La nona edizione del prestigioso Premio Internazionale d’Arte Contemporanea Ferriere Arte, più noto come Premio Viola, è organizzato dalla Pro Loco e dal Comune della Valdidentro e si prefigge di offrire a tutti gli artisti che ne sono interessati la possibilità di esprimere liberamente e, dunque, creativamente con la tecnica pittorica prescelta, il loro ‘sogno’ per immagini, un ‘sogno’ che, ricevendo ospitalità in questo evento, può essere sognato fino in fondo e raccontato nella sua pienezza.
Secondo i modelli attuali della psicoanalisi gli artisti sono dei sognatori, hanno infatti la capacità di porsi di fronte al mistero della realtà rendendolo accessibile e riconoscibile tramite le loro visioni, in quanto il pensiero artistico, trasformando in immagini/sognando l’indicibile, presta vita a movimenti dell’anima in cui ci si riconosce per l’universalità della loro espressione.
L’incontro con l’opera d’arte induce inevitabilmente ad ascoltare cosa ci muove dentro, viene spontaneo fare riferimento a sé, alla propria esperienza, a quali emozioni, fantasie, sogni sollecita, creandosi in questo modo una relazione sia con l’opera che con l’artista. Si crea un legame ineffabile e questa è la bellezza del lasciarci sorprendere dall’impatto col mistero tollerando di viverlo in quanto tale, senza avere la pretesa di decodificarlo.
Nell’evento della Valdidentro gli artisti possono partecipare scegliendo un soggetto/visione/sogno a piacere e dando anche vita al tema proposto dagli organizzatori che quest’anno è “Radici: il viaggio dell’uomo”. È un evento molto partecipato e molto atteso, è un’occasione preziosa per stimolare fantasie, pensieri, impegno e anche per sopportare fatiche, insieme alla disponibilità del mettersi in gioco con l’inevitabile ansia della competizione e della valutazione.
Ma non è solo questo: il significato ultimo trascende l’obiettivo “semplicemente” concretizzato nella realizzazione dell’opera d’arte, quest’ultima, infatti, per venire alla luce, richiede al suo autore un coinvolgimento profondo che risente della propria storia emozionale, arrivando persino a contattare le sue “radici” come vuole anche il titolo di questa ultima edizione.
E le radici contengono ‘in fieri’ un percorso, una tensione verso lo sviluppo, un’energia vitale, un viaggio appunto dell’uomo e nell’uomo verso la meta del divenire, dell’essere in esistenza, questo cammino, quindi, contiene fisiologicamente un gradiente di vitalità.
Essere vivi dentro la realtà, diventare la realtà sembra essere la meta del viaggio della vita.
Non è così banale e scontato sentirsi vivi ed essere in grado di sperimentare il “senso del reale”, inteso come possibilità di essere veri, in contatto con le proprie emozioni, anzi è uno stato di grazia ed è alla base dell’intensa esperienza che appartiene alle arti, alla religione, al vivere immaginativo
(Winnicott).
L’opera d’arte si configura come una sorta di svelamento di quelle verità che il pensiero logico spesso si rifiuta di riconoscere, di avvicinare, come se ci fosse un’impensabilità o un pudore nell’incontrare certe onde emozionali, ma che trovano nell’arte dignità di esistere. D’altra parte l’immagine è la prima trasformazione delle sensazioni non ancora mentalizzate, quelle “anime di pensiero” (Poe) in attesa del soffio vitale per poter esistere, pronte a prendere vita, a diventare pensieri se incontrano qualcuno disponibile ad accoglierle e a dar loro una forma, per poi creare narrazioni, una sorta di mito soggettivo che si può equiparare al sogno. Possiamo allora dire che dipingere è come sognare, sognare è narrare, narrare è pensare.
Ed è in uno di questi racconti per immagini che mi imbatto, quasi per caso, dove la storia, per scelta dell’autore, è espressa sia dalla raffigurazione pittorica che dall’espressione verbale creando un tutt’uno indissolubile: la sua opera, infatti, è la risultanza della conjuctio di queste due forme del pensiero, come se l’una non potesse fare a meno dell’altra nella tensione del prendere vita e manifestarsi compiutamente. Chissà perché … forse per il bisogno di raccontarsi in modo chiaro, senza fraintendimenti o per sentirsi più incisivo, o per non tralasciare niente, forse anche per un bisogno irrinunciabile di ‘essere trovato’ nella sua interezza di psiche-soma e nella sua originarietà.
Il sogno di Giuseppe (Peppino) Fusar Poli si intitola “La cordata tra le nuvole” e lo racconta così:
Perché la cordata ha richiamato alla mia mente il viaggio dell’Umanità?
La cordata ricorda ed esprime i momenti di sofferenza e i valori che ci accompagnano nella nostra esistenza terrena.
Presupposto è la scelta di una meta scelta consapevole e studiata, voluta fortemente e condivisa dal Gruppo.
La cordata in ogni sua fase (salita e discesa), esalta difficoltà, pericoli e tenacia; richiede tecnica e competenze che derivano dalla divisione dei compiti tra il capo cordata e i suoi compagni. Ma esprime anche una forza intrinseca che deriva dalla solidarietà e spirito di collaborazione dei suoi componenti.
Mi ha fatto pensare la cronaca dell’impresa compiuta da 10 scalatori di cui 9 nepalesi, tutti dai nomi impronunciabili, che hanno conquistato il K2 in prima invernale nel gennaio2022. La cordata di testa, a 10 metri dalla vetta, si è fermata, ha aspettato il ricongiungimento delle cordate che seguivano e poi tutti insieme hanno raggiunto la meta.
Mi sembra questo comportamento di grande insegnamento per tutti coloro che, smaniosi di emergere e farsi notare, trascurano il contributo di chi ha collaborato al successo dell’impresa e che merita altrettanto riconoscimento e gratitudine.
Un uomo solo al comando può avere successo temporaneo ma, per andare lontano e raggiungere risultati duraturi, bisogna essere capaci di promuovere la partecipazione e collaborazione di tutti.
Il titolo del quadro La cordata tra le nuvole allude al tema del cammino dell’uomo come imprescindibile da una relazione, si nasce da una relazione e la mente e il corpo si sviluppano e maturano tramite esperienze relazionali senza le quali non ci sarebbe vita.
Cordata→ corda→ cordone ombelicale→ corda di violino→ corde di una imbarcazione a vela→ cor-cordis…
Innumerevoli, forse infinite sono le associazioni che scaturiscono dalla parola cordata, parola che contiene il senso di legame, di aggrappamento, di orientamento, di generatività, di musicalità, di affettività e che suggestivamente e sorprendentemente dà significato e compiutezza al tema del concorso. Coincidenza? Jung parlerebbe di sincronicità.
Ci possiamo anche interrogare sul motivo della scelta della cordata per raffigurare il cammino dell’uomo, certo ci saranno tante spiegazioni logiche, ma possiamo intuire che a livello emozionale in Peppino c’è un sapere implicito circa la relazione come componente imprescindibile dell’uomo per compiere il viaggio della vita a partire dalle radici.
Certo l’artista ha scelto la parola e l’immagine probabilmente senza rendersi conto consciamente della poliedricità di significati, ma questa è la bellezza del mistero di cui siamo fatti, e questo fa parte del sognare, e questo è il senso dell’essere artista: c’è come un ‘conosciuto non pensato’ che però esiste, fa parte della persona e comunque si manifesta...
E a conferma di questo, il titolo del quadro sottolinea la presenza delle nuvole come “personaggi” fondamentali della storia, La cordata tra le nuvole , l’autore, inconsciamente, dà un senso quasi onirico all’impresa, le nuvole-sogno, trasformano e alleviano il percorso da affrontare, lo rendono più ‘soffice’, praticabile.
Il sogno assolve una funzione fondamentale nella vita psichica, rende possibile, sopportabile l’impatto con la realtà, senza di esso la sanità mentale sarebbe molto compromessa.
Il sogno serve a metabolizzare i dolori della vita, a leccare le ferite degli affanni rendendo la sofferenza tollerabile perché trasformata in immagini e raccontata in una storia.
E allora ritornando al nostro quadro, la sua storia ci racconta che la faticosità espressa dalla postura degli scalatori appare come attutita, ovattata dal camminare tra le nuvole, la pesantezza diventa possibile, accessibile, è più morbido il cammino e mi ricorda, per associazione, Quattro passi tra le nuvole, film di Blasetti del 1942 dove i protagonisti vivono una storia quasi surreale di ruoli relazionali fittizi, dove la finzione-sogno serve a salvare da conseguenze disastrose, è come una bugia necessaria per non essere ustionati da una realtà insopportabile e forse pericolosa.
E le nubi sembrano rubare la scena, quasi protagoniste della storia narrata nel quadro. Qui i pastelli giocano indisturbati, quasi con una sorta di frenesia usano la superficie per liberare carica energetica e dare voce, segno, colore alla fantasia.
Il pastello traccia segni forti e decisi che lasciano intravvedere strane forme, ma è anche capace di delicatezze, di accarezzare la carta con tenerezza tanto da creare inaspettate trasparenze. A volte nelle nubi si nascondono forme animalesche, in altre si intravvedono volti, a volte sono figure inquietanti, altre hanno la dolcezza e la sofficità dell’impalpabile.
In qualsiasi caso la forma e i movimenti sono suggestivi, attraggono nel loro volteggio calamitante, danzano seduttivamente le sensazioni che stanno trasformando in un racconto, a volte ammaliante, a volte spaventoso, ma comunque forte, pieno di energia. Pare un racconto di Sherazade, le nubi si muovono sinuose con la stessa grazia e la stessa determinazione acuta, il clima sensoriale è quello delle Mille e una notte, dove adombrato da profumi e luccichii, il fantasma della morte è sempre incombente, certo qui lo scenario è molto differente, ma la pericolosità in entrambe i casi è sempre in agguato.
Le nuvole del quadro ricordano anche le volute del cervello, nubi pensanti quindi, nubi sognanti che raccontano e avvolgono dentro la loro storia fatta di turbolenza e protezione.
Nubi salvifiche sempre, anche se a volte raffigurano incubi.
Nubi protagoniste perché sono il pensiero immaginifico degli scalatori. Sono gli scalatori. Sono parte intrinseca del viaggio dell’uomo. Anche in questo senso l’autore realizza la compresenza di mente-corpo, il corpo degli scalatori gravati dalla fatica, ma anche illuminati da tanta bellezza coi loro pensieri-nuvola. Chissà da quali pensieri saranno attraversati…è incredibile quanti pensieri (nuvole) vengano pensati da solo tre corpi ed è stupefacente come la mente dell’artista possegga questo sapere inconscio…
Sembra comunque che la raffigurazione delle nubi abbia molto intrigato Peppino, si percepisce che ci ha messo corpo e anima, quasi una sorta di innamoramento … chissà forse aveva bisogno di rappresentarsi in quel mare di cielo senza limiti, con la libertà di essere se stesso, e col piacere di immergersi dentro e di giocarci.
E in questo ci è riuscito, le nubi parlano chiaro, ovviamente le sue mani anche …
E la storia costruita da Peppino Fusar Poli sembra aver avuto cura di alleviare l’impatto con una realtà molto faticosa e potenzialmente pericolosa per i suoi scalatori, offrendo la soavità del sogno-nuvola come possibilità di elaborazione delle fatiche del viaggio della vita. La storia della cordata tra le nuvole è metafora straordinaria dell’impatto con i dolori della vita, ma anche rappresentazione della bellezza di cui è fatta e in più contiene un anelito di speranza: la meta, se si è insieme e ci si aiuta, è raggiungibile e la funzione immaginativa e creativa della mente (le nuvole) è un buon sostegno.
Peppino dipinge un messaggio di speranza e di cura per la vita, cura ha lo stesso etimo di cuore: aver a cuore la vita, amarla, viverla appieno, gustarne il viaggio, in una cordata affettiva e immaginativa che può far sognare, percepire l’inudibile ‘musica delle sfere’ (Pitagora) lasciandoci inondare dal suo spolverio celeste. Questo è quello che lui ha imparato e maturato fino adesso durante il suo viaggio, e ce ne fa dono col quadro e con le parole che lo accompagnano. Inoltre ci regala la capacità di meravigliarci, di spalancare gli occhi e il cuore sull’inaspettato, … trasmettendoci quello sguardo di autentico stupore che connota l’innocenza del bambino e l’anima dell’artista.
A chi non è più un bambino, chi lo è ancora, insegnerà il punto interrogativo.
(Paula Heimann)