SpazioA è lieta di presentare, sabato 18 gennaio 2025, Colonne, la settima mostra personale diChiara Camoni in galleria.

Gli alberi della foresta.
I corpi delle Korai.
Una navata centrale.
Le Colonne del patio.
Gli Angeli caduti.
Un giardino.
I serpenti.
Lo sguardo che attraversa indifferente.
Lo scorrere della mente.

La testa della Medusa.
Le meduse e i serpenti.
I corpi ammassati, i corpi buttati.

La scultura diventa architettura,
diventa spazio. Poi diventa
anche corpo. Forse carne.
L’intelligenza della materia,
scrive Laura Tripaldi. La materia
ci informa.
Mi dice delle cose, mi suggerisce
le forme. Mi offre il tempo delle
certezze e il tempo dello sfacelo.
L’albero si apre ed escono le luci, racconta Annie Dillard.
Siamo in un’ecatombe continua,
possiamo solo diventarne
indifferenti, come indifferente è il
mondo stesso. Oppure in quanto
esseri morali, giriamo il
coleottero ribaltato per non farlo
morire.

Nella galleria ci sono alcune sculture colonne. Si crea
uno spazio interno e uno spazio esterno.
Le figure guardano oltre noi, sono ieratiche e
assolute, custodiscono certezze. Probabilmente
comunicano tra loro, non sappiamo cosa.
Poi c’è un essere proteiforme, una Medusa dai molti serpenti, o dai molti
tentacoli. Caos di materia e di
corpi, perdita delle sicurezze. Bellezza e Terrore.

(Chiara Camoni, Fabbiano, 25 Novembre 2024)

Cara Chiara,

Qualche giorno fa, dopo che mi avevi chiesto di accompagnare le tue parole con le mie, mi è capitato di leggere alcune delle lettere che hanno punteggiato la lunga amicizia tra Helen Frankenthaler e Anne Truitt.

Avevo appena visto una delle sculture di Truitt a Firenze, un parallelepipedo dipinto sui quattro lati di un colore cosi chiaro che sembrava confondersi con l’aria, una colonna che somigliava in effetti all’ idea dell’artista di poter realizzare ‘sculture che si gonfiano come le colonne del Partenone’.

Questa frase mi faceva pensare a te e così te l’ho mandata. Le lettere tra Frankenthaler e Truitt sono bellissime: rapide, perché il tempo è sempre poco (lo sappiamo bene anche noi) parlano del lavoro, della vita quotidiana, delle mostre, delle proprie figlie, di case e di amici del tempo che passa.

In un volume dei suoi diari pubblicato postumo, Anne Truitt scrive: “if I made a sculpture it would just stand there and time would roll over its head and the light would come and the light would go and it would be continuously revealed”, anche questo mi ha fatto pensare alle tue Colonne.

Le Korai, modellate intere come un vaso, tagliate per poterle cuocere, riassemblate, sono corpi divenuti architettura, l’ossatura di una casa o di un tempio – hanno lo sguardo lontano, la bocca serrata e sembrano vivere in un tempo che è molto più antico e molto più durevole del nostro. Sono simili alle leonesse e alle sfingi che altre volte hanno segnalato la soglia di una tua mostra, quasi a dire: attenzione, qui inizia lo spazio della scultura.

Cosa significa guardare con tutti i sensi, mentre attraverso la galleria e mi confondo tra le colonne? Questa estate abbiamo letto un’altra Annie (curioso come proprio questo nome continui a fare da filo conduttore alle nostre inclinazioni: Annie Dillard, Anne Truitt, Annie Ernaux, Anni Albers, Hannah Arendt, tua figlia Anna).

Non trovo il passaggio che volevo indicarti, ma forse lo ricordi: Dillard racconta di come una volta nel corso di una passeggiata nel bosco attorno a casa abbia sentito l’impulso di restare immobile. Non per paura, ma per somigliare al bosco che le si apre davanti.

Per capirlo - sembra voler dire - bisogna farne parte, per capire il vivente bisogna farsi attraversare dal suo sguardo. E’ un esercizio che può essere distruttivo: in un altro racconto Anne Dillard descrive la fiamma che divora una falena, le due forme si compenetrano ed è difficile distinguere l’orrore dalla bellezza di questa immagine – un po’ come accade nella tua mostra, in cui hai pensato di contrapporre alla foresta di pietra una scultura che sembra una figura dell’informe, una testa di Medusa che, mi hai detto, è un corpo gettato, l’altro estremo della perfezione, dell’eternità, della verticalità delle Colonne.

L’altro estremo, ma comunque un tentativo di dare forma o riprendendo la tua metafora, di riportare il coleottero sulle sue zampe, come altre volte hai fatto, disegnando un fiore ogni giorno, o filmando la tua famiglia nell’atto apparentemente insensato eppure necessario di rispondere alla distruzione del paesaggio con la bellezza, la festa, i colori. Non c’è molto altro da fare, se non cercare di tenere gli occhi bene aperti e rimanere capaci di meraviglia.

(Testo di Cecilia Canziani)