L’esposizione di “Riti del corpo” presso la galleria studiofaganel si presenta come un’occasione di scoperta sia di opere recenti inedite sia dei primi lavori fotografici di Roberto Kusterle.
La mostra mette insieme due ben precise fasi del più ampio ciclo di opere già noto al pubblico col titolo “Riti del corpo” e realizzate dai primi anni ’90.
Uno è il momento dell’“attualità”- 10 opere realizzate nel 2014 che intendono chiudere la serie- e uno è la “genesi” dei riti del corpo- una selezione del materiale di sperimentazione degli anni ’80, mai esposto, da cui è scaturita l’idea per il ciclo.
I nuovi riti presentano sia fattori di continuità che di rottura con il passato. Si conservano la centralità del corpo e la vocazione intimista delle immagini. Contrariamente si perde la vena ironica, provocatoria e spesso teatrale che connotava i primi anni. Inoltre, l’artista si concentra esclusivamente sulla figura femminile e sulle tradizioni legate alla vita agricola, predilige un tono sobrio e mite e introduce gli insetti con sistematicità: questi animali vivono come silenziosi compagni del lavoro e del destino degli umani.
Roberto Kusterle è nato a Gorizia. Alla fine degli anni ’80 inizia l’interesse per la fotografia dedicandosi in particolare ad una ricerca di rappresentazione della figura umana in rapporto con la natura che la circonda. Le immagini dei temi affrontati raccontano di un tempo irripetibile dove la distanza delle separazioni tra sogno, realtà, uomo, animale si fondono e danno origine ad una forma di stretta convivenza trasformando così l’energia vitale in tensione etica.
"Lo stesso spazio in cui la "staged photography" di Kusterle ci conduce è appunto una "messa in scena", uno spazio nero, buio o pietrificato, privo di ogni possibile riferimento d'orientamento, perché la tensione visiva sia massima sui soggetti, sul pathos che emanano, sulla delicata e contenuta cromia che a volte si aggiunge alle forme, mai gratuita e sempre sussurrata con discrezione. (…) l'autore gioca sull'ambiguità della fotografia, oggi ancor più potenziata dall'uso delle tecniche di post-produzione digitale a cui si è avvicinato negli ultimi anni, che si affiancano alle sue preziose e quasi magiche abilità di camera oscura. Questo va letto come naturale esigenza vitale di un creativo che dimostra di voler vivere il suo tempo, conoscerne i linguaggi e piegarli alle sue fantasiose esigenze. Il dubbio si fa strada e rimane ancor più di prima: cosa è vero e cosa è falso, o meglio "artefatto"? L'ambiguità ci porta a camminare sul filo, in bilico fra certezza e dubbio, fra rappresentazione e immaginazione, ma lo facciamo volentieri perché proprio nel mélange fra realismo e visionarietà sta, in fondo, il segreto della sua silenziosa e misteriosa arte…". - Guido Cecere, 2012