L’esposizione presenta 40 opere dell’artista romano che ripercorrono le tappe salienti della sua carriera, dagli esordi napoletani al periodo romano, dai soggiorni a Parigi, Londra e Dublino fino agli anni di Frascati.
Dal 21 ottobre al 18 dicembre 2016, la Galleria Bottegantica di Milano (via Manzoni 45) ospita una mostra dedicata ad Antonio Mancini (1852-1930), tra i più significativi e singolari artisti dell’Ottocento italiano, talento precoce che fece esclamare al pittore americano John Singer Sargent “Ho conosciuto in Italia il maggior pittore vivente”.
L’esposizione, curata da Enzo Savoia e Stefano Bosi, con il patrocinio della Commissione Europea, della Città metropolitana di Milano, del Comune di Milano, presenta una selezione di 40 opere di Mancini, provenienti da prestigiose collezioni private italiane ed europee, molte delle quale mai presentante al grande pubblico, che ripercorrono le tappe salienti della sua carriera, dagli esordi napoletani al periodo romano, dai soggiorni a Parigi, Londra e Dublino fino agli anni di Frascati.
La rassegna analizza inoltre i grandi temi affrontati da Mancini nel corso del suo iter creativo. Questi comprendono non solo i penetranti e noti ritratti di artisti circensi, musicisti di strada e poveri bimbi incontrati nei vicoli di Napoli, ma anche la ritrattistica ufficiale eseguita dietro commissione di alcuni dei più illustri esponenti della società internazionale del tempo, come pure i suoi intimi autoritratti che riflettono sia la giovanile agitazione interiore sia la serenità d’animo raggiunta nella tarda maturità.
Colorista geniale, Mancini è noto per i suoi audaci e innovativi metodi di pittura, caratterizzati da un impasto insolitamente spesso, che, soprattutto nella fase matura della sua attività, prevede addirittura l’inclusione di vetro, lana, madreperla e altri materiali liberamente disposti lungo la superficie pittorica.
Antonio Mancini, Genio ribelle è la prima personale che Milano dedica all’artista romano dopo la storica rassegna tenutasi nel 1962 alla Galleria d’Arte Moderna. Nel percorso espositivo s’incontrano lavori appartenenti al periodo napoletano come Lo scolaretto (1872), La figlia del Mugnaio (1872-1873), Acque basse (1874), Paglia rotta (1875), La zingara (1877-1878), Bambina che legge (1878) e le Due bambole (1878), che esaltano la barocca “napoletanità” di Mancini. Dipinti come Ciociara (1885) e Bevo la birra (1888) testimoniano invece il progressivo schiarimento delle tinte e l’alleggerimento della costruzione chiaroscurale messi in atto da Mancini durante gli anni romani, cui si aggiungerà, successivamente, un impasto cromatico sempre più spesso.
Antonio Mancini nasce a Roma nel 1852, Antonio Mancini si trasferisce con la famiglia a Napoli nel 1865, anno in cui si iscrive al Regio Istituto di Belle Arti, dove ha come insegnate Domenico Morelli, che lo conduce allo studio dei grandi maestri antichi del Seicento olandese e napoletano, ai quali Mancini attingerà sempre ispirazione per alimentare le sue ricerche luministiche. Nello stesso anno frequenta la scuola serale di scultura e pittura realista tenuta da Stanislao Lista, e, proprio in nome del principio di verità, realizza i suoi primi dipinti animati da fanciulli napoletani trovati nelle strade del capoluogo partenopeo. Sono esemplari in questo senso il Ritratto di bimba (1867), Lo scugnizzo (1868) e Prevetariello (1870). Nel 1872 invia due opere al Salon di Parigi, città dove soggiorna nel 1875 e nel 1877-1878, avendo così modo di conoscere la nuova arte degli Impressionisti. Proprio la luminosità atmosferica e le vibrazioni cromatiche della pittura impressionista sono rielaborate da Mancini attraverso l’uso di una “graticola” che, unita all’uso di un colore denso e corposo, gli garantisce di raggiungere una verità plastico-volumetrica della realtà. Questa ricerca porta l’artista, verso la fine del secolo, alla sperimentazione di una tecnica polimaterica consistente nell’utilizzo di pezzi di vetro, di lana, coralli e altri materiali, liberamente disposti sulla superficie pittorica.
Verso la metà degli anni settanta si datano opere come le Due bambole (1875), La corollaia e Il saltimbanco (entrambe del 1878), come pure una serie di paesaggi, spesso su tavola, che risentono particolarmente dell’esperienza parigina, come l’incantevole Villa comunale di Napoli (1880). Nel 1881, in seguito a violente crisi nervose, Mancini è ricoverato in un istituto psichiatrico dove dipinge alcuni dei suoi più intensi e drammatici autoritratti; due anni più tardi si trasferisce stabilmente a Roma grazie all’amicizia con il marchese Capranica del Grillo, di cui esegue nel 1892 un famoso ritratto, oggi conservato alla National Gallery di Londra. E proprio a Londra l’artista compie due importanti soggiorni (nel 1901-1902 e nel 1907-1908) dove è gradito ospite del pittore John Singer Sargent, che lo aiuta a introdursi nel mercato inglese in quanto convinto delle sue straordinarie doti di ritrattista. Nel frattempo, nel 1904, Mancini espone all’Internazionale di Düsseldorf, all’Universale di Saint Louis, all’Esposizione Italiana di Londra, e partecipa all’Internazionale di Roma con Mio padre con gli uccelli; nel 1905, all’Internazionale di Monaco, riceve l’ambita medaglia d’oro per il Ritratto della signora Pantaleoni (1904), e presenta alla VI Biennale di Roma il Ritratto del padre. Dopo parecchi viaggi in Belgio e in Olanda, dove viveva il pittore Mesdag, uno dei suoi primi mecenati, nel 1908 Mancini inizia una intensa collaborazione con l’antiquario tedesco Otto Messinger, mentre nel 1911 si lega contrattualmente al ricco industriale francese Fernand Du Chêne De Vère che lo accoglie nella sua villa di Frascati fino al 1918, quando il pittore decide di trasferirsi nuovamente a Roma presso la casa del nipote, dove continua a dedicarsi senza sosta alla sua attività, caratterizzata, in quest’ultimo periodo, da un rinnovato interesse per la definizione plastica delle figure. Nominato Accademico d’Italia nel 1927, Mancini si spegne tre anni dopo all’età di settantotto anni.