Per Paulo Nimer Pjota la creazione dell'opera d'arte è un processo lento e graduale. Tutto inizia all'esterno, nelle strade, dove l'artista va alla ricerca di supporti di grandi dimensioni come sacchi, tele o lastre di metallo, generalmente rinvenuti in discariche pubbliche e che portano con sé inevitabili tracce di storie e usi passati diventando un fertile terreno iniziale per un successivo intervento.
Fortemente legato al contesto urbano e popolare è anche l'inesauribile repertorio visivo fatto di riferimenti architettonici, piante, fiori, graffiti, animali, scritte su pareti di bagni pubblici, tatuaggi, noti personaggi di cartoni animati, che viene raccolto e filtrato attraverso la sua personale visione artistica e socio-politica e sapientemente accostato a immagini legate alla storia dell'arte antica e moderna, come manufatti archeologici o classiche nature morte. Apparentemente privi di una relazione formale o tematica tra loro, tutti questi elementi danno vita ad una costellazione iconografica in costante trasformazione attraverso il tempo e lo spazio. I segni e le figure sospesi in un vuoto senza gravità vengono sparsi in maniera attenta ma senza sacrificare la spontaneità della composizione e senza mai affollarla. Nelle sue opere Pjota sceglie poi di non utilizzare pigmenti di alta qualità ma la meno nobile pittura acrilica nel tentativo di livellare un terreno e renderlo democratico e pronto ad accogliere sia stereotipi e prodotti della cultura popolare che frammenti di una cultura erudita, in un amalgama di riferimenti e influenze.
Da questo processo emergono storie a più voci che costringono lo spettatore a partecipare al dialogo attraverso la propria personale visione nello stesso modo in cui, nell’era della comunicazione digitale, esso è chiamato a decifrare una inarrestabile quantità di informazioni che quotidianamente vengono generate e trasmesse. Consapevole di tali meccanismi, Pjota intende svelarne le contraddizioni ed opporsi non solo al modo in cui queste informazioni vengono formulate, ma anche al tipo di attenzione che ad esse riserviamo.
Le narrative che emergono da questo processo non corrispondono a una singola comprensione, mettendo in circolazione un incalcolabile numero di possibili contestualizzazioni. Di conseguenza, anche se ci vediamo intrappolati in un circolo storico fatto di oppressione, è ora possibile mettere in discussione il modo in cui formuliamo l’informazione e distribuiamo i nostri interessi, riconfigurando le nostre sensibilità secondo ciò che ci circonda e favorendo un’interazione sociale prima impensabile (Germano Dushà).