Un uomo, una moglie, un’amante evocano da sempre una trama di amore e gelosia forse prevedibile nei tratti dello schema classico di un ménage à trois. Ma non se l’uomo è Ade, il rapitore oscuro, che governa un regno di ombre. Il dio che ha molti nomi e molti sudditi. La sposa è una fanciulla carpita alla sua infanzia da mani rapaci; l’amante, la concubina ripudiata. Lo scenario, infine, è il tenebroso Tartaro: privo di cielo, inghiottito da un oscurità senza scampo. Su questo palcoscenico allegorico il mito greco anima la vicenda che vede protagonista la ninfa Menta, lo spirito più antico dell’umile e profumatissima pianticella che porta lo stesso nome. Nella sua storia il piano simbolico rivela i segreti che spiegano la natura botanica e le proprietà terapeutiche della menta. Una volta svelati, l’apparente prevedibilità della trama non ci sembrerà più tale; ci meraviglierà, anzi, per la stupefacente complessità. Si sa, le passioni degli dèi muovono il cosmo e mettono ordine dove domina il caos.
Menta un tempo era una ninfa bellissima; una naiade, figlia del fiume infernale Cocito. Ade se ne era invaghito e ne aveva fatta la sua favorita, godendo per lungo tempo dei piaceri di un amore libero da vincoli. Tuttavia era giunto anche per lui il giorno in cui aveva desiderato accanto a sé una regina. Aveva allora rapito con l’inganno la vergine Persefone, l’unica e amata figlia della dea Demetra, trascinandola nelle voragini del suo regno infernale e facendone la sua legittima consorte. Menta, spodestata dalla sua posizione di privilegio, aveva sfogato tutta la sua rabbia facendo risuonare il Tartaro di alti lamenti e recriminazioni infinite. Da donna tradita, la gelosia pungente la spinse a folli farneticazioni e a discorsi presuntuosi, a paragoni inopportuni tra le proprie doti e quelle della nuova arrivata. Si vantava di essere più bella di Persefone, si diceva sicura che Ade si sarebbe presto stancato di quella ragazzina inesperta e avrebbe infine recuperato il senno, cacciandola dal regno. I vaneggiamenti e le minacce continue della ninfa avevano fatto infuriare la protettiva Demetra al punto che un giorno, incontrando Menta proprio mentre questa andava ripetendo le consuete parole di odio, in un impeto d’ira l’aveva aggredita con tale violenza da calpestarla letteralmente sotto i piedi, riducendone il corpo a brandelli. Dai resti della ninfa, immediatamente era spuntata l’erba delicata e fragrante che porta il suo nome.
Questo mito è tutto costruito su un’ardita antitesi di piani antitetici. Innanzitutto, Menta è un’amante contrapposta a una legittima sposa, e rappresenta un eros libero dai vincoli della legge. Possiede inoltre una natura infera, in quanto figlia di un fiume sotterraneo. Persefone, invece, appartiene alla dimensione solare, a un’epoca eternamente primaverile. Sta cogliendo fiori il giorno in cui il suo oscuro sposo la ghermisce: un presagio della sua stessa deflorazione. L’amante conteso è Ade, e in questa lotta tra forze è lui il vero protagonista: lui che domina il profondo, dove torna al riposo del grembo tellurico ogni creatura che ha cessato di vivere, facendosi al contempo cibo per il nuovo ciclo vitale che attende. Fecondità e speranza di vita sono l’immensa ricchezza del regno di Ade, a discapito di ogni apparenza, e anche su questo si gioca la contesa simbolica tra Menta e Persefone. La sposa è destinata a procreare, la concubina può partorire solo bastardi. La frustrazione di Menta è così incontrollabile da toglierle il senno.
Demetra è la madre di Persefone ma è anche una grande Madre Natura. La maternità nutre la sua identità più profonda, e la sua presenza nel mito incarna le ragioni della sessualità lecita del matrimonio. Ecco perché spetta a lei mettere a tacere le recriminazioni di Menta, annientando il pericolo di una sessualità disordinata e illecita, estranea alle regole della civiltà. Demetra, in un gesto di potente intensità scenica, calpesta sotto i suoi piedi colei che mette a rischio la castità coniugale della nuova coppia e, in un certo senso, l’intero ordine del mondo.
La pianta che nasce dalle spoglie della ninfa ne conserva però l’essenza, a dimostrazione che nessuna polarità può essere soppressa, quando concorre a tenere in equilibrio le forze naturali. Infatti la menta, nonostante il suo aspetto delicato, è forte, infestante, e se viene recisa o calpestata ricresce più robusta. Come la passione, è travolgente e non si lascia reprimere. E questo è solo l’aspetto più evidente dei complessi rimandi simbolici che definiscono la menta sul piano botanico e farmaceutico, e che si dispiegano nella sfera dell’eros e della fertilità. Innanzitutto era considerata un afrodisiaco, e come tale era utilizzata nei riti nuziali: le spose ne intrecciavano corone profumate e il talamo veniva cosparso con le sue foglie. La fragranza intensa di questa pianta “dolceprofumo” agiva sul livello psichico, guidando gli amanti nell’abbandono. Attraverso un repentino, quanto apparentemente incoerente ribaltamento di valori, troviamo tuttavia la menta anche nelle liturgie funebri: insieme a mirto, prezzemolo e rosmarino, abitava i sepolcri, addolcendo con la consolazione olfattiva gli odori pungenti della morte.
Ma ora sappiamo che passione amorosa e dimensione infera partecipano entrambe della natura di Menta, figlia dell’inquieto Cocito; e gli opposti si ricongiungono nelle complesse trame dell’esistenza. Lo stesso avveniva per la valenza terapeutica della sua pianta officinale, che rispecchia pienamente l’archetipo espresso dal mito: pur essendo uno stimolante sessuale, in virtù della sua natura fredda e ctonia e di un passato mitico legato all’amore extraconiugale, si riteneva possedesse proprietà contraccettive e abortive. Plinio ricordava che “è mortale per il feto” e che ostacola la riproduzione; Dioscoride ne prescriveva l’applicazione sui genitali femminili prima di un rapporto, al fine di impedire il concepimento. Infatti, in un curioso gioco di riferimenti incrociati, la tradizione medica antica attribuì per lungo tempo alle piante afrodisiache valore contraccettivo, così come a quelle anafrodisiache potere generativo.
Tutti gli attori del dramma hanno dunque recitato a dovere la loro parte, schierando in campo i rispettivi valori. Uno scenario geografico di questa sacra rappresentazione ancora esiste, salvato dal dovuto rispetto della devozione religiosa. Si trova nella regione greca dell’Elide, dove vi è un rilievo chiamato Minthe: Menta. Le fonti antiche riportano che proprio lì un tempo sorgeva uno dei rarissimi templi dedicati al dio Ade, e tutto intorno vi era un bosco consacrato a Demetra. Un’unica cornice liturgica ha riunito i tre principali personaggi, che solo nella mistica solitudine del locus amoenus sembrano aver ritrovato la pacifica ricomposizione di ogni contraddizione.