Siccome sei tiepido e non sei né freddo e né caldo
sto per vomitarti dalla mia bocca…
Io quelli che amo li provo e li castigo.(Apocalisse 3,16-19)
Guai Guai Città potente dalla quale si arricchirono
dalla sua preziosità coloro che possiedono navi sul mare: in un’ora sola sei stata devastata…(Apocalisse 18,19-20)
L’Apocalisse è celebre per le sue immagini potenti e scenografiche, grandiose e terribili ma non si medita a sufficienza sul senso di insegnamento spirituale che ogni visione profetica reca. Viviamo nella società dell’immagine ma abbiamo perso la capacità e il gusto di entrare nel profondo delle immagini.
Ogni profezia ha senso prima di tutto quale insegnamento sapienziale e non quale predizione. Nessuno sa i tempi ma tutti possono attingere alla ricchezza mistica del libro più straordinario di tutti tempi, anche chi non è credente, in quanto si tratta di un’opera che parla all’essenza dell’uomo, che entra nelle profondità del perenne conflitto tra bene e male che connota ogni tempo storico. La visione di Giovanni è per tutti i tempi. Solo quando finirà la storia potrà dirsi compiuta e non più attuale. Premesso che l’Apocalisse è una “tragedia a lieto fine”, altrimenti non sarebbe opera cristiana, non appare inutile ragionare sulle differenti tipologie di male spirituale che vengono stigmatizzate e “messe in scena” nelle sue profetiche visioni. Il mistero del bene illumina l’enigma del male che possiede sì teologicamente una radice unica, la ribellione angelica di Lucifero, ma si esprime nella storia in differenti forme, tutte magnificamente riassunte dallo spirito mistico di Giovanni.
Ecco le forme essenziali del male che danna l’anima nella visione apocalittica cristiana, in un primo elenco:
- il male quale persecuzione dei credenti (gli idolatri, i figli delle tenebre, le due bestie diaboliche, Gog e Magog);
- il male quale corruzione della dottrina e della prassi della salvezza cristiana (I Nicolaiti, Iezabele, la dottrina di Balaam);
- il male quale falsificazione della fede (i falsi cristiani, la “sinagoga di Satana”); 4. il male quale mercimonio globale e inversione della scala naturale dei valori: “Babilonia” e il Potere quale malvagità (Ap. 6,15; 16,19; 18,13);
- il male quale seduzione anticristica e contraffazione della vera adorazione: la “Donna lussuosa sopra la bestia” (Ap.17, 1-6).
Queste tipologie di male spirituale grave, sociale quanto metafisico, si possono ridurre a due grandi famiglie: il male quale attacco esterno alla fede (la “bestia che sale dal mare”) e il male quale attacco interno di perversione-corruzione (la “bestia che viene dalla terra”). Già dalla prima parte dell’Apocalisse cioè dalle Sette Lettere in cui Gesù Cristo parla “cuore a cuore” alla Sua Chiesa di tutti i tempi per educarla e correggerla emerge una visione chiara del male quale “prostituzione”, cioè idolatria, in relazione oppositiva alla fede quale relazione sponsale di fedeltà d’amore dell’anima con Dio, e del male quale “anomìa” in relazione implicita con la tavola di riferimento dei Dieci Comandamenti mosaici.
In questo senso il male appare sia quale seduzione che nella forma della persecuzione nella figura di Iezabele (Ap. 2,20) che sembra anticipare la figura scandalosa della “Prostituta” apocalittica, cioè “Babilonia”: una figura affascinante che perverte la fede alterandola in una pratica spiritualista immorale e deviante.
Il “Male dentro la Chiesa” quindi è presente fin dalle origini delle comunità dei credenti: sui sette tipi di Chiesa delle “Sette Lettere” solo la “Chiesa di Smirne” viene considerata fedele dal Cristo quale Chiesa di martiri e perfino la “Chiesa di Efeso” (seppur sede della casa di Maria e Giovanni) viene criticata per un certo raffreddamento della grazia iniziale. Il male peggiore non sembra quindi quello delle persecuzioni che producono i martiri ma quel male più subdolo e sottile dato da coloro che si dicono cristiani o apostoli o israeliti e invece celano una natura falsa e malvagia (Ap. 2,2; 3,9).
Per non parlare della colpa della “tiepidezza”, massimo male, che viene denunciata dal Risorto con parole di fuoco date dall’immagine del vomito.
In questo c’è una logica: la colpa dei fedeli che si pervertono è peggiore di quella dei pagani che non hanno ancora compreso la grazia della salvezza di Cristo. Simile il ragionamento di Giovanni nelle sue lettere quando parla di molti “anticristi” che sono usciti dalle comunità cristiane (1Gv.2,19) e la predicazione di Paolo in tema dello spirito di opposizione al Cristo quando parla di un “mistero di malvagità” già in azione che corrisponde ad uno spirito di contraffazione dello Spirito Santo: uno spirito che è parodia del Cristo e mira a scalzarlo dalla sua centralità per diffondere l’adorazione di se stessi o di idoli (2Tess. 2,3-7).
Simile quindi l’analisi del peggior male nella sua essenza, quello anticristico, da parte dell’Apocalisse come della predicazione giovannea e paolina nel senso di una malvagità massima data da una sorta di compresenza tra una sostanziale “a-nomìa” morale e la superbia di un voler ergersi mettendosi al posto del Cristo nelle relazioni con gli altri e con Dio. Lo stesso male quindi nella sua essenza da una parte si finge un bene cristiano mentre in realtà distrugge la dottrina della salvezza (apoleias) e diffonde “l’apostasia”, cioè la ribellione-tradimento della vera fede, l’abbandono di un reale rapporto con il Cristo, fondamento della Chiesa e della Fede.
Al contrario ciò che più appare fragoroso nell’immaginario apocalittico non rappresenta un’espressione del male: i quattro cavalieri apocalittici sono infatti potenze angeliche che svolgono uno speciale e temporaneo ruolo comandato da Dio. Uno di essi, quello del cavallo splendente, è chiaramente una potenza benefica. Lo dimostrano i suoi segni: il colore della luce, la corona e l’arco e la vittoria ad esso associata.
Degli altri quello con il cavallo color fuoco reca un coltello sacrificale (makaira) che allude a sensi purificatori mentre quello sul cavallo scuro insegna a non sprecare olio e vino, segni della misericordia e della carità. Più spaventoso il cavaliere del cavallo pallido ma la Morte è nella teologia cristiana effetto e conseguenze del peccato e non male in sé.
I quattro cavalieri, quindi, rappresentano una fase di purificazione-castigo educativo che viene da Dio stesso quindi sono una forma, seppur estrema, di manifestazione della stessa misericordia di Dio a conversione dei malvagi e soddisfazione e protezione dei giusti, dei segnati da Dio (Ap. 6, 2-8). Neppure gli angeli delle sette trombe, dei sette flagelli e delle sette coppe possono essere considerati come forze malvage in quanto ministri della Giustizia di Dio contro i figli delle tenebre. I loro divini castighi non colpiscono i segnati da Dio ma solo i marchiati dalla bestia, al fine di suscitare una loro conversione, sempre possibile anche nei peggiori tempi apocalittici come si desume dal testo apocalittico stesso (Ap. 9,20; 11,13).
La visione di Giovanni spiega in perfetta chiarezza quale sia la fonte originaria e unitaria del male con l’immagine del grande drago, esposta quale reale e non allegorica nel capitolo 12. La chiarezza del testo non lascia adito a dubbi: il “drago” è satana, il serpente delle origini, detto “diavolo”. Questo essere mostra segni di parodia della natura di Dio: le sette teste e le dieci corna sembrano una contraffazione blasfema della sacralità del numero sette (i sette doni dello Spirito Santo, lo sguardo settuplice di Dio…) e della divinità del numero dieci nel Decalogo. Questo essere mostra subito la sua natura totalmente malvagia: è omicida (senza ragione), induce in errore le anime e i popoli, e perseguita i cristiani fedeli. La sua ribellione prima si rivolge contro Dio direttamente e contro il Suo Cristo (infante) e, poi, impotente nel primo tipo di attacco, si rivolge rabbiosamente contro i cristiani (Ap.12, 13-18).
Non è un caso che la visione del diavolo si conclude con la descrizione del suo “fermarsi sulla spiaggia del mare” e proprio dal mare sale e giunge la prima bestia diabolica-anticristica (Ap. 13,1). Il “mare” in senso biblico appare immagine del male cosmico, del caos, dell’instabilità di chi è lontano da Dio. Israele è civiltà di terra, con l’unica breve parentesi delle alleanze salomoniche.
La “bestia che sale dal mare” compare per la prima volta quale essere abissale durante il ministero dei due Testimoni (Ap. 11,7) e tale essere possiede gli stessi attributi del diavolo in quanto sua diretta espressione: sette teste e dieci corna oltre a mostrare una “natura innaturale” e ibrida: la ferocia della pantera, la forza dell’orso e l’orgoglio del leone. Si tratta di una forza, di un potere o di una persona umana? Si tratta di una persona umana potente guidata direttamente dal diavolo e questo lo si ricava chiaramente dal medesimo testo apocalittico nel celebre passo in cui si parla del suo nome-numero, che è “nome d’uomo” (Ap. 13,18).
L’azione della prima e principale bestia apocalittica appare coerente con l’azione del diavolo del capitolo 12: persecuzione dei cristiani e degli oppositori, il porsi come una sorta di “bestemmia vivente”, il voler imporre a tutti l’adorazione di se stesso come fosse Dio. La seconda bestia anticristica possiede due corna come di agnello ma “parla come un drago” (Ap. 13,11). Si tratta del “falso profeta” o “falso agnello” che recita fraudolentemente l’immagine dolce del Cristo per meglio ingannare e sedurre gli spiriti. È come se il potere della prima bestia e la sua potente forza non bastasse a vincere i popoli e le anime e allora il diavolo invia questa seconda persona per far vincere la prima bestia con l’inganno di falsi miracoli, tra cui un idolo parlante e con l’astuzia dell’imporre la “marchiatura” anticristica.
Ogni azione della seconda bestia è finalizzata a favorire il trionfo della prima. Il tema della bestia torna nella descrizione della penultima forma di male che compare nell’Apocalisse: la “donna-città”, contraffazione parodistica della Gerusalemme celeste e della vera Donna: la Madre-Vergine del capitolo 12. Questo essere non è una persona ma viene presentato come un sistema di potere elitario, tirannico e spietato che unisce lusso e raffinatezza a crudeltà e schiavismo: le merci che commercia la “regina dei potenti mercanti” sono tutte merci di lusso, raffinate, ma pure “le vite e i corpi” umani, mercificati completamente (Ap. 18,13). Tema assai attuale!
L’Apocalisse dedica molto spazio nella descrizione di questa forma sociale di male: essa “siede” sulla bestia diabolica dalla sette teste e dalle dieci corna, è vestita di oro, porpora e perle, reca una coppa piena di vizi, errori e dissoluzioni, e viene descritta in modo inquietante come “ubriaca del sangue dei martiri”.
Un potere che sacrifica tutti a se stesso ed è causa della strage dei migliori cristiani. Il nome blasfemo che reca sulla fronte và apprezzato in opposizione con la divina segnatura degli eletti e con la simile marchiatura dei figli delle tenebre (Ap. 7,3; 13,17).
Lo stesso segno della coppa, usato divinamente dai sette angeli che distruggono il dominio anticristico, svolge un ruolo parodistico e ribellistico nell’immagine della “donna-città”. L’insegnamento è costante: il male non ha radice in se stesso; vampirizza il bene, lo scimmiotta, e si pone quale “bene invertito, pervertito”. Se nelle liturgie celesti gli angeli usano recipienti sacri offerti a Dio sulla “terra che si ribella al cielo” il potere di Babilonia brandisce una coppa che è dannazione dell’anima, accecamento, furore, oscurità. Il senso del mistero d’iniquità, da vertigine, è semplice quanto problematico: non c’è una logica nel male ma una scelta ostinata la cui essenza è il volersi “mettere al posto di Dio”.
C’è una perversa grandiosità nella visione apocalittica della “potente città” tanto che persino Dio la menziona in cielo ad un certo punto, ad indicare che il suo male è cresciuto fino da non poter ignorato dall’alto dei cieli (Ap. 16,19).
Simile l’accecante e perverso splendore dei “regni della terra” che il diavolo mostra a Gesù nel deserto delle tentazioni per tentare di indurlo ad adorarlo.
L’importanza storica e spirituale della forma babilonica del male si comprende dall’ampiezza della sua presenza nel testo: dall’annuncio anticipatorio della sua caduta (Ap. 14,8) alla conclusione delle sette coppe dell’ira di Dio che ne distruggono del tutto il potere (Ap. 18,24): si tratta di ben cinque capitoli dell’Apocalisse, circa un quarto della visione! La “donna” è l’anti-donna.
La donna che rifiuta il dragone “domina sulla luna” e reca la vita (Ap.12,1) e così la “donna che siede sul dragone” domina sulle acque dei popoli e reca la morte (Ap. 17,1.15), immagine di una “prostituzione totale”, cioè di un radicale spirito di traviamento, violenza, inganno e ribellione a Dio.
I sette flagelli, le sette coppe dell’ira di Dio si scagliano contro Babilonia quale dominio anticristico, cioè insieme del potere e degli uomini marchiati dalla bestia diabolica. Babilonia nella descrizione della sua rovina finale, carcere di spiriti immondi e rogo che fuma nei secoli, appare chiara e speculare immagine oppositiva della Gerusalemme celeste, il cui oro e le cui perle e pietre preziose sono autentiche, divine e non frutto di sangue e violenza. Il “mistero della donna e della bestia”, che compaiono e scompaiono nei secoli, è il “mistero di iniquità” di cui parla San Paolo.
Ma il male è divisivo e contraddittorio, anche nel suo intimo e nella sua più profonda essenza, e infatti verso la fine della loro storia i maggiori poteri di malvagità (la bestia e la donna che siede su essa) si dividono e Babilonia viene attaccata dalla stessa bestia anticristica che l’ha esaltata e sorretta fino ad allora: “le dieci corna che hai visto e la bestia queste odieranno la prostituta e la renderanno desolata e nuda e divoreranno le sue carni e la bruceranno nel fuoco” (Ap.17,16).
Il crollo di Babilonia segue quindi due fasi: un’implosione interna e alla fine il castigo divino. Alla sconfitta definitiva e totale della potente città che dominava su tutti i re della terra segue la cattura divina delle due “bestie” anticristiche (gettate nell’inferno, vive) e il felice “regno dei mille anni” che sarà un’epoca storica contraria a quella babilonica (19,20-20,4).
Dopo il regno cristico millenario si avrà un’ultima manifestazione storica del male: Gog e Magog quali nazioni aggressive guidate direttamente dal diavolo e che cercano di distruggere Gerusalemme, accerchiandola (Ap. 20,7-10).
Gog e Magog non vengono ulteriormente descritte, come fossero una massa indistinta, ottusa, bestiale, sub-umana. Si accenna solo alla loro immensa quantità e il senso della narrazione apocalittica esprime velocità e immediatezza. Sconfitte da un fuoco celeste queste ultime forze anti-Dio si compie l’ultima liberazione divina: la cattura del diavolo e il suo definitivo e perenne imprigionamento nell’inferno. Solo allora si apre la scena grandiosa e irrevocabile del Giudizio Universale. Non possiamo dire che la Luce dell’Apocalisse non conosca il male o lo sottovaluti o non ci metta in guardia!