Inaugura giovedì 25 giugno 2015 alle 18.00 a Palazzo Santa Margherita in corso Canalgrande 103 la mostra "Art Kane. Visionary", a cura di Jonathan Kane, Holly Anderson e Guido Harari, allestita fino al 20 settembre 2015.
Organizzata e prodotta dalla Galleria civica di Modena e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti di Parma e Wall of Sound Gallery di Alba, questa grande retrospettiva dedicata ad Art Kane a vent'anni dalla sua scomparsa e nel novantesimo anniversario della sua nascita, presenta per la prima volta in Italia un centinaio di fotografie classiche e inedite che hanno contribuito a formare l’immaginario visivo della seconda metà del Novecento. Una parte della mostra sarà dedicata ai ritratti e alle celebri foto delle maggiori icone della musica degli anni Sessanta, una sezione non meno consistente all'impegno civile (soprattutto la lotta per i diritti civili degli afro-americani e degli indiani, il fondamentalismo religioso, il Vietnam, l'incubo nucleare di Hiroshima, il consumismo, il crescente degrado dell'ambiente), a visionarie riflessioni esistenziali ricavate dal "sandwich" di più diapositive (una tecnica pionieristica in un'epoca senza Photoshop), a illustrazioni fotografiche dei testi di Dylan e dei Beatles e alla moda, senza dimenticare le evoluzioni della società americana, il tutto fissato con sguardo tanto originale e visionario da conquistarsi onori, premi e le copertine dei più prestigiosi rotocalchi internazionali. "Voglio comunicare gli elementi invisibili in una personalità", diceva Art Kane, racchiudendo in poche parole tutta la sua poetica. "Penso ad Art Kane come ad un colore acceso, diciamo, come un sole color zucca in mezzo ad un cielo blu. Come il sole, Art fissa il raggio del suo sguardo sul suo soggetto, e quel che vede, lui fotografa, e di solito si tratta di un'interpretazione drammatica della sua personalità". Così diceva di lui Andy Warhol.
"Art Kane è stato un mio idolo - ricorda Franco Fontana - quasi un miraggio per me che lo ammiravo da lontano. Poi l'ho conosciuto nel '77 ad Arles e siamo diventati fratelli di 'colore' legati da un rapporto indimenticabile di amicizia e di intimità. Era un uomo geniale, di grande intelligenza e creatività. Animato dal mito impossibile di un'eterna giovinezza e di una continua rinascita, mordeva la vita fino in fondo: voleva addirittura ricavarne un musical. Girava per New York in Velosolex e una sera mi portò al mitico Studio 54, arrivando vestito di tutto punto da cowboy. Adorava le donne e le fotografava con una sensibilità e un erotismo in cui mi ritrovavo appieno. Amava l'Italia dov'era venuto più volte, anche per dei workshop organizzati da me. Ipercritico con gli studenti, li strigliava senza pietà, provocandoli e incoraggiandoli a scavare sempre in profondità nel loro subconscio".
Art Kane è il leggendario fotografo che alle 10 di un mattino d'agosto del 1958 immortalò per la rivista "Esquire" ben 57 leggende del jazz su un marciapiede della 126ma strada, ad Harlem, ignaro di aver creato l'immagine più significativa della storia del jazz, universalmente nota come "Harlem 1958". Una fotografia che gli è valsa la medaglia d'oro dell'Art Directors Club di New York e così potente da ispirare un libro, un documentario del 1994 che ottenne la nomination all'Oscar ("A Great Day in Harlem"), e più di recente un film di Spielberg, "The Terminal" (2004), con Tom Hanks.
L'obiettivo di Kane si è posato poi altre volte sui grandi della musica, di ogni musica, dai Rolling Stones a Bob Dylan, ai Doors, a Janis Joplin, ai Jefferson Airplane, e ancora Frank Zappa, i Cream, Sonny & Cher, Aretha Franklin, Louis Armstrong, Lester Young, creando una serie infinita di icone, come, una su tutte, quella memorabile degli Who avvolti nella bandiera britannica. Ma Kane è stato molto di più: uno dei veri maestri della fotografia del XX secolo, le cui immagini visionarie hanno influito sulla coscienza sociale di più di una generazione e lasciato un segno sulla cultura mondiale.
Immagini che oggi sono nelle collezioni permanenti del Museum of Modern Art e del Metropolitan Museum of Art.
Art Kane (1925-1995) ha lavorato per la moda, l'editoria, realizzato ritratti di celebrità, reportage di viaggi, e trattato il nudo con un occhio implacabile e innovativo. Come per i suoi contemporanei, Guy Bourdin (1928-1991) ed Helmut Newton (1924-2004), l'opera di Kane gravita attorno a tre elementi principali: colori decisi, erotismo e umorismo surreale. Alfiere di quell'esprit selvaggio che, soprattutto grazie a lui si è affermato dopo la seconda guerra mondiale: inflessibile, senza compromessi e sentimentale. Nato nel Bronx, a New York, nel 1925 (la famiglia Kanofsky - questo il suo vero cognome - vi si era trasferita nei primi anni del '900, fra il 1900 e il 1910, dall’Ucraina) Kane ha combattuto la Seconda Guerra Mondiale in Francia in un pittoresco contingente addetto a carri armati gonfiabili che dovevano depistare i tedeschi. Dopo la laurea con lode presso la Cooper Union conseguita nel 1950, e dopo aver studiato con Alexey Brodovitch alla New School, insieme a Richard Avedon, Irving Penn e Diane Arbus, all'età di 27 anni è diventato il più giovane art director della storia entrando alla rivista "Seventeen". Nel 1958 la consacrazione con il ritratto delle leggende del jazz su un marciapiede di Harlem. Con il suo lavoro, mentre infuriavano la battaglia per i diritti civili e la guerra in Vietnam, Kane ha poi dato una risposta di coscienza al periodo che stava vivendo, esprimendosi in modo popolare, mostrando una grande capacità di comunicare con un vasto pubblico.
In anni in cui la tecnologia delle macchine fotografiche, ancora analogiche, progrediva ad una velocità parossistica, il formato 35mm fu per Kane liberatorio: “Amo l’aspetto ritualistico del mezzo, il senso embrionico di perdermi nella finestra magica del mirino, l’incredibile gratificazione di trovarmi nel tempio da me stesso creato. Apparivo ridicolo con la mia giacca sulla testa perché nessuno usava coprirsela scattando con una 35mm, ma io amavo quell’alienazione, l’essere totalmente rimosso dal mondo esterno, come se avessi a disposizione un mio piccolo teatro personale”. Trent'anni prima di Photoshop, armato solo di un tavolo luminoso e di una lente di ingrandimento, Kane ha inventato l'immagine "sandwich" montando due diapositive a registro nello stesso telaio. Sviluppando questa tecnica oltre ogni limite, Kane è divenuto un vero e proprio pioniere della narrazione fotografica, che ha condotto avvalendosi anche di metafora e poesia, trasformando, di fatto, la fotografia in illustrazione. Ha poi attraversato gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta come una furia, rivoluzionando la fotografia commerciale, l’immagine di moda, il ritratto di celebrità e il nudo, grazie ad un utilizzo spericolato del grandangolo, di pellicole dai colori ipersaturati e di un umorismo surreale ad alto tasso erotico. Kane ha anche dato un contributo fondamentale alle principali riviste di moda della sua epoca, e ha firmato sorprendenti campagne pubblicitarie sia per l'industria della moda che per quella della bellezza. Legatissimo all'Italia, è venuto nel nostro Paese a più riprese per fotografare e per dare vita a dei workshops.
Nel corso della sua carriera Kane è stato premiato da quasi tutte le organizzazioni di photo-design negli Stati Uniti, tra cui: American Society of Magazine Photographers, Photographer of the Year, Newspaper Guild of America, Page One Award, Augustus Saint-Gaudens Medal per Distinguished Achievement, Cooper-Union, New York Art Directors Club. Nel 1984 Kane ha ricevuto l'American Society of Magazine Photographers Lifetime Achievement Award e ha ottenuto importanti riconoscimenti da numerosi enti e società americane.
"Art Kane è stato un illusionista - scrive Guido Harari -, il maestro di un impressionismo fotografico che ancora oggi sollecita emozioni e distilla idee. Venezia è sempre in pericolo, i musicisti rock annunciano sempre l’avvento di un qualche Nuovo Mondo, la solitudine nell’era di Internet è ancora più cosmica, i diritti civili vanno rinegoziati ogni santo giorno, il degrado dell’ambiente ci spinge sempre più rapidamente verso l’estinzione, e Kane, con un’attualità stupefacente, proiettava già tutto questo in un mondo di fantasia che pare amplificare la realtà di oggi. In pochi anni ha rivoluzionato la fotografia, scoprendo tecniche nuove e personalizzandone altre per liberarla dal suo presunto "verismo". La fotografia di Kane è energia pura, vera immaginazione al potere: “La realtà per me non è mai all’altezza delle aspettative visive che genera”, ha detto. “Più che registrarla con le mie foto, mi preme condividere il modo in cui sento le cose”. Tutte le fotografie di Kane sono pervase dalla sua incontenibile passione per la vita, per l’uomo e per una cultura popolare da interpretare attraverso simboli. Le sue sono immagini pensanti, visioni che comunicano sempre un personalissimo punto di vista, sul razzismo e sulla guerra, sul misticismo o sul sesso, sulla moda o sulla musica. Nessuna preoccupazione di “stile”: la sua tecnica fotografica era intuitiva e disarmante nella sua semplicità, animata da una varietà impressionante di spunti, di improbabili angolazioni di ripresa, singolari ambientazioni e colori saturi. Nulla appare come ce lo aspetteremmo: le immagini suggeriscono, provocano, spiazzano, ma tocca a chi guarda completare il quadro. Gli anni Cinquanta anticiparono anche la rivoluzione del colore che Kane colse al volo, sapendo bene, grazie alla sua pluripremiata esperienza di art director, come impaginare le sue visioni e soprattutto come selezionarle. Il suo editing ferocemente chirurgico ha lasciato rarissimi scatti alternativi nel suo pur sterminato archivio: “Capii subito che la fotografia può anche essere un atto di rifiuto, che ti lascia scegliere cosa lasciar fuori dall’immagine”.
Kane affinò il suo talento su testate mitiche come “Look”, “Life”, “Esquire” e “McCall’s”, ormai defunte (tranne “Esquire”) ma all’epoca prodighe di compensi favolosi pur di ottenere immagini che “eliminano il piccolo e il brutto per enfatizzare il grande e l’eroico”, spingendo sulla strada della visionarietà anche quando la moda bussò alla sua porta nella persona di Diana Vreeland, la potente madame di “Vogue”. Dalla profondità di campo e dalla marcata distorsione del grandangolo 21mm (inventato proprio in quegli anni) al “fuoco selettivo” ottenuto con teleobiettivi come il 180mm e il 500mm, il suo vocabolario visivo si arricchiva anche di immagini concepite per essere guardate rovesciate a testa in giù e di geniali montaggi di due diapositive i suoi cosiddetti 'sandwichs', di cui questa mostra presenta numerosi esempi. "Uso il sandwich come uno strumento poetico per fuggire dal fotorealismo - ha detto Kane -. È come la vita: le cose accadono, ma non sono necessariamente drammatiche, finché non fai un passo indietro e ne catturi l’essenza basandoti sulla tua memoria. La memoria è straordinaria. Quando hai l’audacia di estrarre un’immagine dal mondo vivente e unidimensionale, hai eliminato odori, tatto, suono, e gli hai messo intorno una cornice eliminando la visione periferica. In questo senso nessuna foto è la verità, non importa quanto realistica sia l’immagine, o quanto normale sia l’obiettivo. Mentono tutte, perché noi montiamo sempre. Nella visione normale cogliamo una cosa alla volta, ma muoviamo sempre gli occhi combinando ogni cosa di continuo”."