Gilgamesh entrò nelle viscere della montagna seguendo il corso del sole. Percorse interminabili ore avvolto in una densa oscurità carica di angoscia, senza vedere nulla intorno a sé. Poi cominciò ad avvertire una brezza sul viso, comprese che l’uscita era vicina e finalmente raggiunse la luce abbagliante del sole. Lo stupore lo colse nel vedere ogni specie di alberi carichi di pietre preziose. La corniola germogliava frutti e ad essa era appesa una vite. Il lapislazzuli aveva foglie e frutti belli da guardare. Vide fronde di pietre bianche, arbusti e cespugli su cui fioriva la corniola. Prese in mano il carrubo, e si accorse che era calcedonio, gemma ed ematite, turchese. Ricchezza e abbondanza erano ovunque intorno a lui. Mentre passeggiava in questo bosco di tesori alzò gli occhi e vide una donna. Era Siduri, la locandiera che abita lontano, lungo la riva del mare. Era la custode del giardino del dio Shamash, il Sole.
Odisseo arrivò nell’isola remota, naufrago, gettato dai flutti sul lido sabbioso; vagava smarrito, finché giunse nei pressi di una grande grotta, dimora di una ninfa, Calipso dalle belle trecce. Lei era in casa; cantando con voce armoniosa si affaccendava intorno a un grande magnifico telaio, percorrendolo abilmente con una spola d’oro. Nel focolare scoppiettava un fuoco vivace e l’odore di legno di cedro e tuia riempiva l’aria. La spelonca era avvolta da un folto bosco di pioppi, ontani e cipressi, abitati da ghiandaie e sparvieri, e le cornacchie, amanti del mare, gracchiavano sonoramente. Una vite florida di grappoli si inerpicava intorno all’ingresso della dimora; infine, quattro sorgenti sgorgavano limpide, allietando morbidi prati di viole e di sedano in fiore. Perfino gli dèi immortali avrebbero goduto di una tale vista!
Siduri, che chiamano “la fanciulla del vino”, è la misteriosissima guardiana del giardino del Sole, dove l’albero sacro è la vite, simbolo di vita e rigenerazione; è una una dea arborea, custode dell’albero sacro. L’Epopea di Gilgamesh, uno dei più antichi poemi epici conosciuti, ci dice che “vive sulla riva del mare” e “vede di ogni cosa le profondità più nascoste”. Siduri, come tutte le creature che abitano terre di confine, custodisce il mistero della vita e dell’immortalità; a lei spetta il compito di incontrare l’eroe, di consolare la sua inquietudine, di accompagnarlo nel suo viaggio iniziatico. Gilgamesh è preda del terrore della morte, che si è insinuato in lui fino a diventare ossessione; ha intrapreso un viaggio per scoprire se sia possibile all’uomo sfuggire al fatale destino di dissolvimento. Siduri lo esorta a godere della bellezza effimera di ogni momento, ma lo spinge anche a continuare il suo viaggio, necessario e inevitabile, ricco di insidie ma prodigo di insegnamenti.
Anche Calipso vive sulle rive del mare, in un’isola collocata ai margini della geografia conosciuta, Ogigia. Anche lei vede di ogni cosa le profondità più nascoste: anzi, il suo stesso nome ne rivela la segreta essenza. Colei che nasconde. Colei che avvolge. Certamente in lei rivive il ricordo di una dea materna, che protegge nel grembo; forse un’antica divinità tellurica, e infatti la sua dimora è una grotta. Ma Ogigia è anche una terra dell’occidente, che guarda verso l’orizzonte ultraterreno. Ed è in questo territorio liminale che la dea incontra l’eroe viaggiatore, l’unico a cui sia concesso l’approdo alla terra mistica. È intenta a tessere quando Odisseo si affaccia alla soglia della sua casa; tesse come ogni grande divinità del fato, che intreccia i destini dei mortali.
L’ambiente è avvolto da una presenza olfattiva quasi intossicante: cedro e tuia, che furono i precursori dell’incenso liturgico, bruciano nel focolare, e si mescolano alle fragranze del bosco sacro portate dal vento. Gli alberi che circondano la casa di Calipso appartengono tutti alla dimensione del lutto: ontano, pioppo, cipresso; e anche i prati evocano il pensiero della morte, prosperi come sono di viole e sedano, fiori che confortano i sepolcri. Ma ecco che alla vista si impone una vite, pianta per eccellenza di vita, di fecondità e gioia, con la sua potentissima carica allegorica. Quasi un rebus botanico, all’apparenza; in realtà un efficace monito del duplice principio della natura, che è dispensatrice equa di vita e di morte. La dimenticanza è il dono che Calipso offre a Odisseo; dimenticanza e immortalità. Ma l’eroe, cullato dall’oblio del tempo, troverà infine, nelle profonde radici dell’umana inquietudine e nella nostalgia inconsolabile degli affetti, la forza di rifiutare la più invitante delle offerte e di riprendere il viaggio.
Siduri e Calipso sono dee gemelle. Dell’antica Madre custodiscono i saperi inaccessibili, in quanto dominano il mondo vegetale e conoscono gli intimi segreti delle erbe e della magia, ma sono anche accomunate da genealogia solare: l’una è custode del giardino ricco di meraviglie di Shamash, dio del sole; l’altra di Helios è figlia. Il legame con la pianta della vite stabilisce un ulteriore vincolo di sorellanza. Eppure prediligono i lidi marini, o l’ombelico geografico di un’isola: luoghi dell’immaginario, dove attirano a sé solo eroi di tempra eccezionale, coinvolti nel viaggio iniziatico della ricerca della conoscenza. Nascondono e svelano, consolano e consigliano. Un tocco di femminile incanto, lungo la strada della ricerca.