"L’annuale appuntamento espositivo del Museo delle Cappelle Medicee propone nel 2015 una riflessione e un approfondimento su un tema caro alla famiglia granducale: i doni a carattere sacro, preziosissimi e magnifici che i Medici offrirono ai santuari della Toscana, ma anche ben oltre lo Stato che la famiglia governava, arrivando fino a Loreto, in Terra Santa, e a Goa in India. Doni di varia natura e tipologia, corone votive, fornimenti per altari, calici, ostensori, reliquiari, paliotti etc., che allora come oggi si leggono nella duplice forma di testimonianza del culto dei granduchi e delle granduchesse legati per varie ragioni ai santuari beneficiati dalle sontuose suppellettili sacre, ma anche di ricchezza, di cultura e di gusto, testimonianza indubbia del loro potere economico e politico, o meglio, come è stato scritto, “veicoli dell’articolato sistema di sacralizzazione del potere”. Si è scelto di presentare solo pezzi molto preziosi e spesso poco noti, un “fior da fiore” a far da corona alle meraviglie di reliquiari medicei che il Museo conserva fin dal 1945 e che oggi, alla luce di rinnovati studi, concorrono a esprimere e chiarire il sentire dei committenti contribuendo alla comprensione della cultura che li espresse, troppo spesso e ingiustamente ritenuta in passato unicamente frutto di ‘bigottismo’. Nel risplendere degli ori, nel variare delle pietre dure sapientemente lavorate, nello scomporsi della luce nel cristallo di rocca si avrà l’impressione di fulgida bellezza e si capirà tutta la grandezza dei committenti. La mostra segue e, in qualche modo completa, altre due importanti esposizioni che l’hanno preceduta: Sacri Splendori, allestita nel 2014 nel Museo degli Argenti e i cui studi e attente indagini documentarie hanno costituito la base indispensabile per quella attuale; e la piccola e raffinata esposizione dedicata a L’altra metà del cielo che ha trovato il suo luogo ideale presso il Museo di Casa Martelli a Firenze, sempre nel 2014. " (Monica Bietti).
L'esposizione dei magnifici oggetti è ordinata secondo il loro legame con i vari personaggi della famiglia Medici che effettuarono le donazioni. Allora come oggi questi doni si prestano ad una duplice lettura: sia come attestazione della devozione dei granduchi e delle granduchesse, sia come manifestazioni di ricchezza, di cultura e di gusto, testimonianza indubbia del potere economico e politico al governo. E' evidente infatti che offerte di questo pregio superlativo - e di costo esorbitante, in proporzione - trascendevano l'ambito di una devozione privata e personale, e si presentavano come omaggi "di Stato" al superiore potere della Divinità. La cura nella scelta e nella lavorazione dei materiali è un tratto comune nella creazione di oggetti di piccole, medie e grandi dimensioni. Gli artefici che fornivano modelli e disegni lavoravano indistintamente a urne reliquiario destinate a racchiudere piccoli elementi e frammenti, oppure di grandezza tale da accogliere un intero corpo, come pure a corone, fornimenti, altari, paliotti o intere cappelle.
Gli oggetti in mostra, tutti di qualità altissima, trovano con la Cappella dei Principi, dove sono ambientati, un dialogo stretto ed esplicito che valorizza gli uni e l’altra con rimandi, rapporti e richiami palesi, in un tutt’uno davvero unico al mondo.
La mostra si apre con un dipinto di anonimo raffigurante il momento, il 5 marzo 1570, in cui Cosimo I de’ Medici ricevette l’investitura a granduca da papa Pio V (1566-1572). Il titolo granducale era nuovo rispetto a quelli fino ad allora assegnati da papi o imperatori, cosicché anche la corona, che non poteva esemplarsi su modelli esistenti, dovette essere creata ex novo; la vediamo rappresentata in questo dipinto oltre che nel proclama originale conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze (cat. nn. 1, 2). La medesima corona del Granduca fu poi presa a modello per incoronare le sacre immagini mariane dei maggiori santuari della Toscana, a testimonianza della sacralità assunta come forma ufficiale di propaganda e affermazione politica. Ne sono manifestazione evidente in mostra le due corone realizzate per la cosiddetta Madonna delle lacrime della Santissima Annunziata di Arezzo (cat. n. 3).
Nell’anno del Giubileo 1600, Ferdinando I de’ Medici rinnovò con un prezioso donativo il legame tra il casato e le chiese del territorio, inaugurando una tendenza che segnò l’intero secolo, in un continuo crescendo. L’8 settembre (festa dell’Annunciazione) il granduca consegnò alla Basilica servita della Santissima Annunziata un prezioso paliotto d’argento opera dell’orafo cortonese Egidio Leggi, come ex voto in segno di gratitudine per la guarigione del figlio Cosimo da una grave infermità, considerata una grazia della Madonna più venerata di Firenze.
Ancora più importante, per la storia che narriamo in questa mostra, è la figura di Cristina di Lorena, moglie di Ferdinando I dal 1589. A lei si devono importanti donativi per i santuari della Toscana, fra i quali quelli per la Madonna al Sasso (cat. n. 12) e per Santa Maria della Fontenuova a Monsummano (cat. n. 13). Nei laboratori di Galleria, Cristina di Lorena favorì la presenza di vari maestri d’oltralpe, come Jonas Falck, (Ostensorio, cat. n. 14), accanto agli artisti di corte come Matteo Nigetti e Pietro Tacca, autori del "fornimento d’altare" per la basilica della Santissima Annunziata a Firenze (cat. n. 15) e impegnati nel cantiere della Cappella dei Principi presso San Lorenzo.
Con il granduca Cosimo II e la consorte Maria Maddalena d’Austria, si intensificarono le commissioni di grandiose opere di oreficeria sacra. Tra i lavori promossi dalla coppia granducale spicca lo straordinario ex voto con l’effigie in pietre dure di Cosimo II (cat. n. 21). L’opera costituiva la parte centrale di un monumentale paliotto in oro – disfatto sul finire del XVIII secolo – destinato all’altare di san Carlo Borromeo a Milano, ma mai inviato nella città lombarda per la morte prematura del Granduca, avvenuta nel 1621.
Su iniziativa di Maria Maddalena la cappella dell'ex appartamento di Ferdinando I de’ Medici in Palazzo Pitti divenne un sontuoso sacello domestico: la Cappella delle Reliquie, dove trovò stabile sistemazione la ricca collezione di oltre seicento reliquie, entro custodie eseguite in materiali preziosi, come il Reliquiario di san Guglielmo duca di Aquitania (cat. n. 17) e quello di una delle compagne di sant’Orsola (cat. n. 18), eseguiti nel 1619 per Cosimo II che li offrì in dono alla moglie.
Vittoria della Rovere ereditò dalle granduchesse Cristina di Lorena e Maria Maddalena d’Austria la Cappella delle Reliquie di Palazzo Pitti con il suo tesoro di sacri resti e di reliquiari. Animata da una fervida fede, contribuì in maniera determinante alla crescita di questo insieme, arricchendolo di reliquie provenienti spesso dalle catacombe romane. Di pari passo procedette la realizzazione di nuove custodie, tutte di notevole pregio artistico, come il Reliquiario di san Zanobi e il Reliquiario di san Tommaso vescovo di Hereford (cat. nn. 23-24), caratterizzati da statuette a tutto tondo in argento attribuite a Michelangiolo Targioni.
Il granduca Cosimo III rivestì un ruolo di assoluta centralità nella storia della devozione medicea. Le cronache del tempo informano delle sue numerose donazioni ai molti luoghi di culto, così come della sua ossessiva ricerca e raccolta di reliquie di santi. Il suo regno fu segnato dalla commissione di un rilevante numero di custodie destinate alla sua Camera in palazzo Pitti, ma anche da portare addosso alla persona sotto forma di raffinati medaglioni, così da trarre beneficio dai poteri terapeutici che la devozione del tempo attribuiva ai sacri resti.
Si deve a Cosimo III il rinnovamento dell’ambiente artistico di corte. Fu infatti il Granduca a fondare, nel 1673, l’Accademia fiorentina a Roma con sede a palazzo Madama, permettendo agli artisti fiorentini di aggiornarsi sul gusto barocco. Vi si formarono vari illustri artefici destinati a dominare la scena cittadina tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, primi tra tutti Giovan Battista Foggini e Massimiliano Soldani Benzi, importando le novità di origine romana nel linguaggio fiorentino delle arti espresso in tutte le sue forme. Nel Reliquiario di san Casimiro del Soldani Benzi (cat. n. 28) si avverte la rottura rispetto alla tradizione precedente per il complesso dinamismo dell’opera: un vero trionfo di fiori, nastri, e figure a tutto tondo in libertà, che raggiunge effetti di straordinaria efficacia. La suggestione teatrale di chiara impronta barocca è evidente anche nelle opere di Giovan Battista Foggini, caratterizzate dall’impiego di pietre dure con effetti cromatici sorprendenti (cat. nn. 40-42). Il Reliquiario di san Sigismondo (cat. n. 44) si pone al vertice di tale percorso: attorno alla pur carismatica presenza della reliquia, l'apparato narrativo e ornamentale diviene sempre più coinvolgente e scenografico.