere emotivamente lo spettatore nel tormento di figure innocenti.
L’inquietudine che pervade le situazioni raffigurate è poi esasperata dalla rappresentazione del moshpit, quell’area sotto il palco dei concerti hard rock o heavy metal in cui i fan più agitati danzano e si spingono con energia fino ai limiti della violenza. Nei quadri dei Luisa Mè il moshpit trasforma immagini serene, come una spiaggia o una serenata, in azioni violente, mostrando così il lato oscuro che si cela dietro il piacevole e confortante. Nel caso di ‘Look at me! (Sunset)’, ad esempio, la contorsione dei corpi e il pestaggio di gruppo davanti a un tramonto danno vita a un vero e proprio martirio che diventa anche allusione a scene di brutalità e violenza a cui assistiamo e a alle quali siamo ormai tristemente assuefatti.