Anna Marra Contemporanea è lieta di presentare la doppia personale curata da Giorgia Calò dal titolo La distanza delle ragioni, che affianca le ricerche di due pittrici, Khen Shish (Safed 1970) e Veronica Botticelli (Roma 1979). La mostra nasce dal desiderio di indagare alcuni aspetti che muovono la pittura oggi. Una pittura in cui l'incontro tra il figurativo e l'astratto sembra oltre che vitale anche naturale, raggiungendo un suo straordinario equilibrio.
Entrambe le artiste lavorano su grandi formati e usano il disegno su carta a complemento delle rispettive ricerche. Shish guarda con attenzione l’espressionismo tedesco e la Transavanguardia (ha vissuto alcuni anni a Berlino e a Roma), nonché ai canoni della vecchia generazione della pittura israeliana. Botticelli si rifà invece ad una tradizione tutta italiana o per meglio dire romana, dalla Scuola di Piazza del Popolo alla Scuola di San Lorenzo.
Nel loro modo di fare pittura le accomuna la gestualità, intuitiva quella di Khen, più riflessiva quella di Veronica, e la continua ridefinizione dell’immagine, come se non fossero in grado di arrestare l’esecuzione e considerare il lavoro terminato. In questa processualità - spiega Giorgia Calò - c’è un senso estremamente femminile e materno di approccio con l’opera: c’è un tempo di gestazione, un rapporto quasi simbiotico, il trauma del distacco. Entrambe si affidano ai luoghi segreti del ricordo dove andare a scavare, per far emergere parti del loro subconscio espresso nei piccoli indizi sparsi sulla tela.
La pittura di Khen Shish è carnale, si fonda su ordine e disordine in cui si alternano colore e segni violenti, immagini iconiche e aniconiche, forma e astrazione. Odia le cornici e tutto ciò che può contenere, delineare, sostenere entro confini stabiliti la sua pittura debordante. Le opere di pura fantasia sembrano vie di fuga dalla realtà, a volte ci conducono in luoghi fantastici, altre volte sembrano le scenografie di un incubo. Questa del resto è la natura dell’essere umano fatta di gioia e dolore, angoscia e felicità, sembra voler suggerire l’artista. Le immagini di Khen si cristallizzano per ripetersi sotto forma di fiori, cuori, uccelli, occhi, caratterizzati dal tratto quasi capace di recidere la tela, dai colori chiassosi e dal nero che sembra imporsi su tutto. E poi c’è l’intaglio su carta, fatto di gesto e azione, che porta il dipinto a staccarsi da ogni realtà.
L’iconografia di Veronica Botticelli, invece, si risolve in un unico tema dalle mille sfaccettature, dai mille significati. Si tratta delle famose Singer, quelle che usavano le nostre mamme e nonne per cucire. Simbolo per eccellenza di una certa femminilità, forse perduta, e della manualità che suggerisce l’atto creativo. L’artista sembra aver congelato l’immagine, facendola emergere da uno sfondo strutturato su grandi campiture di colore, su cui interviene applicando carte che diventano un tutt’uno con la tela. Veronica sceglie volutamente questo oggetto per la sua forte carica poetica, facendolo così assurgere al ruolo di custode di ricordi, personali e collettivi, in cui si mescola il nostalgico pensiero che ci troviamo davanti un’opera capace di suggerire l’incanto di un tempo perduto.