Il tema della strega, dal tempo più antico è continuamente presente ma anche rimosso nella cultura, quasi messo in ombra come aspetto imbarazzante dell’immaginazione.
In questa situazione assume un valore evidente di filtro contraddittorio che esistano simili figure, collocate per solito nelle pieghe dell’immaginazione, al lampeggiare dei terrori notturni. Queste invece ci son nella realtà, tra le pieghe del web, che trabocca di informazioni e di luoghi di incontro digitali, che alludono a quelle zone d’ombra in cui la regina della notte opera, domina e agisce. Non per caso, dalla prima rivoluzione industriale, l’umanità ha dedicato ogni suo sforzo a mettere a margine il bosco, luogo di incubazione dei sogni e degli incubi, emblema di una natura spaventosa da imbrigliare, rimuovere o cancellare. Così in un’epoca di cambiamenti dello scenario umano, la strega torna sempre più d’attualità, come interprete profonda della natura, conoscitrice di segreti, annunciatrice di una nuova epoca di metamorfosi, e di una femminilità, come “affermazione di potere sul mondo”.
La strega viene così registrata in tutte le culture mentre realizza incantesimi e opera violente metamorfosi nel mondo della natura di cui è signora. Nella cultura del mito greco trionfano le Erinni, personificazioni della vendetta, dette Furie nella mitologia romana. Esse colpiscono con il terrore e la follia chi fa male ai propri parenti e amici. Aletto, Megera (da cui deriva un nome di spavento femminile che rimane in italiano nella lingua di oggi), Tesifone, per una possibile interpretazione filologica sono figlie del sangue di Crono evirato da Giove, per un’altra rampolle della Notte. Esse venivano chiamate Eumenidi, ossia le benevole, per cercare di placare la loro rabbia scatenata.
La prima strega di cui la letteratura occidentale dà conto è Circe nell’Odissea (X, 230-240), raffigurata quando trasforma con un filtro i compagni di Ulisse, destinati in un attimo a diventare bestie. “Li guidò e li fece sedere/ formaggio, orzo e miele mischiava/ con vino di Prammo: una ricetta funesta/ la pozione aggiunse al loro cibo/ così si sarebbero scordati la patria/ tutti bevvero ammaliati da lei/ li toccò con la bacchetta/ poi li chiuse nei porcili/ perché erano già diventati porci”. Colei che detiene la palma della signora più potente nel mondo greco è però Medea, principessa della Colchide (un luogo corrispondente all’attuale Georgia occidentale), terra votata insieme alla Tessaglia agli incantesimi, luogo di fabbricazione degli incubi peggiori.
La magnifica tragedia di Euripide la raffigura al momento della sua azione terribile, che si lega per noi alla sua memoria. Di numerosi e spesso cruenti incantesimi di Medea trattano Le Argonautiche di Apollonio Rodio, un lungo poema del III secolo a.C., che narra con episodi favolosi la conquista del vello d’oro. Memorabile è la scena presso la reggia di Eeta, che è il custode del favoloso oggetto. Giasone deve aggiogare buoi dalle zampe di bronzo che sputano fuoco dalla bocca e seminare in terra denti di drago, da cui nasce un esercito che deve sconfiggere. Riesce per tramite di un incantesimo della sua compagna, che poi tradirà. Nel corso della loro lunga peregrinazione, gli Argonauti giungono a Creta, dove sono attaccati da Le madri delle streghe. L’orrorifica leggenda di queste figure deriva dal personaggio mitologico di Lamia, che molti figli aveva avuto da Giove, tutti uccisi da Giunone. Perciò era stata presa da follia e dal desiderio compulsivo di sterminare i bambini altrui. Nell’antichità la magia era un fatto consueto. Era un tema discusso nelle stanze della legge: si discuteva a processo se fosse o meno accettabile l’accusa (piuttosto frequente) di avere incantato qualcuno per il proprio tornaconto, per amore e per denaro.
Nell’epoca repubblicana romana la diffusione nella società del veneficio, in tutti i suoi aspetti, era tale, che Lucio Cornelio Silla emanò una ampia e circostanziata Lex de sicariis et beneficis, attiva dall’87 a.C. Il decreto riguardava e colpiva soprattutto le donne. Le strigae nell’antica Roma erano uccelli di cattivo auspicio: la leggenda voleva si nutrissero di carne e sangue umano, specialmente preferendo i bambini. Non tornavano dall’Aldilà: esse erano piuttosto il frutto di una metamorfosi magica. Il latino prende la parola dal greco, in cui suona strix: la figura era tanto potente, che si pensava fosse stata originata da una punizione inflitta ai discendenti di Ares. Strigidi, in italiano, è termine che definisce oggi i rapaci come i barbagianni, il gufo, l’allocco e l’assiuolo, ritenuti nell’antichità incarnazioni delle streghe.
La vicenda della magia fu ancora più diffusa in epoca imperiale nell’incrocio di culti di Oriente e Occidente. Ed ecco che Circe tramuta i compagni di Ulisse in animali.
La strega si presenta, quindi, nel mondo antico, come figura femminile dotata di poteri eccezionali, odiata dal mondo maschile, che pure deve rivolgersi a lei e alla sua potenza, per compiere i suoi desideri e soprattutto per saziare la sua smodata, e quasi sempre rovinosa, volontà di sapere.
La strega è colei che impara a sentire la voce della natura prima delle altre. Per solito fa riferimento a una tradizione matrilineare, non di rado occultata per necessità: di nonna, in madre, in figlia. Nel mondo di ogni giorno, per secoli, dal Medioevo, la donna ebbe un destino di amarezza: costretta a un lavoro continuo, a prolificare senza requie, senza possibilità di speranza o di riscatto. La religione cristiana, usata come arma di offesa, permetteva di annichilire ogni possibile spirito di indipendenza. Eppure proprio in questo ambito, forzando il limite dell’ubbidienza, nacquero le veggenti della fede, si svilupparono le comunità solidali. Le donne, nelle classi più abbienti, erano segregate, guardate a vista: il controllo ossessivo ne determinava spesso la morte precoce. Eppure anche per loro era possibile trovare un contatto con il mondo della natura, che passava per la figura della servente, colei che veniva da un mondo popolare, e che permetteva di venire a conoscenza di segreti altrimenti proibiti. La strega di Jules Michelet (1862), descrive come la situazione di solitudine nelle campagne determini la volontà di uscire da sé, di trovare le tracce di Aradia, della Dea Bianca, o delle altre incarnazioni, che i secoli hanno identificato, della antica Grande Madre.
Al di fuori dell’ambiente urbano, ella “ha solo i sogni per amici, chiacchiera solo con le bestie, con l’albero della foresta. Risvegliano in lei quello che le diceva sua madre, sua nonna, cose antiche che nei secoli son passate di donna in donna. Qui è l’innocente ricordo degli antichi spiriti della contrada, una commovente religione di famiglia che torna e frequenta la capanna solitaria”.
La voce della strega ha avuto, fino al Novecento, ben poche occasioni per esprimersi, senza un apparato di metafore creato per nascondere un culto che doveva restare segreto. Nel suo Aradia o il Vangelo delle streghe (1899), Charles Godfrey Leland poté raccogliere, nei luoghi più remoti dell’Appennino tosco-emiliano, antiche leggende e cerimonie tramandate da donne molto anziane, che sembravano le ultime custodi di un culto scomparso. Dalla sua ricerca il sapere delle streghe torna di attualità, ma resta oscuro il momento in cui scatta il desiderio di non ubbidire, di affermare, con ogni mezzo, la propria volontà L’arte e la letteratura ufficiali, per secoli, preferiscono rappresentare il finale di esistenze votate al male fino dalla nascita, stigmatizzate senza dubbio con punizioni terribili. Malefica auguriatrix, in una stampa tratta dal Liber Chronicorum, pubblicato a Norimberga nel 1493, narra una leggenda inglese per cui la donna del titolo, votata al male, al momento della sepoltura venne strappata al sepolcro da un esercito di demoni giunti per reclamare la sua anima.
Il nome individua una volontà di fare il male che è già una condanna: non è possibile trovare una giustificazione, un’origine, una causa. Nomina sunt omina: ciò che definisce cataloga e mette da parte, secondo un meccanismo di punizione che non indietreggia di fronte a niente, nella realtà, come nella fantasia.
Strepitoso è il caso di Catherine Deshayes, vedova Monvoisin, detta la Voisin, ritratta da Guillaume Chasteau. Una donna un poco corpulenta, vestita con gli abiti di una borghese, in ordine e quasi con attitudine di modestia. Intorno a lei sono invece tutti i simboli possibili del male: un diavolo gobbo, un dragone, la morte avvolta da un serpente e una parca malevola che fila la tessitura della vita. In un’altra versione la stessa versione del volto era tenuta in aria da un dragone alato. Per tradizione di famiglia conosceva le erbe, sapeva intervenire da ostetrica per eliminare nascite indesiderate, poteva leggere il futuro, ma questo era dovuto a un suo notevole in. In suo nome e sul suo corpo, organizzò una messa nera, in una casa appartata di rue de la Tannerie, perché la donna voleva a ogni costo riconquistare l’amore del re, che si era estraniato da lei, e si dedicava a una nuova fiamma d’eros. La spirale di follia giunse a un progetto di eliminazione del re e della sua compagna: infine, scoperta, la Voisin confessò le sue malefatte. Non venne sottoposta a tortura perché troppe erano le persone importanti coinvolte, ma il re agì con mano di ferro, destinando tutti a una punizione esemplare. Hille Bobbe, la stampa tratta da un celebre quadro di Franz Hals, rappresenta una fattucchiera classica, con un gufo sulla spalla, che trionfa all’osteria. Studiosi hanno ricercato la vicenda di quella immagine, individuando una figura storica, Barbara Claes, imprigionata nell’ospedale Het Doluys, in cui si segregavano persone ritenute pericolose per la comunità.
L’origine pri - ma del desiderio di aderire al mondo dell’occulto è stato esplorato per la prima volta dal punto di vista femminile nel Novecento. Sylvia Townsend Warner ha dato voce a questa tensione nel magnifico finale del suo Lolly Willowes (1926), storia di una donna di mezza età che rifiuta di ubbidire al bisogno della società di escluderla dal flusso della vita. “Le donne lo sanno di essere dinamite e non vedono l’ora che si verifichi l’esplosione che renderà loro giustizia. Ad alcune può capitare la religione e così sono a posto, immagino. Alle altre però – e sono tante – cosa resta se non la stregoneria? Quella sì sembra loro una soluzione vera. […] La strega conserva gelosamente il suo manto di oscurità, il suo vestito ricamato di segni e pianeti: qualcosa che vale certo più la pena di guardare. E pensa, Satana, che complimento le fai andando a caccia della sua anima, tendendole gli agguati, seguendola in tutte le sue tortuosità, astuto, paziente, dissimulato come un gentiluomo a caccia di tigri”. “L’amoroso cacciatore” ossia il diavolo, secondo l’autrice inglese, ma potrebbe essere la fantasia o l’immaginazione, fa cenno a tutte le donne che sono insoddisfatte del loro stato di sudditanza, offre loro la possibilità di realizzare i propri sogni e le proprie immaginazioni. Il rifiuto dell’obbedienza è in primo luogo l’ingresso nel reame parallelo della strega, che nasconde la propria vocazione agli sguardi ostili. Essa assume un volto solo quando la persecuzione la identifica, ne disegna a sangue i tratti con i metodi truci della tortura. Nel tempo moderno della psicanalisi molte donne han-- no usato la strega come reagente della propria fisionomia artistica, come filigrana del loro pensiero formale. Leonor Fini, Leonora Carrington, Remedios Varo hanno trasformato sé stesse in sirene, sfingi, ninfe, streghe. L’etichetta surrealista che le ha accompagnate risolveva solo una parte del loro mondo espressivo e del loro intento. Tutte loro hanno scritto delle loro prime folgorazioni iconografiche, del confronto con il limite del corpo, dello scontro con un mondo maschile che voleva in ogni caso limitare e censurare le loro fantasie.
E proprio sul tema delle streghe è in corso a Bologna a Palazzo Pallavicini la rassegna Stregherie. Iconografia, fatti e scandali delle sovversive della storia (prosegue fino all’8 settembre).
L’esposizione a cura da Luca Scarlini presenta accanto a splendide incisioni antiche, anche inquietanti opere contemporanee, antichi volumi maledetti ed i potenti talismani che aprono al visitatore una finestra sul mondo arcano e sull’affascinante figura della strega.
Tantissimi gli oggetti originali legati al mondo della stregoneria provenienti dal Museum of Witchcraft and Magic di Boscastle, in Cornovaglia, ed eccezionale la collezione di amuleti ottocenteschi, mai più esposta al pubblico dopo la grande Esposizione Etnografica del 1911, concessi dal Museo delle Civiltà di Roma. Gli fa eco “Indomite”, una sorta di mostra nella mostra dell’illustratrice Anna Paolini, che immerge il visitatore nelle sale immersive per proseguire i percorsi "stregati".
Così “Stregherie” rende giustizia al senso più pieno della parola “Strega”, dichiarando che in un mondo che apparentemente ha rinunciato a ogni senso del sacro e a molti dei suoi antichi legami con la natura. Del resto, le “Streghe” sono sempre esistite e sono ancora in mezzo a noi.
La rassegna, patrocinata dal Comune di Bologna, espone circa 300 stampe, sculture e quadri dedicati al mondo delle Streghe e della magia, alcune firmate dai più grandi incisori dell’Ottocento, altre di eccellenti illustratori anonimi. Intorno al nucleo incisioni di Guglielmo Invernizzi, sono anche le opere di tre collezionisti straordinari – Emanuele Bardazzi, Edoardo Fontana e Luca Locati Luciani – che hanno fatto del "Simbolismo Macabro" il loro filone di ricerca. Il percorso espositivo presenta un crudo repertorio di maghe, streghe, donne di potere e persino sante deviate, e accanto a scene di tortura, sabba e terribili malefici, sono anche luminose immagini di magia bianca, di streghe buone e di zingare che sanno guarire le persone.
A chiudere la sezione sono alcuni artisti contemporanei che hanno rivisitato il tema, come Oppy De Bernardo, Franco Rasma e Mirando Haz.
E come a far da specchio? accanto alle opere d’arte, sono preziosi manuali e alcuni trattati storici imprescindibili in un percorso dedicato alla stregoneria. Ritrovati nei conventi, chiusi dai Savoia dopo l’Unità d’Italia, questi libri rarissimi provengono dalla Biblioteca Teresiana di Mantova. Un esempio per tutti, il Malleus Maleficarum, il manuale sulla caccia alle streghe che indicava, caso per caso, i supplizi e le pene da infliggere a chi era accusato di stregoneria, presente in mostra nella preziosissima seconda edizione, stampata nel 1520.
E sempre lungo il percorso sono una serie di oggetti originali legati al mondo della stregoneria. Dal notissimo Museum of Witchcraft and Magic di Boscastle, in Cornovaglia, arrivano antichi calderoni, feticci, amuleti, talismani e bacchette magiche. Tra le altre ne spicca una, lasciata in eredità da un negromante locale, fatta in legno di sambuco, che sappiamo essere, anche grazie alle pagine di Harry Potter, la più potente delle bacchette esistenti, capace di imprese magiche straordinarie. Dal Museo delle Civiltà di Roma, è una incredibile collezione di amuleti, che raccoglie oggetti provenienti da diverse regioni d’Italia, realizzati in vari manufatti nel corso dell’Ottocento e confluiti nella prima grande mostra etnografica d’Italia del 1911, che ha dato poi vita al museo romano, e da allora mai più proposta al pubblico. Tra tante meraviglie in argento, veri e propri gioielli, ci sono amuleti più poveri, ma non per questo di minor valore. Tra i più incredibili, si segnala la famosa carta manoscritta trovata, alla sua morte, nello scapolare della strega Conti, in Toscana, databile intorno alla fine dell’Ottocento.
Un elemento sonoro, di grande effetto, accompagna il visitatore lungo il percorso espositivo. Voci, sussurri e grida strazianti, evocano antichi rituali e, attraverso le parole della drammaturga Magdalena Barile, dando voce alle streghe stesse, che raccontano le proprie storie, dalla prima vocazione, sino alla piena realizzazione di sé, grazie all’uso della magia.
E di particolare interesse locale è una sala, dedicata a Gentile Budrioli, “strega enormissima di Bologna”, la cui storia è narrata in mostra attraverso immagini e video.
Nata nella seconda metà del 1400 a Bologna, da buonissima famiglia, Gentile Budrioli sposò un ricco notaio e ne ebbe sette figli, ma riuscì ugualmente a coltivare il suo interesse per la scienza, frequentando le lezioni di astrologia di Scipione Manfredi ed apprendendo le doti curative delle erbe da alcuni frati francescani. Con il tempo acquisì una tale competenza medica da venire chiamata da Ginevra Sforza, moglie di Giovanni II Bentivoglio, signore di Bologna, per curare sua figlia. Il successo della cura fece nascere un’amicizia tra le due donne, che permise a Gentile di scalare rapidamente i ranghi della città, attirandosi inevitabilmente invidie e gelosie. Tanto che quando riuscì nuovamente a curare un figlio di Ginevra e Bentivoglio, fu accusata da alcuni cortigiani di essere stata lei stessa a causarne la malattia ed arrestata per stregoneria, venendo infine messa al rogo dopo infinite torture.
Accompagna la mostra due volumi di Luca Scarlini. Il primo, edito da Skira, è concepito come un racconto sulla strega, e il secondo, pubblicato dalla casa editrice Vertigo Bastian Balthazar Books è invece dedicato a storie di streghe in Emilia ed in Romagna e illustrato dall’artista italiana Blackbanshee.
E infine ecco le sale immersive che cercano di rendere il visitatore parte attiva dell’esperienza, coinvolgendoli in una sorta di processo, seduti al banco degli imputati e messi al centro del serrato fuoco di terribili accuse dell’inquisitore e delle risposte, sempre più sfinite, della donna processata disposta a confessare fatti osceni pur di mettere fine alla tortura.
E una seconda sala immersiva composta da specchi, luci e un podio centrale su cui è poggiato il Libro delle Ombre, strumento fondamentale di ogni vera strega. Armati di penna e calamaio, i visitatori vengono invitati a condividere per sempre i loro pensieri e i loro incantesimi personali con i visitatori che li seguiranno, in una condivisa performances visivo-teatrale che rende l’atmosfera ancor più curiosa e intrigante, in quanto è anche accompagnata da un impianto sonoro che rende l'esperienza di grande impatto emotivo.
Infine, la sala delle “Indomite”, con una vera e propria mostra nella mostra che presenta le opere dell’illustratrice bolognese Anna Paolini. 33 tavole, com cui l’artista racconta il suo personalissimo universo femminile, attraverso donne .
Intrepide e appassionate,che hanno dovuto lottare per sfamare la propria curiosità, per accedere alla conoscenza, per seguire le proprie inquietudini e dare sfogo alla creatività. O donne che hanno rifiutato il ruolo imposto loro dalla società e sono andate avanti per la propria strada a testa alta. Indomite, appunto come Santa Caterina de’ Vigri, fondatrice del monastero delle clarisse del Corpus Domini di Bologna, sua prima badessa ed oggi santa, la pittrice Artemisia Gentileschi, simbolo della lotta per l’autoaffermazione della donna, la pittrice e miniaturista Giovanna Garzoni, famosa per le sue opere incentrate sempre sul tema della morte; Maria Sybilla Merian, naturalista, pittrice ed entomologa, vissuta a cavallo tra il Sei ed il Settecento e infine l’astronoma statunitense Henrietta Swan Leavitt, a cui dobbiamo il calcolo della distanza tra la Terra e le galassie, in un quadro complesso che investe il nostro tempo e l'attuale dibattito contemporaneo.