Dal 22 febbraio al 12 aprile 2025, lo spazio post-industriale SAC – Spazio Arte Contemporanea di Robecchetto con Induno (MI) presenta Poli, a cura di Nicoletta Candiani, Fabio Presti e Pietro Salvatore, una collettiva di 20 artisti, che durante la loro carriera hanno esposto alla galleria Maelström di via Ciovasso 17 a Milano, aperta nel 2010 e gestita da Luca Poli, gallerista e figura a tutto tondo nel mondo dell’arte contemporanea, scomparso nel 2017.
Insieme a Rita Marziani, dal 2010 al 2017 Poli ha dato vita a uno spazio in grado di attrarre creatori e fruitori culturali, ampliandosi nel 2012 anche a un servizio di Art Advisory, mantenendo sempre a cuore la causa del sostegno ai giovani artisti e alla varietà espressiva dei loro approcci.
Sono proprio 20 gli artisti - tra scultori, fotografi, pittori e autori grafici - che in passato hanno esposto alla galleria Maelström e che oggi si ritrovano al SAC a comporre una collettiva che restituisce la natura ibrida e complessa della personalità e dell’attività di Poli.
A partire da Andrea Cereda, che con la sua scultura L’ordine delle cose racconta l’armonia geometrica dietro alla realtà. L’installazione Under water di Alice Olimpia Attanasio comprende invece due dipinti e alcune sculture che vogliono portare a riflettere sulla condizione dei pesci, parte fortemente a rischio nel nostro ecosistema. Alex Pinna con la scultura in bronzo Knockout (Joe Frazier) blocca la dinamicità della boxe e annulla l’identità dello storico pugile. L'opera di Guido Airoldi conclude la sezione scultorea disseminata nella mostra con Lèmene, che riproduce in maniera mimetica, attraverso carta su tela e tavola, la pietra ammonitica utilizzata per recintare gli appezzamenti di terreno della Lessinia.
Spazio poi alla fotografia, con Mise en abyme: la rovina nella rovina di Nicola Bertellotti che si interpella sulla “messa in abisso”, fenomeno narratologico di reduplicazione dell'immagine. Tommaso Fiscaletti con Mute #11 trasporta lo spettatore dal visuale all'uditivo ritraendo il dialogo tra la giostra e la natura circostante, un contesto rumoroso e dinamico che viene fermato e “messo in muto”. La figura femminile è al centro dell'opera di Sara Giannantempo, che espone il dittico Filles a parties, Filles d'amour, Filles en circulation dalla serie Una nuova schiavitù, dove le protagoniste sono le lavoratrici di un bordello. Francesco Minucci riflette sul tema della maschera nella serie Reality show in cui diversi personaggi interrogano lo spettatore sulla sostenibilità dell’apparenza agli occhi della società. Vincenzo Todaro con girl, child and doll evoca un'immagine residua, quella di una forma umana erosa dal tempo.
Passando alla pittura, e al tema della natura e della città, sono esposte le opere di Ilaria del Monte (La piccola camera fiamminga, Doppia Fuga e Risvegli), di Matteo Nannini (Riposo nel giardino dell’Eden e Adamo) e Gaia Lionello (Terre sospese). Fabio Presti nella serie House on Mars rappresenta rigidi edifici calati in spazi metafisici e sabbiosi, evocando una realtà extraterrestre abitata dall'uomo. L'opera di Tina Sgrò Reperti propone uno scorcio urbano in cui una luce pulviscolare graffia lo spazio rappresentato. Imparando a Volare di Armando Fettolini, lontana dalla rappresentazione di un soggetto, appare come una superficie in cui la materia increspata sembra volersi staccare dal supporto. In Untitled, Omar Canzi utilizza un approccio polimaterico e informale per replicare la superficie di un muro arricchito da manifesti strappati e virulenti segni di colore. Attraverso un linguaggio ibrido, Elena del Fabbro propone un racconto che inizia con i collage digitali esposti alla galleria Maelström e si conclude con l'assemblaggio analogico di Punto di dolore, immaginario onirico popolato da figure distorte.
Non mancano artisti grafici, come Erica Campanella che in Sentimento e Verità rappresenta il fiore come l’oggetto puro di una bellezza perduta, Willow che con Assolo e Jungle floor esplora un'estetica Neo-Pop in dialogo con il fumetto e il design, e infine Arianna Piazza, che nei suoi Senza titolo porta uno studio autobiografico sul corpo che deformato dà vita a mostruosi assemblaggi biologici.