Tendiamo a vedere Detroit, la città dei motori del Michigan, come il lato B del sogno americano. Insieme al crollo, economico e politico, dell’industria pesante, anche la vita e il lavoro della città si sono bloccati. Detroit, insomma, è un esempio da manuale di una nazione divisa, in cui una larga maggioranza pende verso il capitalismo, al populismo e al razzismo all’insegna dello slogan «Facciamo di nuovo grande l’America».
Si tratta di una delle zone più degradate del Paese, dove vive una delle comunità afroamericane più numerose, che rappresenta circa l’80% della popolazione complessiva. L’atmosfera è impregnata degli effetti collaterali del cambiamento sociale e della povertà. Nella sua mostra intitolata “Detroitanic”, Peter Senoner (1970) scava in fondo a questo ginepraio, traducendo le proprie impressioni in un’installazione spaziale in cui sculture e disegni sono tenuti in equilibrio dalle stesse architetture espositive. Durante la sua permanenza a Detroit, Senoner andava alla scoperta della città, girando soprattutto in bicicletta.
Tutti i giorni, dalle cinque a mezzogiorno, elaborava gli “Open Field Drawings”, in cui documenta i ruderi di un’industria un tempo fiorente attraverso una serie di disegni e fotografie “in campo aperto”. Nela mostra, anche la bicicletta che Senoner usava come mezzo di trasporto riappare come scultura, e una dimensione in più è offerta da una cuffia in dotazione attraverso la quale si può ascoltare una colonna sonora che richiama il ruolo di Detroit come epicentro della musica, la sua seconda industria, grazie soprattutto alla casa discografica Motown (abbreviazione di “Motor Town”, città dei motori).
L’architettura progettata da Senoner consiste in pareti in cassaforma che tagliano lo spazio espositivo per definire il percorso della mostra. Questo non spazio, o se si preferisce, spazio vuoto rimanda alle fabbriche vuote di Detroit. L’architettura vacante costituisce un punto di partenza e un sostegno per la mostra, fungendo da ponte per i disegni e le sculture, che vengono esibite in questo modo per la prima volta. I nudi aptici vengono rielaborati con fino a 200 strati di colore attraverso ripetute applicazioni e rimozioni, e le figure affrontano l’osservatore in tutta la loro possibile fragilità, come se fossero corpi recisi, meticolosamente scolpiti nel fondo bianco per ricordarci la nostra precaria esistenza.
Peter Senoner coglie in modo affascinante il futuro perduto, svuotando la scultura di volume e facendo sì che l’architettura sprofondi in stessa.
Peter Senoner è nato nel 1970 a Bolzano (Italia), dove vive e lavora. Nel 2001 ha finito gli studi presso l’Akademie der Bildenden Künste a Monaco di Baviera.
È stato artista in residenza a New York (1997–2000), Tokyo (2002 e 2004), Vienna (2006), Berlino (2012) e Detroit (2016). Dal 2006 è docente libero presso l’Istituto di architettura sperimentale/Studio 3 dell’Università di Innsbruck.
Dal 2006, ha esposto presso diverse istituzioni internazionali: la Kunsthalle di Bremerhaven (2016), il Ferdinandeum di Innsbruck (2014), il Lentos di Linz (2013), nello spazio progettuale del Nationalmuseum di Berlin (2012) e il Museion di Bolzano (2011).
Ha preso parte alla mostra per il premio Agenore Fabbri della Fondazione VAF presso la Stadtgalerie di Kiel e il Palazzo Ziino di Palermo (2010), e ha esposto inoltre presso la Landesgalerie di Linz (2008), la Fondazione Ursula Blickle di Kraichtal, l’ar/ge kunst di Bolzano (2006), la Kunsthalle di Vienna (2005), lo spazio progettuale della Kunsthalle di Vienna (2003), la Collezione Falckenberg di Amburgo (2002), la Haus der Kunst di Monaco di Baviera, e l’ECA di Edimburgo (2000).
Peter Senoner ha ottenuto numerosi riconoscimenti e borse di studio, tra cui una sovvenzione da parte del Stiftung Kunstfonds di Bonn, il premio Hilde Goldschmidt, il Bayrischer Staatsförderpreis e il premio “Lines on Paper” (Linee sulla carta) messo a disposizione dall’AMI di Linz.
Ha creato opere per diversi spazi pubblici, tra cui la rotonda in prossimità dell’ingresso all’autostrada presso Chiusa (2009), la clinica Isar di Monaco di Baviera (2010), e il museo della farmacia di Bressanone (2006). È stato selezionato nella rosa dei candidati per una collaborazione nell’ambito del restyling della biblioteca comunale di Innsbruck. Molte sue opere sono proprietà di importanti collezioni private e pubbliche.
Testo a cura di Karin Pernegge