Con Sotto zero, ultimo evento della stagione prima della chiusura estiva, Studio G7 decide di soffermarsi sulla realtà più vicina al luogo della propria attività, collegando la linea di indagine che ne contraddistingue da decenni il lavoro alla ricerca operata da Felsina Factory: associazione no-profit da tre anni attiva nell'area emiliana. L'associazione esplora in modo trasversale la realtà culturale del territorio circostante, privilegiando tra le diverse forme di espressione artistica le arti visive. In occasione di questa mostra Studio G7 condivide la "mission" di Felsina Factory ponendo in risalto l'esperienza di un artista residente nell'area, il cui lavoro, come per altri artisti seguiti dall'associazione, può considerarsi da un lato parte delle esperienze che caratterizzano e hanno caratterizzato la produzione culturale dell'ambiente emiliano; dall'altro si pone in dialogo, per originalità e qualità, con le tendenze artistiche coeve più rilevanti in ambito nazionale e internazionale.
Le crio-grafie che Nanni Menetti espone in questa mostra documentano l'ultimo stadio delle sue ricerche. I materiali delle sue opere sono stati per anni quelli connessi alla pratica della scrittura: carte assorbenti, carta carbone, veline ecc.. Scrittura che ultimamente s'è fatta largamente olistica, arrivando a coinvolgere le forze della natura, il gelo in particolare nella serie delle “crio-grafie”.
Lavoro importantissimo, questo delle crio-grafie (dal greco scritture del freddo), che ne fanno un unicum nella storia dell'arte. Sono una sua invenzione assoluta.
Si tratta di una forma tutta nuova di declinare il duchampiano ready made, tesa, nel caso, a ri- portare alla nostra attenzione la natura e il bisogno, per noi, di salvaguardarne tutta la sua salvifica e pura (ma proprio salvifica perché pura) creatività.
Nell'intenzione dell'artista le crio-grafie trovano la loro ragione d'essere a tre livelli: nella vita privata dell'artista, ripagandolo delle delusioni che provava da bambino quando gli arabeschi delle sue finestre gelate svanivano al sole; nella storia dell'arte, giacché gli permettono di realizzare a 2500 anni di distanza il sogno del pittore Zeusi di dipingere annullando la tecnica umana e insieme di suggerire all'arte di ripensarsi da zero, meglio da “sotto zero”, e, infine, nella critica in esse implicita dell'uso distorto che la nostra cultura è arrivata a fare della rappresentazione. Menetti, infatti, non espone crio-grafie fotografate, rappresentate, ma proprio direttamente le costruzioni del gelo, alle quali egli è riuscito a dare durata e permanenza nel tempo, anche nel caldo.
Nanni Menetti è un artista emiliano da più di quarant'anni attivo nel campo della poesia e delle arti visive. Premio nazionale Lorenzo Montano (poesia) nel 1995 e premio internazionale Guglielmo Marconi (arti visive) nel 2000. Con il nome di Luciano Nanni ha insegnato per anni Estetica e Semiotica dell'arte all'Università di Bologna.
Sue opere sono presenti in diverse collezioni pubbliche e private in Italia e all'estero. Ben presente ai critici d'arte (tra altri Barilli, Calabrese, Cerritelli, Spadoni ) che ne hanno documentato a più riprese temi e significati, ha esposto in personali e collettive in diversi luoghi importanti, tra i quali: Mantova (Casa del Mantegna); Università di Bologna, Università di Palermo; U.S.A (Marshal University, Minnesota); Canada (Toronto, J.D. Carrier, Art Gallery.Columbus); Slovenia (Kranj); U.S.A. (New York, Istituto italiano di cultura); U.S.A (New York – Osilas Gallery -Concordia College); Roma, Accademia di Romania; Bologna, Accademia di Belle Arti; Bologna, Palazzo Dell'Archiginnasio, Cubiculum Artistarum.
Il caso e la necessità: come nascono le crio-grafie di Nanni Menetti
Negli anni ’80–’90 del secolo scorso facevo leggii illeggibili. Incollavo carte carbone microviolentate dalla scrittura (dalla biro) su tavolette di faesite al naturale, cioè di colore saio di frate e poi il tutto veniva montato a leggio, cioè con il basso leggermente in avanti come accade ad un messale su un leggio, dentro a teche di legno nero. Opere esteticamente durissime con nessuna concessione al colore o ad altro elemento più o meno piacevole. Una sorta di stele di Rosetta del tutto incomprensibili (da ciò la specificazione di Leggii illeggibili). Un amico, interessato a tali mie opere, ma respinto da esse per la loro, per lui, eccessiva durezza mi chiese se fosse, per caso, contrario alla mia poetica addolcirle un po’. Mi chiese di fargli un leggio con la faesite dipinta di bianco. Decisi che si poteva fare e, siccome a Bologna non avevo in quel momento uno spazio dove dipingere, mi recai nella località dove sono nato, Bicorgnola di Monzuno, sita a 761,185 metri sul livello del mare sul nostro Appennino tosco-emiliano. Lì avevo un vecchio granaio ben adatto alla bisogna. Era il 2 di gennaio del 1994: un freddo cane. Partii da Bologna con tavolette di faesite e tempera da muro e giunto sul posto trattai le faesite come mi era stato chiesto.
Una settimana dopo, quando tornai a prenderle, mi accorsi che il freddo aveva costruito ai loro margini piccole arabescature a forma di zampa di gallina e per me fu la rivelazione. Trovava risposta la speranza che, più o meno consciamente, avevo covato in seno da più di cinquant’anni, da quando bambino ero incantato dalle stupende arabescature che il gelo costruiva sui vetri della nostra camera da letto non riscaldata e che poi il sole, con mio grande disappunto, distruggeva poco dopo nel corso della giornata. Avevo capito che potevo costringere il gelo a rifare per me e per altri, in modo permanente, quanto mi aveva allora incantato. Avevo capito che il gelo non avrebbe potuto più rifiutarsi a questa esperienza estetica (ecco la necessità), anche se si sarebbe riservato un margine di libertà: non avrei mai saputo a priori che tipo di disegni mi avrebbe regalato (ecco il caso). Sapevo che comunque qualcosa mi avrebbe donato.
Ho cominciato allora a fare le opportune prove, a cercare gli opportuni equilibri tra pigmenti e colle, e nel giro di uno o due inverni l’alchimia era compiuta, per di più non in opposizione alla mia poetica ma a suo ulteriore sviluppo. Alla base del mio lavoro c’è la constatazione che la natura lascia segni, scrive, e lo fa con le forze che ha a sua disposizione. Prima, quando facevo collages con materiali di scarto della scrittura, con la mia mano, che è anch’essa una forza della natura (che altro, sennò?). Ora con quella del gelo, per un po' insieme alla mia mano, ora, come nelle opere qui in mostra, da sola.
Crio-grafie: etimologicamente allora scritture del freddo, del gelo. Quando la temperatura scende sotto zero, parto da Bologna e torno a Bicorgnola di Monzuno, e, come detto, in un antico granaio non riscaldato, do origine a questi lavori. Collabora attivamente alla loro nascita una finestra con il vetro rotto fin dagli Anni Cinquanta del 1900 da cui si genera una corrente molto utile alla bisogna. Tutto ciò che accade accade nel giro di circa 15/20 minuti o mai più. In questo periodo di tempo il gelo, se tutto è stato fatto a dovere, increspa i pigmenti che stendo sui supporti di faesite o di legno preparati in anticipo, incidendovi segni di varia natura. Tutte le crio-grafie portano come loro icona, loro segno distintivo, il mio volto di quando avevo tre anni, quando ero quotidianamente incantato, come detto, dalle creazioni che il gelo mi regalava sui vetri della mia camera gelata. Icona che, a partire dalla serie “Ciò che resta, dietro la memoria”, s’è ritirata dietro il quadro per lasciare spazio incontaminato a ciò che va oltre il mio tempo di uomo, cioè a ciò che resta immutato da allora: appunto questa affascinante capacità del gelo di costruire per noi miraggi di stupenda realtà.