Le antinomie materia e spirito, corpo e anima, terra e cielo, vita e morte, come anche realtà e sogno, assumono, se osservati da un certo punto di vista, dei contorni sfumati e, a ben vedere, posseggono una loro intima unitarietà.

Quasi tutte le civiltà, anche nel passato, hanno cercato di abbattere quella invisibile barriera che separa la realtà dal sogno.

Fra queste civiltà mi ha affascinato particolarmente la civiltà Huichol.

Gli Huicholes sono nativi americani della Sierra Madre Occidentale del Messico.

Fin dall'antichità utilizzarono il cactus allucinogeno peyote.

Il cactus, venerato come una divinità in quanto dispensa longevità, fortuna, salute, provoca uno stato di estasi quando viene ingerito, perché contiene mescalina; prima della festa sacra, gli Huicholes si sottopongono ad una serie di riti propiziatori e purificatori, ovverosia privazioni, grandi digiuni, abluzioni con acqua sacra, continenza e castità.

I miti degli Huicholes contengono la storia "cosmica", sotto forma delle gesta degli dei e degli antenati, gettando un ponte fra sacro e profano.

Una delle caratteristiche principali della loro religione consiste nell'associazione di mais, cervo e peyote, testimoniata dalle tante feste e dai rituali ad essi dedicati. Il mais e il cervo rappresentano l'ancestrale sostentamento vitale, mentre il peyote è il mezzo più importante per trascendere il mondo profano e la manifestazione più ovvia del sacro.

Pur senza mai citarli esplicitamente, l'antropologo peruviano, naturalizzato nordamericano, Carlos Castaneda, nei suoi dodici libri di formazione esoterica (che diventarono negli anni un "cult" e quasi un "must" tra i giovani post-sessantottini di tutto il mondo occidentale e di cui si vendettero ben otto milioni di copie), si riferisce proprio alla cultura dei Huicholes quando parla della sua iniziazione con il "brujo" (stregone, ma ancor meglio sciamano) indiano don Juan Matos.

Castaneda utilizza una terminologia propria, il suo pensiero è quindi legato a tali termini e alla spiegazione che se ne ricava dagli scritti.

Tra gli strumenti che un "brujo" avrebbe a disposizione, per raggiungere i propri obiettivi ci sarebbe appunto l'arte del sognare, cioè un modo di padroneggiare la dimensione del sogno.

Scrive Carlos Castaneda: «Ciò che noi crediamo essere unico ed assoluto, è solo uno in un insieme di mondi consecutivi, posizionati come gli strati di una cipolla». Egli affermò che anche se noi fossimo stati energeticamente condizionati a percepire solamente il nostro mondo, avremmo avuto ancora la capacità di entrare in quegli altri regni, che sono reali, unici, assoluti e ingolfati come lo è il nostro mondo.

Secondo Castaneda, il fatto più significativo nella vita di una persona è che non si rende conto di avere a disposizione altre "attenzioni possibili" (così lui le chiama), le quali andrebbero sviluppate. Incrementandole, arrivando cioè a "percepire", ad averne piena coscienza, disponibilità e controllo, l'essere umano, secondo lui, potrebbe arrivare addirittura a compiere una "morte alternativa".

Dopo un lustro di approvazione e successo, pur tuttavia, il mondo accademico voltò le spalle a Carlos Castaneda, sottoponendo il suo lavoro a una revisione aspramente critica. Qualcuno arrivò perfino ad affermare che il suo lavoro fosse copiato di sana pianta dal lavoro di un'altra grande antropologa, studiosa e partecipe diretta della cultura indiana Huichol, Barbara Myerhoff.

Il grande scrittore peruviano, non di meno, dopo avere descritto nel dettaglio le esperienze provate e vissute con l'assunzione di "Mescalito", come il suo maestro don Juan definiva il peyote, nel suo quarto libro chiarì che l'assunzione delle sostanze psicotrope (il peyote, ma anche la datura ed altri allucinogeni naturali) non era strettamente connaturata alla via della conoscenza, ma nel suo caso, si era resa necessaria a causa della sua testardaggine, ovvero della scarsa fluidità della sua intelligenza e del suo cervello (come gli spiegava don Juan).

Questo è per concludere l'aspetto che più mi preme sottolineare dell'opera e della personalità di Carlos Castaneda.

A ben vedere il tentativo e la ricerca di altre dimensioni ultraterrene è tipico di ogni civiltà. Anche i mistici cristiani, con il digiuno, la preghiera, la rinuncia alla carne e alle altre distrazioni, entrano in contatto con una dimensione estatica che gli consente di lievitare, di bi-locarsi e di separare la dimensione materiale da quella spirituale.

Lo stesso fondatore della religione cristiana, nonché Figlio dell’Altissimo, digiunò per quaranta giorni nel deserto. E non ebbe certamente bisogno di ingerire alcuna sostanza per vincere le sue battaglie. Il suo fu un digiuno totale. In genere i mistici cristiani non hanno bisogno di assumere alcuna sostanza, più o meno allucinogena, per entrare in contatto con la dimensione ultraterrena e/o divina, anche se qualcuno obietta che essi non potrebbero sopravvivere senza partecipare al banchetto eucaristico, vera e propria fonte di sostentamento spirituale. Lo stesso Siddharta, come ci insegna la tradizione buddista, viveva lunghi periodi di digiuno, preghiera e meditazione (ne parla anche Herman Hesse nei suoi preziosi romanzi).

E la religione Hindu riconosce poteri eccelsi a quei devoti che riescano a staccarsi dalla brama del possesso materiale e dalla soggezione ai piaceri della carne (come viene insegnato dalla tradizione, molti saggi, alla fine della loro vita, abbandonano le comodità della vita materiale e civile, per dedicarsi interamente alla preghiera e al pellegrinaggio, vivendo di elemosine).

Al di là di quelle che possono essere le convinzioni religiose personali, tutte rispettabili e degne di studio e riflessione, ecco quello che, a parer mio, bisognerebbe insegnare ai giovani: da un lato ciò che essi, incautamente, cercano nella droga e nell'alcool è una dimensione spirituale, diversa da quella ordinaria; dall'altro, che non c'è bisogno di assumere sostanze allucinogene per raggiungere dimensioni spirituali.

Questo grande equivoco (la necessità di assumere sostanze estranee per cercare un contatto con la divinità, con altre dimensioni non ordinarie), ha distrutto e continua a distruggere tanti giovani, come purtroppo apprendiamo dalle cronache quotidiane.

L'insegnamento, la cultura, il dialogo, dunque, più della cieca repressione, potrebbe salvare tante vite umana e restituire alla nostra civiltà una corretta dimensione spirituale, indispensabile per vivere pienamente la nostra vita.