Le pagine di Aromi Sacri Fragranze Profane ci conducono in un viaggio attraverso i simboli e le antiche mitologie del profumo. La sfera degli aromi è al centro di un affascinante intreccio fra il mondo degli dei e la dimensione del corpo, anch’esso degno, su un piano prima filosofico e poi cosmetico, di attenzioni e rituali che ne esprimano la sacralità.Questo percorso presuppone una lettura che si fa strada fra categorie diverse ma strettamente connesse: il profondo senso religioso degli antichi, la filosofia, la poesia, la magia, il sapere medico, la tecnologia e la scienza, la riflessione morale.
Le primissime forme di comunicazione dell’uomo con gli dei hanno messo in gioco il valore del profumo come codice di linguaggio universalmente condiviso: solo attraverso la fumigazione odorosa, cioè pro fumo, i mortali erano in grado di colmare la distanza siderale tra la terra e il cielo. Nell’immaginario comune dell’uomo antico le sedi divine erano luoghi in cui il fattore olfattivo era caratterizzante: dal giardino dell’Eden, che il mito collocava nelle terre degli aromi, e che accoglieva in sé l’intera gamma delle fragranze create da Dio per il piacere degli uomini, ai Campi Elisi, percorsi da un fiume di profumo, allo stesso Olimpo odoroso. Similmente, nel cristianesimo l’ “odore di santità” farà del profumo la traccia riconoscibile della beatitudine: è in virtù di essa che i corpi dei santi dopo la morte trasudano quell’elemento che li avvicina a Dio, perché è sostanza stessa di ciò che è divino.
All’odorato era assegnato il primato di senso sottile e acuto, esploratore e rivelatore dell’ineffabile, espressione di una sensibilità più profonda che va oltre la percezione superficiale della realtà. Lo sapevano bene gli sciamani e le pizie, dotati di un senso dell’olfatto acuto, ma anche l’uomo comune, per il quale espressioni quali “andare a naso” o “avere fiuto” esprimevano capacità fondamentali per affrontare e dominare l’esistenza quotidiana.
I filosofi non trascurarono affatto l’importanza dell’olfatto nella vita umana. Sul ruolo e sulla veridicità degli stimoli sensoriali si cimentarono le più brillanti menti della speculazione greca e poi latina. Democrito, Epicuro, Lucrezio, rivendicavano la supremazia dei sensi sulla ragione, in quanto essi sono la prima origine del concetto di vero, e sono lo strumento primario che relaziona l’individuo al mondo esterno.
Riguardo alla posizione e all’importanza dell’olfatto sugli altri sensi il dibattito è stato tanto appassionante quanto oscillante su contrapposte posizioni. Il Talmud, uno dei libri sacri dell’ebraismo, lo identificava come l’unico dei sensi deputato al piacere dell’anima, laddove gli altri quattro risponderebbero piuttosto alle richieste di appagamento del corpo. Platone, tuttavia, riteneva più spirituali vista e udito, perché connessi al godimento estetico delle arti visive e della musica, mentre tatto, gusto e odorato appartengono alla sfera di ciò che è più direttamente legato agli atti del nutrirsi e della riproduzione, ovvero agli istinti bassi della sopravvivenza.
Anche la letteratura è in grado di fornirci una chiave di lettura affascinante. Tutti i grandi testi dell’antichità, a partire dai poemi omerici, sono ricchissimi di riferimenti a profumi e fragranze: sia a quelli reali, sia al loro variegato significato metaforico. Dalla Bibbia ci giunge quello che è stato definito un “poema degli aromi”, il Cantico dei Cantici, con la sua densa osmosi tra allusione agli odori e immaginario erotico. La lirica antica si è inoltre avvalsa di un linguaggio poetico di grande impatto sensoriale, dove la simbologia dei profumi è ampiamente rappresentata.
Il passaggio dalla prevalenza degli usi religiosi e rituali di aromi e unguenti alla sfera legata alla cura del corpo e alla cosmesi ha mosso dapprima dalla consapevolezza intuitiva della natura magica e protettiva del profumo, solo in seguito della sua valenza igienica e curativa. Gli antichi erano ben consci delle funzioni benefiche degli aromi sulla psiche e sul sistema nervoso: l’aromaterapia, intesa come abbinamento personale di un profumo al singolo individuo, era già nota ai Babilonesi e agli Egizi. Le applicazioni sulla salute delle virtù aromatiche delle erbe furono poi approfondite dalle speculazioni teoriche delle scuole mediche greche. In particolare fu il grande Ippocrate di Cos ad essere il precursore di una nuova tendenza della medicina fondata su un approccio rigoroso e razionale: nel V secolo a.C. teorizzò i principi dell’osmoterapia, che affermavano il valore terapeutico dell’inalazione, e allo stesso tempo proponeva le fumigazioni di erbe aromatiche dalle proprietà antisettiche come mezzo per combattere la diffusione di pestilenze a livello epidemico. Il sapere medico successivo approfondì queste importanti intuizioni, sottolineando le proprietà medicinali degli unguenti da profumo. Così aveva fatto Teofrasto, e così fece Dioscoride, medico e autore del fortunatissimo trattato De materia medica, che nella sua opera proponeva una lunga carrellata di ricette preparatorie di profumi presentandoli essenzialmente per le loro virtù curative.
Ma il profumo è anche un prodotto della capacità tecnologica dell’uomo antico, con una sua storia concreta, che ha preso forma in tempi remoti e che in seguito, attraverso le Vie dell’Incenso e del Cinnamomo, dallo Yemen alla penisola italica, ha messo in comunicazione civiltà lontane e differenti tradizioni cosmetiche. Un capitolo a parte dell’esplorazione del mondo degli aromi antichi coinvolge i saperi legati alle tecniche produttive dell’industria profumiera: la sapiente indagine condotta dai profumieri antichi sugli ingredienti, gli oli, le erbe, le combinazioni aromatiche, gli espedienti per la colorazione e la conservazione. E non ultime, le molte ricette giunte fino a noi.
Il graduale passaggio dell’utilizzo degli aromi dalla dimensione del sacro a quella del profano, che è il filo conduttore dell’intero percorso, ha tuttavia messo in luce l’approccio ambivalente dell’uomo antico nei confronti della sfera corporea. Nella Grecia antica l’uso profano dei profumi è passato al vaglio di considerazioni di diversa natura. Per filosofi e moralisti divenne in un certo senso la misura di certi atteggiamenti paradigmatici. Quando il filosofo cinico Diogene avvertiva: “Bada che il troppo profumo dalla tua testa non apporti cattivo odore alla tua vita”, non poteva certo immaginare che la trovata sarebbe diventata un tòpos della letteratura successiva, dagli strali anticosmetici della commedia di Plauto: mulier recte olet, ubi nil olet (“una donna odora bene se non odora di niente”) alla celebre chiosa sarcastica di Marziale che recita: Postume, non bene olet qui bene semper olet (“O Postumo, non ha un buon profumo colui che è sempre profumato”).
Eppure sul possesso di profumi e unguenti aromatici si è giocata per lungo tempo la sfida del lusso. Ciò vale soprattutto per la Roma imperiale, la città che con la sua inclinazione verso gli eccessi rappresenta magnificamente quel momento della storia antica nel quale il gusto per i profumi raggiunse livelli di follia tali da farsi paradigma della degenerazione morale di un’intera civiltà. Quegli “unguenti esotici” che nell’epoca delle conquiste avevano invaso con la loro fragranza le strade di Roma erano stati, sì, i profumi dei vinti, ma, allo stesso tempo, artefici di una vittoria culturale di questi sui nuovi padroni. Il possesso, ma soprattutto l’abuso dei beni voluttuari, si trasformarono in epoca imperiale da status symbol a vera e propria follia esibizionistica, destinata a nutrire un’aneddotica talvolta assai spassosa.
Diceva bene Plinio il Vecchio quando rilevava come la passione maniacale per gli aromi circoscrive la forma del lusso forse più vana e inutile poiché, mentre gli altri beni preziosi, quali pietre o metalli pregiati, sono durevoli e possono passare agli eredi, il profumo è il più evanescente degli elementi, e si dissolve all’istante.
Paradossalmente, il suo costo esorbitante va a tutto vantaggio dei nasi altrui, dato che evidentemente chi lo porta non se ne accorge affatto!
In collaborazione con: www.abocamuseum.it