Distano l’una dall’altra poco più di 7.000 kilometri. Ma a livello culturale, visuale, politico, sociale ed economico è come se fossero su due pianeti diversi. Cosa unisce dunque Berlino a Pechino? La luce che irradia le fotografie di Maurizio Orrico, in mostra a Roma dal 6 marzo al 26 aprile 2015. Titola Light Shapes – Between Berlin and Beijing l’esposizione di una ventina di opere che l’artista calabrese propone, per la cura di Italo Zannier, nelle sale del Museo Carlo Bilotti; evento promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura e al Turismo-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, realizzato da Password Onlus e Dreams’ Thief con il patrocinio della Fondazione Carical. Per un viaggio ideale che fa della luce un linguaggio trasversale, in grado di raccontare con la medesima enfasi carica di empatia luoghi tra loro diametralmente opposti.
Tra Berlino e Pechino, luoghi feticcio dei nuovi assetti politico-economici mondiali, troviamo il mondo intero, per quello che Italo Zannier definisce come “un “diario di viaggio”, eseguito usando diversi strumenti, dalla digitale alla Leica, ma che non presenta un modello didascalico”. Un peregrinare emotivo ed intuitivo, dunque, che vede Orrico passare dalla Francia agli Stati Uniti, dall’Italia alla Grecia, disegnando un’ideale mappa di luoghi del cuore, “concepita per atmosfere che le immagini trasmettono indipendentemente dal soggetto, dall’anno di esecuzione o dal percorso geografico”. All’indagine fotografica si lega il gruppo scultoreo de I viaggiatori, che espande nelle tre dimensioni la riflessione dell’artista sulla nostra percezione del tempo e dello spazio.
Orrico ci mostra dettagli che sanno essere insieme estremamente particolari e universali. Gli scorci dei quartieri popolari di Pechino, i grovigli di cavi elettrici che scorrono tra un tetto e l’altro ad oscurare cieli saturi di fuliggine, sanno da un lato restituire la stringente attualità della capitale cinese e dall’altro realizzare torbide premonizioni catastrofiste alla Blade Runner. Così come le pulitissime geometrie di Berlino, con i profili delle più recenti architetture a tagliare spigolosi l’orizzonte, sono sì il ritratto di un luogo risorto dalle proprie ceneri, ma al tempo stesso sembrano alludere all’utopia di una città ideale.
Maurizio Orrico nasce a Cosenza nel 1962. Nei primi anni novanta i frequenti viaggi negli Stati Uniti lo portano a realizzare importanti mostre collettive, tra cui la sua prima personale a New York nel 1994. Dopo l’esordio pittorico, si concentra sulla fotografia analogica e digitale e sull’utilizzo di altri mezzi espressivi quali la scultura, installazione e video art. È tra i membri fondatori del PSL (Pluri Sensorial Laboratory), un laboratorio che si occupa di tecniche relative alla riduzione di anomalie percettive. Questo laboratorio inizia attraverso una ricognizione sistematica del “concetto sensoriale”: un concetto limitativo per i portatori di sensi. Il laboratorio PSL indaga e apre la ricerca verso un lavoro continuo sulle “tecniche di presentazione”, definite come ampliamento del quadro o spettro sensoriale. La rappresentazione e la costruzione della galleria tattile, vuole semplicemente ricordare, anche, il contributo di artisti come Degas, Munch, Monet, Farrel, Meyron e Silvestro Lega, a loro modo tutti diversamente abili.