L’arte delle avanguardie russe è uno dei capitoli più importanti e radicali del modernismo. Il periodo compreso tra il 1910 e il 1920 ha visto nascere, come in nessun altro momento della storia dell’arte, scuole, associazioni e movimenti d’avanguardia diametralmente opposti l’uno all’altro e a un ritmo vertiginoso. La mostra Revolutija: da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky. Capolavori dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo - che si apre il prossimo 12 dicembre (fino al 13 maggio 2018) al MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna, prodotta e organizzata da CMS.Cultura in partnership con il Comune di Bologna / Istituzione Bologna Musei, realizzata grazie a una collaborazione esclusiva con il Museo di Stato Russo di San Pietroburgo cui appartengono i due curatori, Evgenia Petrova, che ne è vicedirettore, e Joseph Kiblitsky.
Revolutija: da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky si realizza anche grazie al sostegno dei partner ufficiali Volvo Italia e Gruppo Hera e di altri importanti sponsor, e intende mettere in luce quante e quali, e così diverse tra loro, arti nacquero in Russia tra i primi del Novecento e la fine degli anni ’30 ma anche, come dice Evgenia Petrova: “riportare all’attenzione non tanto della critica o degli addetti ai lavori, quanto del pubblico, artisti tipo Repin come anche Petrov-Vodkin o Kustodiev, rimasti un po’ nell’ombra a causa dell’enorme successo avuto da altri quali Chagall, Malevich o Kandinsky che pure sono presenti in mostra”. Oltre 70 opere, capolavori assoluti provenienti dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, racconteranno gli stili e le dinamiche di sviluppo di artisti tra cui Nathan Alt’man, Natal’ja Gončarova, Kazimir Malevich, Wassily Kandinsky, Marc Chagall, Valentin Serov, Aleksandr Rodčenko e molti altri, per testimoniare la straordinaria modernità dei movimenti culturali della Russia d’inizio Novecento: dal primitivismo al cubo-futurismo, fino al suprematismo e al costruttivismo, costruendo contemporaneamente un parallelo cronologico tra l’espressionismo figurativo e il puro astrattismo.
Artisti, poeti, intellettuali avevano partecipato alla rivoluzione democratico-borghese del 1905, come testimonia in mostra il bellissimo 17 ottobre 1905, del 1907, di Il’ja Repin, accanto all’altrettanto magnifico Che vastità! del 1903. Ma quest’insurrezione, dal carattere decisamente socialista, venne brutalmente repressa dallo zarismo. È da questo momento che si spezza la tradizione culturale del realismo. In quegli anni a Mosca la vita artistica è assai intensa. La pittura francese, dai fauves ai cubisti, ha fervidi ammiratori e imitatori. Gli artisti russi però non si accontentano di accogliere le nuove esperienze occidentali, ma cercano di svolgerle ulteriormente e originalmente. Le avanguardie russe precedettero la rivoluzione di ottobre del 1917, ne furono coinvolte e per un decennio ne condivisero ed esaltarono le idee.
Se il fallimento della rivoluzione del 1905 aveva seminato la sfiducia tra intellettuali e artisti, quella vittoriosa del ’17 diventò un richiamo profondo, un punto sicuro di riferimento. E tuttavia il processo di elaborazione della cultura e dell’arte sovietica ha inizio in circostanze cariche di potenza ma anche contraddittorie. Insieme ad artisti di formazione realistica, sulla linea dell’Ottocento, si trovano artisti provenienti da ogni sorta di indirizzi formalistici e d’avanguardia, uomini nutriti di inquietudini, esasperazioni, angosce e però anche da una fiducia nuova perché vedevano nel fuoco della rivoluzione la distruzione di un passato odiato e la possibilità di mutare l’esistenza e trovare un punto d’appoggio per il loro avvenire.
Nel 1919 Tatlin avrebbe dovuto costruire una torre metallica a forma di spirale dedicata alla Terza Internazionale, simbolo del nuovo corso sovietico: sarebbe dovuta sorgere più alta della Torre Eiffel coi suoi 400 metri, opera sulla quale in mostra sarà presente un video. Meno di due anni prima dell’ottobre ’17 Kazimir Malevich, il più drastico degli innovatori, aveva proclamato la supremazia della pura sensibilità su ogni realismo. Il Quadrato nero, il Quadrato rosso (Realismo pittorico di contadina in due dimensioni), la Croce Nera, il Cerchio nero (tutte opere presenti in mostra) erano le nuove icone che sbandierava in volto al pubblico sconcertato. Nella mostra “010” del dicembre 1915, il quadrato fu da lui esposto in un angolo della sala in alto, come si usava per le icone sacre nelle case della vecchia Russia. Collaborando alla realizzazione dello spettacolo “Vittoria sul Sole”, Malevich si rese conto di dover superare l’esperienza cubo-futurista da cui era partito e giungere al punto zero, all’arte pura, assoluta, suprema che nulla ha a che fare con la vita, la società e la politica. In mostra saranno eccezionalmente esposte le riproduzioni dei costumi di scena realizzati da Malevich per “Vittoria sul Sole”.
Michail Larionov e sua moglie Natal’ja Gončarova aprirono il primo capitolo delle avanguardie russe. Tra il 1912 e 1913, Larionov attingendo al futurismo italiano e al cubismo francese, creò il raggismo. Come Kandinsky, di cui in mostra sono presenti Su Bianco (I) del 1920 e Crepuscolare del 1917, Larionov apriva un altro spiraglio all’arte non oggettiva. La Gončarova, pittrice forse più sensibile del marito, cominciò con temi popolari in uno stile neo primitivo, caratterizzato dal recupero di motivi del folclore e dell’artigianato popolare, come testimoniato in mostra da Contadini. Frammento dal polittico “La vendemmia” e da Lavandaie del 1911. Del primitivismo, a volte perfino brutale, fece parte anche Aleksandr Drevin di cui si espone La cena del 1915.
Al contrario del marito, Gončarova fu altezzosa verso il futurismo che definì “un impressionismo emozionale”. Ma a chi, se non a Boccioni, si deve il forte impatto dinamico del suo Ciclista del 1913? Un ciclista sta correndo per una strada, la prospettiva dell’acciottolato è ribaltata, e passa davanti alle vetrine di un cappellaio, di una merceria (lo si evince dalle lettere) e di un bar, nella cui vetrina si riflette il tram 402 che sta passando. Certamente per lei il passo dal dinamismo futurista all’astrattismo fu breve. Anche Nathan Alt’man è debitore del cubismo francese: nel ritrarre la poetessa Anna Achmatova, quadro presente in mostra, pur rappresentando il soggetto in tutta verosimiglianza, introdusse elementi cubisti nello sfondo e un accenno di scomposizione nella stessa figura, come per l’autoritratto in mostra di un altro cubista russo Aristarch Lentulov.
La Gončarova fu la prima delle pugnaci artiste e scrittrici che costellarono il panorama delle avanguardie russe. La Popova, in mostra il suo Architettonica pittorica del 1916 fu donna fierissima e pittrice consapevole del suo ruolo di punta. L’influenza di Boccioni, incontrato a Parigi, si fece sempre più palese. Ol’ga Rozanova, suo Composizione non-oggettiva (Suprematismo) del 1916 circa presente in mostra, fu la più attiva nell’ambiente dei poeti futuristi e ne sposò il più battagliero, Alexei Kruchënych. Illustrò i libretti futuristi che a quell’epoca circolavano in gran numero a Mosca e nella capitale. Attivissima nel promuovere le ragioni della rivoluzione anche Sof’ja Dymšits-Tolstaja, sposata con l’architetto tedesco Hermann Pesatti, e affine alle tematiche di Rodčenko, della quale in mostra tre sue opere fondamentali, Vetro di propaganda “Il fondamento della RSFSR è il lavoro”, Vetro di propaganda “La pace alle capanne, la guerra ai palazzi”e Vetro di propaganda “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”, tutte e tre eseguite tra il 1919 e il 1921.
Il 19 dicembre 1915 si inaugurò a Pietrogrado la mostra che segnò la svolta storica di quel periodo effervescente. Fu intitolata “010” e vi esposero Malevich e Tatlin, i due massimo esponenti dell’avanguardia russa. Nato vicino a Kiev da genitori russo-polacchi, Malevich incominciò come pittore post impressionista; dopo un periodo neo primitivo – la Gončarova esercitò grande influenza su di lui – passò a uno stile che egli definì a-logico. Come si è detto, Malevich dipinse le scene e i costumi dello spettacolo “Vittoria sul Sole” di cui le musiche erano di Michail Matjušin che nel corso della sua attività fece diversi esperimenti pittorici sulla quarta dimensione connessa all’arte e alla visione e di cui in mostra è presente Movimento nello spazio dipinto entro il 1922. Il linguaggio del testo definito in russo “oltre la mente”, ossia il razionale, era analogo alle parolibere che Marinetti usò nei suoi poemi futuristi. Fu attraverso l’astrattismo di “Vittoria sul Sole” che Malevich pervenne alla totale non oggettività: “Avendo disperatamente cercato di liberare l’arte dal mondo oggettivo – dichiarò – trovai rifugio nella forma del quadrato”. Era nato il suprematismo. La teoria di Malevich ebbe numerosi adepti, alcuni dei quali da lui influenzati durante l’esperienza di insegnamento, cui lo chiamò Marc Chagall che nel 1917 era stato nominato commissario dell’arte per la regione bielorussa di Vitebsk, dove aveva fondato un Museo d’Arte Moderna e una Accademia di Belle Arti, di cui era diventato direttore. Chagall chiama a insegnare alla sua scuola i principali artisti russi del tempo tra cui proprio Malevich, conosciuto a Mosca qualche tempo prima. Ma la filosofia del maestro dell’astrattismo, i suoi metodi di insegnamento e i rigidi precetti del nascente suprematismo entrano prestissimo in rotta di collisione con il lirismo di Chagall, testimoniato in mostra dal magnifico e ormai iconico La passeggiata del 1917.
Altro famosissimo scontro di Malevich fu quello con Tatlin, tanto erano divergenti le concezioni dei due artisti. Il suprematismo di Malevich usava forme pure come il quadrato o il cerchio per liberare l’arte dal mondo oggettivo; Tatlin intendeva l’arte come una libera ricerca sulle proprietà astratte dei superfici linee colori materiali e voleva applicare questa ricerca ai bisogni sociali e industriali, integrandola con l’architettura e il design, dando vita al costruttivismo. Tatlin era stato a Parigi e aveva potuto vedere le sculture di Picasso. A 18 anni era stato marinaio. Al ritorno strinse amicizia con Larionov e la Gončarova e ne adottò per un breve tempo il linguaggio neo primitivo come attesta la sua Modella del 1913 presente in mostra. Tatlin dipinse anche per il teatro scene e costumi di grande originalità, per l’opera musicata da Glinka “Una vita per lo Zar” e per “Il vascello fantasma” di Wagner a testimonianza di quanto tutte le forme di arte si intersecassero tra loro in quegli anni. Ma soprattutto Tatlin e i suoi seguaci propugnavano l’abolizione dell’arte come tale, considerandola un estetismo borghese superato e incitavano gli artisti a dedicarsi a un’attività direttamente utile alla società, applicandosi a quelle forme che avessero rapporto con la vita: pubblicità, composizione tipografica, architettura, produzione industriale. Sotto questo aspetto si può dire che Tatlin è stato un pioniere di quello che oggi si chiama industrial design. I risultati del costruttivismo in questi campi furono altamente positivi: dai manifesti alle copertine e all’impaginazione dei libri e delle riviste, dall’invenzione di determinati caratteri tipografici alla creazione di oggetti d’uso e di arredamento, i costruttivisti furono veramente un fato nuovo. Majakósvskij ne ebbe chiara coscienza di ritorno da Parigi: “Per la prima volta, una parola nuova nell’arte, il costruttivismo, non è venuta dalla Francia ma dalla Russia”.
“Al di sopra delle tempeste del nostro vivere quotidiano, al di sopra delle terre abbandonate e delle ceneri del passato, innanzi alla porta del futuro non ancora costruito, noi annunciamo a voi, pittori, scultori, musicisti, poeti, a voi uomini per i quali l’arte non è soltanto un oggetto di conversazione,ma fonte reale di gioia, la nostra parola e opera”. Sono queste le parole iniziali del Manifesto del realismo dei fratelli Naum Gabo e Anton Pevsner, firmato nell’agosto 1920, che vollero chiamare realismo la loro versione del costruttivismo per sottolineare il profondo legame con la realtà politica. L’idea fondamentale di Gabo era racchiusa nell’affermazione che l’arte possiede un suo valore assoluto, indipendente dalla società, sia essa capitalista, socialista o comunista. In questo si avvicinava a Malevich ma per lui l’arte aveva un fondamento, una radice da cui si alimentava: la vita, concepita come pura energia: “Periscono gli Stati, i sistemi politici ed economici, crollano le idee, sotto le forze dei secoli, ma la vita è forte e cresce e il tempo prosegue nella sua continuità reale”.
Era stato Majakósvkij a offrire a Lenin la collaborazione di artisti, musicisti e poeti al governo dei soviet che li chiamò tutti a raccolta e nei primi anni non solo non intervenne tra le varie fazioni di avanguardia, ma le favorì tutte. Le discussioni tra i vari gruppi erano accese soprattutto quando riguardavano la conduzione di scuole o istituti come l’Istituto di Arte e Mestieri di Mosca. Il fascino della posizione tatliniana per gli artisti che credevano nella rivoluzione era forte e comprensibile. La Russia, pur in mezzo a terribili difficoltà delle guerra contro i bianchi e alla grave situazione ereditata dallo zarismo, si muoveva verso l’industrializzazione, verso la meccanizzazione delle campagne. Il socialismo era impensabile separato dalla tecnica.
La rivoluzione aveva generato due opposte fazioni, da un lato gli artisti che seguirono i due capofila Malevich e Tatlin, così Rodčenko con le sue composizioni spaziali e i dipinti non oggettivi come Non-oggettivo (Composizione n. 56) e Non-oggettivo (Composizione n. 53) del 1918, entrambi presenti in mostra e Vladimir Stenberg, che utilizzò molteplici media nel suo lavoro e fu allievo di Rodčenko presente in mostra con Costruzione di colore N°4 del 1920. A questa fazione appartenne anche il famoso regista Eisenstein così come il regista teatrale Mejerchol’d, il cui magnifico ritratto eseguito da Boris Grigor’ev nel 1916 è presente in mostra. L’altra fazione, emersa dopo la rivoluzione, comprese gli artisti del ritorno all’ordine e all’accessibile linguaggio figurativo come quello di Petrov-Vodkin di cui in mostra Sulla linea del fuoco del 1916, Operai del 1926 e Fantasia del 1925 o come nelle opere di Boris Kustodiev di cui in mostra La moglie del mercante del 1915 e Festa in onore del II° Congresso dell’Internazionale comunista del 19 luglio 1920.Dimostrazione sulla piazza Uritskij del 1921.
Con queste opere iniziava il cammino all’indietro dell’avanguardia, prima dimenticata, poi perseguitata. Era ormai alle porte il realismo socialista. Tra i suoi maggiori rappresentanti ricordiamo Isaak Brodskij, presente in mostra con Consegna della bandiera dei comunardi parigini agli operai moscoviti sul campo Chodynka a Mosca del 1932 e Vasilij Kuptsov, la cui opera che ha al centro il Maksim Gor’kij (presente in mostra) ovvero il Tupolev ANT-20, dal nome del suo inventore, utilizzato per la propaganda stalinista, è diventata nel tempo un’icona, così come divenne altrettanto iconica la scultura di Vera Muchina L’operaio e la kolchoziana, del 1936, che non solo fece furore all’Esposizione Universale di Parigi, ma divenne uno dei simboli più riconosciuti dell’URSS o Vladimir Malagis di cui si espone il suo Si ascolta l’intervento di I.V. Stalin del 1933. Il realismo socialista venne decretato dall’associazione degli artisti proletari nei primi anni Trenta come unica e sola forma d’arte accettata, assai diversa da quella di pittori che non abbandonarono mai il figurativismo e il realismo negli anni delle avanguardie come per esempio Valentin Serov, di cui in mostra Ida Rubinštein del 1910 o Zinaida Serebrjakova presente in mostra con il magnifico Banja del 1913 e Il’ja Maškov, allievo di Serov, presente con Pani. Natura morta del 1912.
Eventi sconvolgenti si erano susseguiti da quando nel 1930 era stata chiusa a Mosca la mostra di Malevich, così come tutte le altre mostre d’avanguardia. Lenin era morto, Stalin avanzava come testimoniato in mostra dal suo ritratto del 1936 di Pavel Filonov. Il trionfo del neo-verismo sovietico spalancava le porte a un’arte paternalistica, in cui al netto rifiuto di ogni ricerca moderna intesa a innovare il linguaggio delle arti, corrispondeva la supina accettazione del più vieto illustrazionismo.
A latere dell’esposizione, in tutta la città si svolgerà un ricco programma collaterale cui parteciperanno, in primis, l’Università degli Studi di Bologna e le principali istituzioni culturali cittadine. La grande mostra rappresenta infatti l’occasione per accendere i riflettori su una città che si presenta come un grande laboratorio in grado di lavorare su un tema comune e affrontarlo da molteplici punti di vista. L’esposizione e i temi, che implicitamente propone, saranno sviluppati in tutta la città da istituzioni, associazioni, commercio e realtà produttive, per attivare e valorizzare il territorio medesimo.
Un articolato progetto educativo a cura del Dipartimento educativo MAMbo, in collaborazione con Senza Titolo e CMS.Cultura, è stato messo a punto negli scorsi mesi per soddisfare il pubblico delle scuole, delle famiglie e dei visitatori in generale in un rapporto di partnership pubblico/privato per la definizione di best practice (vedi programma allegato).