La Biblioteca Palatina di Parma ospita, dal 5 ottobre al 15 novembre 2019, una retrospettiva dedicata a Gunter Böhmer (Dresda, 1911 - Montagnola, 1986), artista della Mitteleuropa, noto per aver illustrato, tra gli altri, libri di Hermann Hesse, Thomas Mann, Franz Kafka, Luigi Pirandello, Stendhal, Gustave Flaubert e Guy de Maupassant, perseguendo una totale unità tra testo e immagini.
L’esposizione, che porta il visitatore “Nell’officina di Gunter Böhmer. L’illustrazione del libro come avventura interiore”, è promossa dal Comune di Collina d’Oro e dalla Fondazione Ursula & Gunter Böhmer, in collaborazione con il Complesso Monumentale della Pilotta, la Biblioteca Palatina e la Fondazione Museo Bodoniano. La mostra sarà inaugurata sabato 5 ottobre alle ore 11.00 nella Sala Petitot.
In esposizione, alcuni degli esiti più significativi della ricchissima attività di illustratore di testi, soprattutto letterari, svolta da Böhmer (alcuni libri d’artista a tiratura limitata con litografie e incisioni originali; circa centocinquanta volumi che recano la riproduzione di suoi disegni e di tecniche miste su carta; oltre mille copertine disegnate). Numerosi sono gli autori cui Böhmer ha rivolto la propria attenzione, illustrandone alcune delle opere, a partire dal 1933, quando Hesse gli commissiona l’illustrazione del suo “Hermann Lauscher”. Ricordiamo, tra i tanti: Hermann Hesse, Thomas Mann, Franz Kafka, Robert Walser, Edward Mörike, Georg Büchner, Jeremias Gotthelf, Nino Erné, Hans Walter, Ossip Kalenter, Edgar Allan Poe, William Faulkner, John Keats, Liam O’Flaherty, Gabriele D’Annunzio, Luigi Pirandello, Stendhal, Gustave Flaubert, Guy de Maupassant, Honoré de Balzac, Hans Christian Andersen, i fratelli Grimm, Pedro Antonio de Alarcón.
Lo stile di Böhmer si evolve nel tempo: se all’inizio, nel segno sottile legato alla tradizione pittorica e illustrativa francese – pensiamo, tra i tanti nomi che si potrebbero citare, a André Dunoyer de Segonzac e poi a Bonnard, al cui “Parallèlement” possiamo rimandare per “L’Oleandro” di Böhmer, e successivamente a Raoul Dufy e a Henri Matisse –, si può cogliere quasi l’eco di uno sguardo che va alla scoperta delle bellezze del mondo e delle dolcezze della vita, presto i suoi disegni si caricano degli umori e delle passioni dell’espressionismo tedesco, con le sue durezze, le sue cupezze, le sue angosce, e del tramando di esperienze quali quelle di Picasso, di Alberto Giacometti e di Marino Marini, fino a qualche incursione nei grovigli e nei meandri del segno informale. Böhmer è comunque un illustratore nel quale sempre si può cogliere la tensione a un’immersione nella verità del testo, nel costante tentativo, come lui stesso affermò, di conseguire l’“unità tra testo e immagini” e di dare vita a un “organismo in cui tutti gli elementi letterari figurativi e tipografici compongono un’unità”. Confessa ancora Böhmer nel 1961 che a lui poco interessano strade che vengono battute (la decorazione, l’”arricchimento di fregi”, oppure una grafica libera, “musica d’accompagnamento” del testo), ma sperimentare un’“avventura psicologica”, “ciò che è proprio di una scelta interiore”.