Dal 17 aprile al 13 settembre 2015 il MACRO - Museo d’Arte Contemporanea Roma accoglie la mostra dell’artista greco Nakis Panayotidis “Guardando l’invisibile”.
Nato ad Atene nel 1947 e residente in Svizzera dal 1973, Panayotidis è senza dubbio tra gli artisti europei più significativi dialettici con l'Arte Povera, alla quale si è avvicinato durante il suo soggiorno a Torino negli anni Sessanta. E’ tuttavia un artista poliedrico, la cui attività artistica non può essere ricondotta solo a questo filone. Il suo stile e le tecniche usate, infatti, non permettono di classificare il suo lavoro in modo univoco.
Panayotidis presenta al MACRO una selezione di opere realizzate negli ultimi dieci anni, che fanno parte di una scelta delle opere in mostra al Kunstmuseum Bern fino allo scorso 15 marzo per la sua retrospettiva Nakis Panayotidis. Seeing the Invisible. Dopo la tappa di Roma, la mostra nel mese di ottobre sarà ospitata dall’Hess Art Museum, The Hess Collection Winery, Napa, USA.
Nelle sue opere Panayotidis si avvale di tecniche variegate che utilizzano, spesso simultaneamente, immagini fotografiche, dipinti e disegni, su cui egli costruisce una complessità innestando ulteriori materiali che ne enfatizzano le caratteristiche, tra cui spiccano oggetti di uso quotidiano ed elementi in metallo e vetro, trattati sempre alla stregua di materiali poveri. Incline all’incidentale e al transitorio, utilizza anche il vapore e la luce per alcune sue istallazioni.
Per Panayotidis la costruzione dell’idea è sempre basata sulla totale libertà di esplorazione e improvvisazione. Anche nel medesimo gruppo di opere, ognuna di esse spicca per la propria singolarità. E’ raro trovare nei suoi lavori la ripetizione di elementi visivi.
E’ solo riflettendo sul contesto ed il significato della pluralità dei suoi lavori che si scorge l’interazione fra essi. Le opere aspirano tutte a rivelare quel che è già avvenuto e quel che avverrà. La chiave di lettura della sua opera è la consapevolezza che tutto scorre in un flusso perenne.
Il suo lavoro è inoltre fortemente influenzato dalle sue origini e conseguentemente dalla mitologia greca. Anzi, spesso l’artista ricorre all’antico per creare il nuovo. L'installazione Ladro di luce, presentata per la prima volta a Salonicco nel 2005, allude ad esempio al mitico gesto di Prometeo. Il furto del fuoco dal cielo degli dèi viene rappresentato da una serie di forme bronzee sporgenti dalla parete, che, come pugni chiusi dell’artista, stringono un segmento di luce al neon. L'artista ha simbolicamente sottratto la luce che Prometeo ha rubato per l'umanità; diventando allo stesso tempo ladro e nuovo portatore di luce egli offre infatti in cambio un fascio di luce blu, che rappresenta la voglia di amare, di sapere, di sognare ed essere liberi.
Un ruolo particolare occupa, nel variegato lavoro di Panayotidis, l’utilizzo luminoso del neon. Come osserva il curatore della mostra Bruno Corà: “In tutti i casi la luce per Panayotidis deve essere ricondotta sin dalle prime sue introduzioni nell’opera come dato di illuminazione oggettiva, ma anche come elemento metaforico di ciò che rischiara la tenebra e impedisce l’oscuramento, l’incoscienza, l’oblio”. Ed inoltre: “Per Panayotidis la luce diviene lo strumento di una sintetica trasmissione di contenuti di carattere spazio-temporale: memoria, tempo, immaginario”.
L'artista attribuisce alla luce un valore unico, distaccato ed autonomo rispetto alla sua mera valenza funzionale. Le sue fotografie creano fenomeni di luce che rimandano ad effigi barocche di santi. I limiti temporali e spaziali appaiono sospesi, specie negli scatti di immagini del mare, che rappresenta per l'artista un eterno compagno ed un passaggio ad altri luoghi e tempi. In Con lo sguardo del nomade, 2009 la linea dell'orizzonte resa bianca dalla retroilluminazione del lavoro comprime la linea di fuga prospettica in cui è suddiviso lo spazio.
I soggetti dei suoi lavori fotografici non sono le eroiche rovine della Grecia classica, bensì zone industriali abbandonate nelle periferie delle città moderne, dove la natura rivendica la propria supremazia crescendo selvaggiamente, come nella stazione ferroviaria protagonista di Linee di partenza linee d'arrivo, 2005.
Di rilievo i lavori a neon primari e lineari nella forma, come l’opera Kabul, 2010 in cui l'artista ribalta le lettere greche che compongono le parole "battaglia" e "fama", senza che esse perdano di leggibilità e significato.
Nakis Panayotidis nasce ad Atene nel 1947. Già dall’adolescenza è vicino al mondo del teatro e della scenografia. Nel 1966 si trasferisce a Torino dove studia architettura ed entra in contatto con l’architetto Volterrani e con lo scultore Molinari, che lo iniziano alla carriera artistica. Frequentando la Galleria Christian Stein ed i suoi artisti scopre l’Arte Povera (sarà definito da La Repubblica nel 2003 “l’ultimo dei poveri”). Nel 1967 si trasferisce a Roma e si iscrive all’Accademia di Belle Arti, seguendo, in particolare, i corsi di cinema e teatro. Ma appena un anno dopo ritorna a Torino ed inizia a lavorare per Volterrani e Molinari. E’ in quegli anni che si sviluppa la sua passione per la politica, essendo egli convinto che l’arte possa essere un veicolo efficace di per sé ideologico. Nel corso degli anni settanta si trasferisce a Berna (dove vive e lavora tuttora) dove incontra e sposa Agnès Häussler, da cui ha una figlia. Il suo percorso artistico è caratterizzato da una forte sperimentazione, non esente da critiche, che rappresentano per l’artista uno stimolo per esplorare nuovi nuove idee e nuovi linguaggi.