Parte della migliore cultura inizia come irritazione. Qualcosa - una certa tensione o inconciliabile contraddizione nel mondo - ci irrita o attiva i nostri Bullshit-detectors, e l’unica cosa che possiamo fare è rispondere energicamente e onestamente. La Bullshit spesso si presenta sotto forma di imperativi codificati - che ci dicono cosa fare, pensare, o cosa ci deve piacere - e la risposta energica e veritiera è quella di dir loro di andare a farsi fottere nella loro stessa lingua. Immagina un colloquio di lavoro. È un’agenzia creativa con palle da ginnastica al posto delle sedie da scrivania. Come tutti in ufficio, indossi una camicia morbida e un paio di scarpe passabili. Il tuo CV è esposto in modo impeccabile e dice: con esperienza, ma non iper-qualificato. Ti senti riposato e fiducioso. Appena l’intervistatore entra nella stanza però tutto va al diavolo. Mette il tuo CV da parte e vuole invece ascoltare qualcosa di interessante su di te, ciò che ti rende te stesso. Ti ha appena dato abbastanza corda per impiccartici. La tua risposta è, in ogni caso, insoddisfacente. Per offrirti un’altra possibilità per dire la giusta bugia, ti chiede poi di identificare le tre aree in cui potresti migliorare di più. Di cosa stiamo parlando? L’intervistatore si sfrega la faccia. Cosa sta cercando in realtà? Da un certo punto di vista non lo sa nemmeno lui. È qualcosa che non può essere nominato o misurato. Tu espiri e la tua bocca inizia a muoversi mentre i tuoi occhi scansionano la stanza. Mattone. Vetro. Marchio commerciale rosso. Filodendro. Lexar. Pouf. Cavalletto. Brainstorm. Tazza Keurig. Franco a bordo. Dici a te stesso che forse non può essere menzionato perchè non è una cosa sola, è la combinazione di tutte queste forze. Insieme formano una perfetta falsità che non può essere suddivisa in lamentele divise in frasi. Probabilmente tu sai che la tua reazione è veritiera, ma in uno strano senso di “verità”. Non puoi prendere a pugni la parete di vetro come uno psicopatico. Sarebbe sconveniente, come prima cosa – e solo una mezza verità. Una risposta veritiera deve essere più brillante, grandiosa, indimenticabile, meno un riflesso e più una vendetta estetica. Deve rifiutare le premesse più profonde di questo posto. Deve negare simultaneamente la palla da ginnastica, la stanza per la pausa, il Franco a bordo, l’atmosfera divertente, il tuo CV, la tua istruzione, la sua sedia girevole, la sua non detta disapprovazione della tua presenza sui social media, l’idea insidiosa della classe creativa – deve negare tutto questo per liberare spazio per qualcosa di più vivibile. Non deve nemmeno essere negativo, veramente – amaro, ostile, pessimistico, assoluto – può negare, rifiutare e criticare puramente tramite un esercizio di autonomia non autorizzata. Ora l’intervistatore ha tutto il potere e rappresenta il mondo com’è. Non è colpa sua; ha un lavoro da svolgere. E mentre tu forse non hai il potere, o il lavoro, o un lavoro, quello che hai è il tempo libero. Dopo un lampo di genio, adotti un nuovo piano: andare ad un altro colloquio, in un nuovo posto, ogni giorno della settimana, e fare fiasco di proposito. Hai visto questo lavoro al cabaret; I colloqui non sono molto diversi. Il piano è infantile ma per te esprime totale libertà: programmare colloqui, comportarsi come un idiota per hobby o pratica culturale (a seconda di come guardi la cosa) e estorcere autonomia dicendo durante questa intervista – questo crogiolo di auto-tradimento – di andare a farsi fottere nella loro stessa lingua. Questo è ciò che ti rende te stesso. - Testo di Brandon Joyce
Brandon Joyce è uno scrittore e critico, che vive e lavora a Los Angeles. È stato il fondatore del Philadelphia Institute for Advanced Study. È apparso su New York Times, National Geographic, Philadelphia Magazine, Philadelphia City Paper, Huffington Post, Rhizome, Whitewall, Paper Monument, Bad at Sports, among others. I suoi testi possono essere letti su lifeactionrevival.org.
Jill Pangallo (1971, Baltimore, Maryland) vive e lavora a New York City. Ha ricevuto un MFA in Transmedia presso la University of Texas di Austin e un BFA in Communication Design presso la Parsons School of Design di New York City. Pangallo è una performer e artista conosciuta per le sue opere multimediali divertenti e inquietanti che si occupano di identità e cultura di massa. Si è esibita in un diverse gallerie, teatri, club e proiezioni di tutto il mondo. Pangallo ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui borse di studio dall’Università del Texas, The Idea Fund, City of Austin’s Art in Public Places e Foundation for Contemporary Arts. Cura eventi di performance, e recentemente ha lanciato Your Main Thing, una serie web autoprodotta.
Sam Hyde (1995, Capetown, Sud Africa) vive e lavora a Berlino. Ha studiato presso la Cooper Union a New York City e ha vinto numerosi premi nazionali, tra cui quelli offerti da The Artist’s Magazine, The Art Calendar e partecipato in molte mostre d’arte e concorsi. È stato citato in articoli su The American Artist Magazine (2005) e American Art Collector (2007, 2009, 2011, and 2013). Il suo lavoro è presente in collezioni nazionali e internazionali.
John Olson (1972, Bismarck, North Dakota) ha costruito un corpus di lavori che consistono in suoni, mash-up, dipinti nebulosi e rivista patinata stacciate, a partire dai primi anni ’90. Ha studiato come pittore, stampatore, soprano, sassofonista ed elettricista ed è conosciuto per essere parte del trio di avanguardia tripmetal Wolf Eyes e per la sua etichetta discografica per corrispondenza American Tapes (1995-2014).
Zach Shipko (1989, Los Angeles, California) ha conseguito un BFA presso il San Francisco Art Institute nel 2011. Ha creato centinaia di lavori specifici per internet, dal 2000 circa. Ha co-diretto due film durante gli studi al San Francisco Art Institute, e ha lavorato come programmatore di computer, prima di iniziare a fare street-photograhy nel 2008.