Con l’introduzione della moneta e la diffusione dell’economia monetaria, si afferma progressivamente in Grecia il mestiere di cambiatore (cambiavaluta), indispensabile all’interno di un sistema monetario complesso, caratterizzato da numerose coniazioni che spesso variavano nel tempo e a seconda della città emittente e del sovrano di riferimento.
La coniazione della moneta risale ai secoli VII°/ VI° a.C. ed è rintracciabile in Lidia, regione dell’Asia Minore, ricca di elettro, lega naturale di oro e argento, primo metallo utilizzato per la monetazione, che fu subito adottata e diffusa dalle città greche per facilitare gli scambi commerciali, semplificare i pagamenti e riscuotere le tasse, e simboleggiava, nel modo più evidente possibile, l’autorità e l’autonomia della polis. La dracma d’argento di Atene, con l’effigie della civetta del Laurio (zona montuosa a sud-est di Atene), divenne la moneta più nota e accettata nel Mediterraneo.
I cambiatori erano denominati trapezìti (dal greco trapezìtes), da tràpeza, o tavola, sulla quale venivano esposte le monete, termine che in seguito venne utilizzato per indicare i cambiatori-banchieri e, in epoca ellenistica, i direttori delle banche pubbliche. Il termine, utilizzato in seguito anche dai Romani, si è conservato fino ad oggi in Grecia, dove infatti la Banca continua ad essere chiamata tràpeza. I trapezìti svolgevano le seguenti attività: il cambio delle monete, che diede origine alla Banca vera e propria; l’accettazione dei depositi, che consentì alla Banca di operare; la concessione di prestiti, operazione fondamentale di impiego dei fondi ricevuti dai depositanti, che permise al banchiere di realizzare un margine di guadagno; altri servizi, erogati alla clientela a pagamento.
Nell’attività di cambio, i trapezìti procedevano a valutare il valore intrinseco delle monete (valore del metallo), il valore nominale (valore di emissione, superiore al valore intrinseco, in quanto comprensivo di tasse e spese di fabbricazione), il valore commerciale (funzione delle relazioni domanda/offerta). Il margine di guadagno realizzato dai trapezìti era dato dalla differenza tra corsi di acquisto e corsi di vendita delle monete. Nell’attività di accettazione dei depositi, i trapezìti praticavano due tipi di deposito cosiddetto irregolare (deposito che consente al depositario di utilizzare le somme ricevute, impegnandosi però a restituirle su richiesta del cliente): i depositi di pagamento e i depositi di impiego. I primi erano depositi infruttiferi costituiti da una somma versata al fine specifico di estinguere un debito. I secondi, al contrario, erano depositi fruttiferi costituiti da fondi destinati ad essere investiti a fronte di una remunerazione. Erano possibili, oltre ai depositi palesi, regolarmente registrati nei libri contabili della Banca, anche i depositi occulti, effettuati senza alcuna formalità, al fine di sottrarre gli averi del cliente all’occhio indiscreto del fisco, che poteva prendere visione dei registri bancari.
Nell’attività di concessione dei prestiti, venivano richieste quasi sempre garanzie, soprattutto reali, quali in particolare il pegno su oggetti preziosi, e talvolta anche garanzie personali, che si basavano sulla ricchezza, onestà e onorabilità del cliente. I prestiti venivano concessi soprattutto nella forma del credito al consumo dei privati, e in misura molto ridotta sotto forma di crediti per attività mercantili o marittime. Non risulta che la Banca greca applicasse la pratica dell’anatocismo o interesse composto, in quanto considerata immorale. I filosofi greci definivano il prestito a interesse “innaturale”, in quanto le monete si logoravano con l’uso e non producevano frutti come gli alberi. Infine, i trapezìti prestavano altri servizi a pagamento alla clientela, quali soprattutto l’assistenza nella stipula dei contratti, la funzione di testimoni nelle operazioni di prestito, l’intermediazione in alcuni affari delicati.
Le complesse operazioni bancarie della Banca ellenica dei trapezìti furono rese possibili anche dal miglioramento dei sistemi contabili, introdotti in origine dai Sumeri e dai Babilonesi. I principali registri contabili, tenuti su tavolette di legno spalmate di cera, erano i giornali (effemeridi o efemeridi, dalla parola greca ephemerìs = giornaliero) e i libri di Banca (definiti in lingua greca trapezitikà gràmmata, letteratura del trapezìta). I primi erano registri cronologici nei quali venivano registrate quotidianamente le operazioni bancarie di pagamento e riscossione; i secondi erano conti accesi a ciascun cliente che intratteneva un deposito palese, con indicazione dei versamenti e prelevamenti in distinte sezioni.
In età classica (secoli V e IV a.C.), la professione di banchiere-trapezìta veniva disdegnata dai cittadini liberi, e infatti veniva esercitata in genere dai meteci, ossia dagli stranieri liberi, oppure dagli schiavi affrancati. Questi ultimi, in quanto esclusi dalla vita politica e non potendo disporre di beni immobili, erano costretti a dedicarsi al commercio, settore nel quale il commercio del denaro era tra i più remunerativi. Solo in età ellenistica, dopo le conquiste di Alessandro Magno (336-323 a.C.), l’attività bancaria venne rivalutata presso il pubblico e la professione di trapezìta venne esercitata principalmente dalla categoria degli uomini liberi.