In molti ci dicono di aver visto una sirena, e si tratta di persone che non hanno alcun rapporto tra loro. La descrivono come una figura metà giovane donna e metà pesce, che salta come un delfino e compie acrobazie prima di scomparire. Natti Zilberman, Kiryat Yam – Haifa, 2013
La mitologia è la religione del fantastico. Napoleone Bonaparte, Conversazioni sul Cristianesimo
Parafrasando quelle frasi celebri che i pistoleri dei film di Sergio Leone talvolta ci regalano possiamo dire che gli uomini si dividono in due categorie: quelli che credono nel ricordo delle sirene e quelli che credono nell’oblio delle sirene. La paura del ridicolo è uno dei canoni ideologici della modernità quale Mito. Un tempo cioè non le studiavano in quanto nessuno metteva in dubbio che esistessero e venissero avvistate, qualunque cosa fossero, mentre l’Illuminismo settecentesco convinse le masse a dimenticarle e convinse pure la scienza a non studiarle neppure.
Il risultato conseguente si apprezza nei termini di una forzosa e artificiale rimozione e ciò che è stato forzatamente rimosso di solito ritorna. E infatti non solo ritorna l’interesse alla sirena quale fatto culturale, immaginale, antropologico all’interno di un più generale ritorno di interesse per il fantastico e il misterioso ma ritornano persino gli avvistamenti delle sirene. Il 2013 sarà ricordato come l’anno del ritorno delle sirene e con esse del loro Mito. Anche a livello culturale le Sirene sembrano veramente riemergere dall’oblio fra mostre come quella del Museo archeologico di Modena e quella in corso al Castello del Buon Consiglio di Trento, e recenti importanti saggi come quello dell’antropologa Elisabetta Moro, l’opera esauriente di Bettini/Spina e le ricerche della vulcanica Loredana Mancini, senza dimenticare il divertente e dotto volume del biologo Emanuele Coco.
Personalmente non nascondo la mia emozione quando ho potuto osservare da vicino il reperto antico conservato presso il Museo di Storia Naturale di Milano. Un “sirenino/a” di poche decine di centimetri con testa simile alla scimmia, denti e pinne di pesce e unghie simili a quelle di un volatile. La postura è sempre quella “recitata”, drammatizzata, di tanti analoghi reperti museali. Ma è proprio la “messa in scena” della finzione a generare un’emozione condivisibile, pura, esperibile ancor oggi in una sorta di efficacia intensa in quanto “ab-soluta”, velleitaria, arbitraria. La “Sirena”, in quanto fatto performativo, irrelato, scompagina i confini fra scienza e fede, fra ragione e sentimento, fluidificandoli.
La scienza è spesso questione di fede, almeno a livello motivazionale. Ancora oggi gli esperti di zoologia e di paleontologia si sono limitati ad un'osservazione esterna dei reperti e non sono state ancora compiute (incredibilmente) analisi di laboratorio. Il sacro pudore a trattare delle sirene resta più forte del sacro zelo della scienza. Una scienza desacralizzata non può interessarsi a un monstruum desacralizzato quale è la sirena. Se il concetto di ritorno appartiene strutturalmente al racconto mitico, e in questo ci suffraga anche filosoficamente Mircea Eliade (Il mito dell’eterno ritorno), oggi assistiamo comunque ad un fenomeno narrativo rarissimo: la ricomparsa di un fenomeno mitico, le Sirene, a livello di avvistamenti e senza un clima evocativo specifico in corso.
Ma c’è di più. I reperti di Sirene conservati nei vari Musei del mondo (da Londra a Boston passando per Milano, Modena e Venezia…) ci mostrano come dicevo degli esseri “bruttini” con testa scimmiesca e coda di pesce, e questo “modello visivo” corrisponde sia a certi recenti racconti di avvistamenti (narrativi e filmati) che alle fonti letterarie degli ultimi secoli. E’ proprio quindi la coerenza percettiva e rappresentativa diacronica a rappresentare un fatto inquietante ed intrigante. Ripeto l’ovvio: qui non interessa il discorso vero/falso in senso assoluto e logico ma interessano i cortocircuiti logici e i giochi del linguaggio e della visione. Se Cristoforo Colombo avesse avvistato una Sirena bellissima e assai femminile nell’aspetto allora avremmo avuto un’asimmetria, un anomalìa fra il contesto storico di Colombo, dove il mare è ancora popolato di mostri mitizzati, fra narvali, capodogli, balene e seppie giganti, e la percezione della “sirena” in chiave romantica e modernamente romanzesca (cioè filmica).
Colombo invece avvista una sirena/nereide bruttina, del tutto simile alle “sirene” comparse su you tube nel corso di quest’anno e raccontate dal 2001 in poi. Il terzo millennio si rivela un epoca non solo ricchissima di alieni/ufo ma anche un'epoca di riemersione del racconto mitico antico, unicorni compresi. Il fattore inquietante e destabilizzante aggiuntivo proviene dall’interrogazione sulle motivazioni che possono reggere una finzione sirenica contemporanea. Mentre i vecchi e antichi artefatti sirenici da museo possono tranquillamente rientrare nel contesto culturale dei collezionisti da wunderkammer e possono pure leggersi quali artefatti voluti in senso didattico e celebrativo per “sirene” non contestate nella loro esistenza, oppure spiegarsi anche economicamente nel senso di un “mercato delle rarità” mai in crisi, la finzione sirenica contemporanea stenta ad autofondarsi se non quando si autosmaschera quale manufatto della vanità/abilità di un artista in cerca di autopromozione, come nel caso eccellente di Juan Cabana.
La forza comunicativa del fenomeno “sirena” resta tuttavia costante per una sua inalterata “ambiguità genetica”, o meglio, “di genere”. Le Sirene cioè sono persone o animali? Si tratta di animali antropomorfi che possono anche rivitalizzare teorie darwiniane oggi abbastanza in crisi (nonostante le celebrazioni del 2009) ma ancora in voga negli anni 50/60 con la tesi della “scimmia acquatica” quale soluzione dell’enigma dell’”anello mancante”, oppure si tratta di esseri “ibridi” o “altri” che possiedono un’ontologia fumosa e “in divenire” che ricorda quella degli ufo/alieni? La forza comunicativa di massa del fenomeno sirenico trae alimento, come il femomeno, più celebre e di successo, dell’ufismo/alienismo, da simili ragionamenti e suggestioni in un comune scenario di critica allo scientismo e alla scienza quale moderno dogma e nuova religione sociale.
La scienza può escludere l’esistenza di Sirene se non ha mai veramente studiato i reperti e se non si occupa degli avvistamenti? L’obiezione di metodo funziona così anche per unicorni e ufo/alieni e mira a sovvertire le degenerazioni della scienza in ideologia razionalistica (critica giusta a livello di metodo) per poi però rischiare di tendere a sostituire il ruolo della scienza con la voglia di nuove mitologie, di nuove “uscite dal mondo” o ideologie di “rimitizzazione” del mondo. Secondo quest’ultimo scenario allora le Sirene possono essere funzionali allo sviluppo di scenari culturali amati dalle più svariate lobbies “new age” nelle loro varie declinazioni ambientaliste, collettiviste, panteiste/tribaliste che oggi percorrono la cronaca dei costumi e delle mode.
Per avallare questa ipotesi motivazione occorre però uscire dal discorso sirenico e fare una non facile analisi “esoterica” della società quale epifenomeno di sette e correnti occultistiche. Resta in ogni caso inquietante che Animal Planet (produzione Sky inclusa in Discovery Channel) produca una serie di docufiction possibiliste sull’esistenza delle “sirene” alimentando così a livello mondiale una nuova mania mitizzante. Il dettaglio ridicolo e imbarazzante di questa costosa docufiction si rivela facilmente nelle fattezze dell’ipotesi ricostruttiva delle sirene quali esseri viventi in quanto il relativo filmato ricorda notevolmente le fattezze dei visi degli abitanti di Pandora nel film Avatar. Mentre invece la sagoma del volto della “sirena” avvistata nei mari della Groenlandia ricorda i manufatti antichi dei Musei di Storia Naturale che ho prima citato. Che le Sirene nel terzo millennio si stiano trasformando (quanto spontaneamente non sappiamo) in un vero e proprio “avatar” in senso tenico-massmediale mi sembra evidente e il loro crescente successo è facilmente prevedibile.
A me basta osservare l’intrigante circolo linguistico/visivo: le sirene filmate sono ricostruzioni fittizie, cinematografiche, sulla base dei reperti museali, a loro volta artefatti, oppure sono tutte espressioni genuine di un genuino desiderio di visualizzazione che non può quindi non essere condizionato da una mai interrotta tradizione iconologica? In altre parole i recenti filmati (il migliore mi sembra quello del ragazzo che filma la sirena che poi fugge in una costa israeliana) sono la versione aggiornata della memoria di un mito che risorge dalla castrazione illuministica oppure si tratta di un'operazione studiata a tavolino da darwinisti mescolati a filosofi neomitologici “alla Roberto Casaleggio”, seguace della visione esistenziale panteista che si appella al nuovo mito “Gaia”? Non è forse un caso che lo “scandalo Sirene” sia stato citato addirittura nel Parlamento italiano da una deputata del M5S quale esempio di insabbiamento informativo ad opera del “Sistema”! Notiamo che i “sirenisti” utilizzano la stessa retorica antisistema e dietrologica propria degli “ufisti”. Chi viene censurato appare immediatamente credibile!
E allora sarebbe veramente inquietante quel programma di Animal Planet se ha editato, come sembra, siti web di scienziati avvistatori quali siti web fintamente censurati dal Governo Usa per accreditare come credibili gli avvistamenti di Sirene. Quale sarebbe quindi l'interesse politico alla rinascita delle Sirene? Distrarre l'opinione pubblica inebetendola in forme di pensiero funzionali al controllo delle masse e all'attenuazione di forme di critica e di antagonismo sociale? Oppure formare una nuova facilità "a credere" utile per la perpetuazione di una certa disinformazione di massa? Il motti di queste lobbies potrebbe essere: se credono alle Sirene possono credere a tutto!!! Capite che la forza della credibilità narrativa della Sirena deriva anche dal fatto che per smontarla bisognerebbe elaborare una complessa e defatigante teoria dei complotti.
I fatti performativi necessitano di molta energia per essere decostruiti. Quindi appare più facile accettare la Sirena come possibile! Non è geniale? Dopotutto lo scopo principale della scienza non è dimostrare la falsità dei racconti e un racconto resta di per sé performativo. Il metodo stesso della scienza la spinge nel tempo verso l’autoreferenzialità così che gli immaginari “altri” possono crescere indisturbati. La scienza quale sistema di potere tenderà sempre a non interessarsi di fenomeni come il racconto delle sirene o reperti di sirene in quanto se lo ponesse quale proprio oggetto di studio ne legittimerebbe l’importanza e l’interesse. Così facendo lo snobismo della scienza rafforza la perpetuazione di una mitologia sirenica, anche se solo a livello di ipotesi postmoderna o surreale. La riproposizione del fenomeno sirenico genera un “effetto Medjugorje” dentro la comunità della comunicazione dividendola fra tesi “ufficiali” e tesi “ufficiose”, a tutto vantaggio di quest’ultime, ovviamente. Può forse la scienza opporsi ad un fenomeno metamorfico?
Il pretesto con cui la Chiesa non vuole prendere posizione su Medjugorje è che il fenomeno sarebbe ancora in corso. Ma è una posizione logicamente senza senso. Esistono fenomeni sulla terra che possono dirsi del tutto conclusi? Se le Sirene fossero possibili quali fatti fenomenici accettati dai più significherebbe gettare alle ortiche due secoli di predominio dell’Illuminismo, cosi come accettare la verità di Medjugorje quale teofania significherebbe gettare alle ortiche 60 anni di Chiesa cattolica conciliare e postconciliare che ha abbandonato i temi escatologici e messianici. Ecco il vero motivo di uno “snobismo di metodo”.
Le Sirene sembrano tornare oggi in tutta la loro virtualità integrale, in tutta la loro ambigua e incerta fisicità. In tempi di incertezza e di ambiguità divenuta canone storico, modus esistenziale fra pluralità di modelli sessuali e crisi economica la anomalia genetica delle Sirene rilascia un senso di strana rasserenazione liberatoria. La rivincita dell’immaginazione e del sogno che hanno bisogno di una loro reificazione in simulacri? Nel 2004 il terribile tsunami portò la riemersione di altri racconti su reperti sirenici come se il cataclisma di dimensioni bibliche che sconvolse il sud est asiatico avesse smosso la dinamica profonda della coscienza collettiva, rimescolandola. Lo stesso assemblaggio degli artefatti da museo non scuote più di tanto la forza narrativa delle Sirene in quanto la stessa sirena è un assemblaggio vivente! Il Logos del Mythos assorbe in se stesso qualsiasi irrazionalità e “non senso” e in questo è forma universale e sempre più intrigante di quella della logica discorsiva e razionalistica.
Neppure la prova documentale e storica dei falsi reperti dell’American Museum e del Circo Barnum ha potuto fermare il successo ultrattivo del mito delle Sirene perché la tradizione del racconto continua incessantemente. Dopotutto cosa comporta che un reperto abbia una parte di pesce e una di scimmia? Non potrebbe essere un reperto illustrativo che rinvia ad una Sirena vera? Le parti artificiali non potrebbero esser state sostituite a quelle originali consumatesi nel tempo? Di cosa possiamo stupirci nell’epoca dell’ingegneria genetica dove il dna di un pomodoro è commisto a quello di un pesce? La teoria neodarwiniana della “scimmia acquatica” non è stranamente coerente con la tradizione di questi assemblaggi? Cosa può la ragione di fronte all’esplosivo cocktail fra ritorno evocativo del mito e “società della spettacolarizzazione”?
Il tema possiede la stessa paradossalità della discussione sulla veridicità del documento della Donazione di Costantino. Come ha ricordato Umberto Eco è difficile provare l’originalità di un documento in mancanza di un “tertium comparationis” e in assenza di un archetipo fisico condiviso e non discusso. Le critiche di Lorenzo Valla alla non genuinità del latino del celebre documento rispetto al latino costantiniano infatti non provano nulla rispetto alla realistica tradizione di riscrivere periodicamente i testi salvandone il senso a causa della degenerazione delle pergamene. Quando manca fisicamente o culturalmente l’”archetipo” in senso tecnico quale modello unico originario allora è difficile muoversi e valutare dentro un immaginario che diventa un labirinto il cui unico valore resta, e in senso “aperto”, quello semantico/narrativo. Prima di confrontare la “sirena” con i casi analoghi ma pure differenti degli “unicorni”, degli ufo e dei “nanetti da giardino”, al fine di meglio qualificare e precisare il fenomeno sirenico quale fenomeno culturale/linguistico/immaginale, accenniamo sinteticamente alla fortuna metaforica della Sirena nel corso dei secoli.
Il Cristianesimo ha “addolcito” i mondi sirenici e se da una parte li ha desacralizzati, come giustamente sostiene Cacciari, (ma i culti precristiani erano già stati ridotti a filosofie allegoriche dai neoplatonici) dall’altra il Cristianesimo ha risacralizzato e rimitizzato gli immaginati tramandati come quello delle Sirene. Come tutti i grandi simboli e gli emblemi più universali le Sirene hanno assunto un senso duplice e ambivalente: allegorie dei peccati, dei demoni, e dei vizi come la vanità, la lussuria e l’incostanza le ritroviamo a migliaia quale segno di forza e di sapienza nelle sirene che si tengono la doppia coda di tanti capitelli gotici e romanici e di tante candelabre di ingresso in abbazie, cattedrali, pieve. La Sirena medioevale più diffusa, quella bicaudata che si regge le estremità, appare chiara allegoria del dominio di se stessi, della sapienza quale autodominio spirituale, in quanto la pare ittica delle Sirene richiama le tempeste e la forza dei flutti. A Teglio (SO) nella Chiesa di santa Maria di Ligone si può ammirare un pulpito settecentesco in legno dipinto che mostra come cariatide una sirena a torso e seno nudo! E in tutta la montana Valtellina si rintracciano centinaia di sirene, spesso mescolate a satiri e centauri; dai palazzi nobiliari come Palazzo Besta ai santuari cinquecenteschi come quello di S. Maria di Tirano. Nel Duomo di Fano un bassorilievo dedicato all’Annunciazione mostra una felice sirena che brandisce un pesce, come a concorrere ad annunciare la prossima nascita di Cristo.
L’aspetto positivo della Sirene si apprezza anche nelle miniature medioevali che dipingono sirene che allattano dolcemente i propri figli. A livello di simbolismi teologici, sacramentali e mistici la sirena può configurarsi quale allegoria virtuosa in derivazione della cristicità del pesce. Se infatti il pesce fin dalle catacombe è acrostico (derivante dalla gematria ebraica) e ideogramma della divinità di Cristo allora la sirena si trasfigura facilmente nell’allegoria dell’anima rinata cristianamente dalle acque del battesimo di Cristo. Non solo: all’interno del Cattolicesimo europeo si sviluppa la tradizione alchemica e la sirena viene assunta ad emblema del mercurio alchemico e della stessa alchimia nel suo complesso quale esempio di conjunctio oppositorum e quale emblema di occulta sapienza. Carl G. Jung nella sua opera Psicologia e alchimia cita alcuni esempi di iconografica sirenica utilizzata in senso alchemico; esempi tratti da varie opere: dal Codex Urbanus Latinus, dove Dante e Virgilio sono trasportati da un centauro con la coda di serpente, una lanterna protocristiana con Giona la cui testa spunta dal pesce, immagine che sembra quella di una sirena, le melusine dell’Uraltes chymisches Werk (1760), le arpiette del Viatorium spagirycum, la sirena mercuriale con coppa e serpente (alla san Giovanni) dell’opera Figurarum aegyptiorum secretarum, e una composizione fantastica ibrida fra uomo/donna/uccello dall’Hexastichon in memorabiles evangelistarum figuras di Sebastian Brant che mi richiama alla mente la piccola arpia/sirena raffigurata nei Prodigiorum ac ostentorum chronicum di Corrado Licostene. In entrambe le figure compare un occhio egizio fra gamba e zampa, segno della compiuta trasformazione della sirena in un emblema sapienziale.
Una sirena con tre volti che reca sole e luna nelle mani, allegoria di tutta l’alchimia, compare nell’opera Clavis artis, di Zoroaster. Nella preziosa opera di Michael Maier Secretioris naturae secretorum scrutinium chymicum all’emblema XXXIX “Oedypus Sphynge superata & trucidto Lajo patre matrem ducit in uxorem” vediamo sullo sfondo della scena visualizzata ben due melusine. La Sirena alchemica giunge quasi ai giorni nostri con l’opera di ricapitolazione iconologica neotradizionalista compiuta dal “Fulcanelli” il quale abilmente legge come un saggio antico l’etimo del termine greco quale composto di seir (sole) e di (selen)enè (luna) risolvendo in modo geniale e apparentemente facile l’enigma del nome insieme all’enigma della natura sirenica, quale congiunzione delle due dimensioni cosmiche e basiche dell’Opus: quella solare cioè ignea e sulfurea e quella lunare cioè mercuriale.
L’immaginario del sole-luna mistico-alchemico è assai vasto e include quasi sempre la formula dell’androgino o della donna alata simile alla sfinge/sirena di cui abbiamo un ottimo esempio in una celebre illustrazione del Speculum sophicum Rodostauroticum di Theophilus Schweighart (1604) dove il nostro emblema sembra la sintesi allegorica della Tabula Smaragdina. La Sirena quale emblema virtuoso compare anche nella tradizione araldica: da Varsavia a Napoli quale stemma e reggistemma e in alcuni blasoni famigliari come per la famiglia dei principi Colonna il cui emblema sirenico viene riformulato dal celebre umanista Paolo Giovio quale allegoria morale di una forza che vince ogni tempesta e la Sirena vi viene descritta appunto con la duplice coda e posta fra due colonne (Dialogo dell’Imprese militari et amorose). Ma nella sua ricca tradizione iconografica medioevale/rinascimentale/barocca la sirena compare contemporaneamente anche quale semplice monstruum marino animale, come ad esempio nelle raffigurazioni dell’Anatomie universelle du corps humain (Paris, 1561) insieme ad un liocorno disegnato come un semplice quadrupede peloso con due lunghi corni, dissimilmente all’agiografia cortese e neoromantica.
Nei bestiari medioevali, mix di trattati naturalistici e saggi di emblematica, il tema della sirena quale allegoria della “tentazione”(già omerica prima che cristiana) ci dimostra come il suo aspetto metaforico e narrativo prevalesse già allora su una vera e propria fede nella loro esistenza. La sirena appare quale postulato immaginale che non viene messo in discussione ma neppure utilizzato diversamente se non quale pretesto narrativo per moralizzare sul mondo quale realtà sirenica, illusoria, ingannatrice. Nel bestiario di Philippe de Thaun la sirena viene descritta cantare durante la tempesta e piangere durante il bel tempo! Anche questa è una forma di razionalizzazione allegorica che non nasconde alcuna demonica inversione ma semplicemente si rivela un corollario della metaforicità marina della sirena quale emblema dei flutti agitati. In altri bestiari come quello di Gervaise, nel Bestiaire d’amours di Richart de Fornival, e nell’Acerba di Cecco d’Ascoli, compare però un altro elemento, più interessante, e che appare in piena continuità con la tradizione sirenica della Grecia arcaica: il potere di oblìo proprio del canto delle Sirene. Chi ascolta questo canto si addormenta e le Sirene ne approfittano per ucciderlo per dilaniamento, in un modo quindi simile al rito del dionisiaco sparagmòs.
Nella ricerca dell’essenza archetipale della sirena all’interno della struttura iconologica dell’arte possiamo rinviare ad alcuni riferimenti interessanti di “sirena/non sirena” che presentano una spazialità e una connotazione immaginale simile: l’emblema egizio del disco alato del sole con duplice ureo (es: Trono di Tutankhamon) accostato all’Ankh e alle raffirazioni divine ornitoformi; le raffigurazioni orfiche di Fanete (Duomo di Modena), l’ermafrodita alchemico del Trattato sull’alchimia attribuito a Tommaso d’Aquino nel manoscritto di Leida (1520), Ecate triforme con in mano un fallo, una fiaccola e un serpente (Roma, Museo del Palazzo dei Conservatori) e la figura nuda che regge un grande pesce a forma fallica di un vaso greco connesso con la festa delle Alòe in onore di Demetra (Deubner, Feste Attiche, 1932). Forse per questo l’immaginario sirenico resta “aperto”: perché già in tempi precristiani si erano persi i contorni della memoria a proposito dei differenti contesti delle varie feste orgiastiche/oracolari che poi si ripartirono fra Demetra, Hera, Athena e Afrodite.
Ritengo infine esista anche una matrice ebraica della Sirena, non solo per quei passi biblici dove si parla di un enigmatico essere desertico, ma soprattutto per quelle raffigurazioni sireniche dell’antico culto di Lilith, frutto di una contaminazione ebraico/babilonese. Non a caso Melusina, la versione della Sirena quale Fata e quale essere serpentino, si trasforma nella sua vera apparenza solo di sabato. Ragionando sulla spiritualità saturnina e sabbatica nel medioevo mi sono facilmente accorto di come la dimensione sirenica sia assai simile al tipico immaginario saturnino, misticamente approfondito nelle elites culturali israelitiche. Testi come il Commento al Sefer yetzirà di Yosef ben Shalom Ashkenazi precisa dei toni, delle polarità e delle dinamiche psicomitiche che ci parlano ad esempio di oscurità, discesa nel moto circolare, fosse, caverne, grotte, abisso, passionalità, odori sgradevoli, ma pure, complementariamente, sapienza, conoscenza del futuro, uomini di mare. Un mondo magico di evocazioni, immagini ed influssi che alludono ad una dimensione superiore che resta indifferente alla componente fragile, inferiore e “deperibile” dell’esistenza e del cosmo e sembra quasi “attraversarla” o servirsene.
Tutto questo sembra adattarsi benissimo ai mondi sirenici. Per me tuttavia il fattore che turba veramente non è la tradizione narrativa sirenica o la possibilità astratta che esistano, magari come rari animali marini non ancora studiati e dalle fattezze vagamente antropomorfe. Il fattore di vero turbamento mi viene dal ricordo di certi dettagli del successo storico delle Sirene come la tradizione solidissima delle “polene” delle navi che di solito assumevano appunto la classica forma femminile sirenica. Pensare che fino alla prima guerra mondiale tutte le navi di una certa stazza montassero sotto il pennone una polena mi turba in quanto questa tradizione appare chiaramente comunicare un significato scaramantico e propiziatorio in relazione diretta con l’esistenza stessa delle Sirene quale pericolo da “ammansire” con un simulacro a loro gradito. Questo è l’unico senso possibile di una polena quale simbolo e probabilmente và combinato con l’altrettanto antica tradizione che vede le donna imbarcate portare sfortuna. Questa diceria potrebbe derivare coerentemente con il credere che un'altra donna imbarcata, oltre la polena, susciterebbe la gelosia irosa delle Sirene, esseri possessivi.
La sopravvivenza così radicata di antichissime tradizioni mi fa venire i brividi perché fà prendere corpo e carne al Mito ravvivandolo e avvicinandocelo, anche temporalmente. Ho provato ad indagare sul termine “polena” ma non sono riuscito a fare molta strada. Una sorta di misto fra pudore e disagio mi ha trattenuto. Un ulteriore dettaglio inquietante che si può aggiungere è la connessione linguistica fra il termine “polena” e la Polonia, la cui capitale incredibilmente ha come stemma una sirena guerriera che deriva da emblemi trecenteschi nei quali veniva raffigurata ancora in forma di volatile! Ultima traccia di una possibile origine nordica delle Sirene? Non è destabilizzante anche considerare il termine “sirena” quale indicazione di un suono acuto?
Ma il tema sirenico desta interesse anche da altri punti di vista culturali. Le Sirene, come gli ufo/alieni destano infatti questioni di tipo filosofico e teologico. Le Sirene occupano un ruolo postmoderno e metamoderno di supplenza metafisica rispetto alla della fede simile a quello che occupano gli “ufo” e gli “alieni”quali eidola di una nuova non impegnativa religiosità esoterica. La loro possibilità esistenziale non può infatti che continuare ad interpellare interrogativamente qualsiasi teologia o filosofia creazionista in quanto l’ambiguità del confine fra umano e animale o anche solo l’apparenza similitudine antropomorfa scuote le certezze in un ordine gerarchico dell’Essere e degli esseri. Se poi confrontiamo le sirene con gli unicorni questi ultimi si svelano meno mitici e fantastici di quanto sembrino rispetto alla speciale “alienità”, incolmabile, propria della sirena. Sebbene entrambi infatti abbiano in comune il carattere ibrido e mitico e il tema della devianza genetica quale loro possibile spiegazione storica, l’unicorno si è sempre ridotto nei secoli a due modelli ancora oggi percepibili e del tutto culturalmente accettabili: l’unicorno come emblema allegorico, prima di tipo cortese e oggi semplicemente fantasy o ancora araldico, e l’unicorno quale “caso di stranezza” naturalistica.
In questo ultimo senso la fenomenologia immaginale antica dell’unicorno non è identificabile esclusivamente con il cavallo ma spazia dalla capra al cervo e comprende anche descrizioni e iconografie aliene da canoni di classica bellezza e tale ampio percorso iconologico dell’unicorno appare inclusivo e aperto anche rispetto a recenti casi di devianza genetica spontanea o indotta da radiazioni che ha portato ad avere mucche, capre e cerbiatti con un corno solo o con tre corna! La struttura stessa dell’unicorno genera un immaginario più docile e permeabile in quanto si tratta di un mixtum animale, privo di quella enigmatica indeterminatezza fra persona e animale proprio della Sirena.
Un altro aspetto di similitudine dell’unicorno con le sirene è la sua comparsa nell’immaginario sacro cristiano come in quello alchemico. Nelle belle illustrazioni del Trattato sulla Pietra filosofale di Lampsprinck l’unicorno appare insieme al cervo quale allegoria delle trasformazioni del mercurio degli alchimisti. Il confronto fra ufo/alieni e sirene è culturalmente significativo invece nell’approfondimento della dialettica fra tradizione percettiva e dinamiche dei modelli culturali. C'è chi ha approfondito il tema del rapporto culturale, sociale e linguistico fra il fenomeno del "racconto degli ufo" e le numerose correnti teosofiche, esoteriche, settarie che attraversano la nostra società. Sembra che una buona parte del fenomeno del "mito degli ufo" (mito nel senso etimologico di "racconto" epocale) sia secondo questi studiosi riassorbibile nel connesso fenomeno del "contattismo" dove domina una dimensione psicologica/parapsicologica nella quale l'"adepto" racconta di avere un contatto telepatico con gli alieni. Dal contattismo all'apostolato di una nuova "religiosità aliena" il passo effettivamente è breve.
Mi ha colpito un brano assai interessante del saggio Extraterrestri. la radici occulte di un mito moderno (Enzo Pennetta e Ganluca Marletta, Rubbettino, 2011) che vale la pena citare interamente: " Secondo le ricerche effettuate da ufologi come John Keel e Jacques Vallee negli archivi dei giornali d'epoca, ad esempio negli anni 1896-97 gli Stati Uniti furono letteralmente investiti da una vera e propria ondata di avvistamenti di strane "aereonavi" (airship). La cosa più curiosa è che tali ondate avrebbero investito nello stesso periodo anche paersi come il Giappone, la Cina e l'Europa (...). Le caratteristiche di questi airship lungi dal rimandare al modello ipertecnologico degli avvistamenti post 1947, sembrano rimandare piuttosto a certe raffigurazioni presenti nei coevi romanzi futuristici: veicoli più simili al vascello di Robur il Conquistatore immaginato da Jules Verne che ai più recenti dischi volanti...".
Questa interessante analisi ci apre ad alcune riflessioni paradossali che possiamo sintetizzare nel seguente trivio logico: 1) cambia nel tempo la descrizione degli ufo perché sono frutto di illusioni e suggestioni soggettive connesse a correnti culturali esoteriche e ai mondi della sperimentazione parapsicologica, sono insomma una forma di spiritismo, e l’ufologia và ridotta al contattismo o addirittura al demonismo quale sua matrice. 2) cambia nel tempo la descrizione degli ufo quale fatto fisiologico perché la percezione non prescinde mai dalla mediazione culturale. Se mancano parole quali “astronavi” perché non ancora storicamente in uso allora non possiamo pretendere che nell’800 non si descrivano gli ufo come velieri 3) l’immaginario percettivo degli ufo cambia nel tempo perché c’è un evoluzione tecnologica degli ufo stessi! L’ipotesi n. 3 si può scindere in due sub-ipotesi: a) l’evoluzione tecnicologica degli ufo è indipendente dalla percezione umana 2) l’evoluzione tecnica degli ufo è avvenuta per gli uomini, da parte di chi gestisce gli ufo, qualsiasi cosa siano, per poter essere percepiti da loro. L’ipotesi n. 3 è connettibile alla teoria (a cui propendo) che vede gli ufo quali armi segrete delle superpotenze. Questa tesi di solito si apre al complottismo e alla fantastoria della scienza sulla scia di una nuova recente mitologia agiografica ed esoterista che celebra Einstein, Tesla, Fermi e Majorana quali segreti nuovi “alchimisti” di energie non convenzionali.
Un'ultima tesi massmediale sugli ufo li connette al viaggio nel tempo di cui iniziò a parlarsi appunto sulla scia della ricerca scientifica militare dell’immediato dopoguerra. In altre parole queste riflessioni che si predicano sugli ufo si possono applicare anche alle Sirene quali “esseri alieni endoterrestri” in quanto l’unica differenza fra Sirene e ufo deriverebbe appunto dall’habitat di provenienza: lo spazio (o laboratori segreti) oppure la natura. Il gioco della biunivocità del condizionamento fra percepito e narrato vale per entrambi. Il “boom” degli ufo si sviluppò dal dopoguerra in poi perché con i miglioramenti dei radar e lo sviluppo dell’aviazione ci furono più occasioni di avvistarli o perché è conseguenza dello sviluppo di una nuova mitologia fantascientifica? Simile domanda per le Sirene: nel passato le avvistavano più frequentemente perché la navigazione non era ancora tecnologizzata oppure perché la cultura di fondo era aperta ancora al mito e al fantastico? Le Sirene sono un insieme così ampio che comprende al suo interno il sottoinsieme degli unicorni et similia (draghi, basilischi, ecc.) e il distinto sottoinsieme degli alieni/ufo.
Possiamo poi precisare un altro insieme, meno vasto, che ha punti di coesistenza con l’insieme sirenico ed è quello dei “nanetti da giardino”, ultimi resti di fiaba e di mito in città del tutto desacralizzate, e con i quali le Sirene condividono la dimensione psicosociale del bisogno di una nuova mitologia quale tentativo di risacralizzazione dell’”ambiente umano”. Se analizziamo il fenomeno di idealizzazione neomitica di questi simulacri oggettuali che si tenta di trasformare semanticamente in feticci e talismani, possiamo apprezzare una dimensione presente anche nell’immaginario sirenico: la voglia di crederci, il gusto di parlarne, il piacere della celebrazione. La nostra società, semiorfana socialmente e ritualmente di Dio quanto di Marinetti, D'Annunzio e Dalì, sente un deficit motivazionale e rappresentativo dovuto dalla carenza di riti sociali, di liturgie condivise.
Negli anni '90 si sviluppa il “Fronte di Liberazione dei Nani da giardino”. Probabilmente deficitari delle consolazioni affettive che derivavano dalle ideologie alcune migliaia di “mitogoni” francesi e tedeschi, influenzati dalla svolta ambientalista e gnostica di parte del progressismo, si sono organizzati per sottrarre i nanetti e lasciarli nei boschi. Ne sono sorte fenomenologie sociali e cronachistiche fra denunce di furto e danneggiamento, crisi affettive di anziane solitarie che non capiscono e a cui mancano i loro beniamini, convegni a Parigi e devianze ulteriori della parte italiana del movimento che arriva anche a spaccare le statuette per “liberarne l’anima”, in un misto di goliardia e superstizione neopagana.
Ma da dove deriva tutto questo interesse ai nanetti? Una componente è politico/ludica e si motiva in un antagonismo no global contro la standardizzazione della Disney di un immaginario magico che si vorrebbe libero. Questa componente ama i nani “tradizionali” i quali a loro volta si fabbricano in Germania in scala industriale dal 1870 (la prima serie fù del 1847, di cui ne resta un solo esemplare, soprannominato Lampy) o comunque predilige forme artigianali di rappresentazione. Non posso nascondere che da adolescente li detestavo e avrei voluto distruggerli a fiondate. Oggi invece mi fanno tenerezza, anche quei nani tutti uguali “alla Disney”. Il nanetto da giardino riveste interesse perché deriva da una corrente culturale molto precisa che appartiene al Romanticismo e alla sua operazione di recupero sentimentale e fantastico del medioevo. In tale contesto ottocentesco nasce il concetto di “folklore”, sorge l’antropologia e lo studio comparato delle religioni e dei miti e vengono ristampati con successo inaudito libri seicenteschi come La Regina delle Fate di Edmund Spencer, archetipo del fantasy quale categoria della modernità, e il Regno segreto del reverendo protestante scozzese Robert Kirck il quale credeva nell’esistenza delle fate.
A proposito di Kirk la sua concezione delle fate/folletti è culturalmente chiarissima e assai attuale e si spiega nell’accogliere un tipo di spiritismo “intermedio” fra uomo e demone, in continuità con le concezioni precristiane che vengono da lui avvalorate con alcune citazioni di rari passi biblici la cui ambiguità si presta ad un uso strumentale. L’operazione di Kirk porta ad un cristianesimo sincretista, oggi molto di moda nel suo mescolare superstizioni popolari, folklore, residui pagani e probabilmente con Kirk cercava una giustificazione teologica/teogonica nell’assolutizzazione di quel passo biblico dove si parla di angeli decaduti, imprigionati sulla terra i quali si uniscono alle donne e insegnano loro la magia: i Nefilim (Gen.6,1.8 e Num 13,33) Tutto mi fà venire in mente il film Il piccolo diavolo con Benigni e Matthau. Non è un caso che Kirk “getti la maschera” sulla sua spregiudicata operazione di politica culturale quando accenna al carattere “rosacrociano” della sapienza elfica/gnomica. Anche la figura dello gnomo non a caso ha paternità illustri come l’alchimista e medico Paracelso che coniò dal greco questo neologismo, probabilmente influenzato dal mito alchemico dell’"Homunculus".
La valorizzazione dello gnomo boschivo assume quindi un ruolo educativo e mitopoietico preciso nella direzione di riorientare la società ai valori della natura, alla riscoperta delle tradizioni e delle saggezze antiche. Abbiamo vari esempi ottocenteschi anche in Italia come a Villa Valmarana. Un altro esempio, inquietante, di nanetti talismanici “da muro di cinta”, l’ho scoperto per caso l’anno scorso a Barbianello (PV) sul muro di recinzione di una villa davanti alla chiesa del paesino. Nanetti esoterici con strani ghigni e cappelli da gentiluomo di grandi dimensioni, collocabili, per la foggia del cappello, fra la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento. Gli stessi “Puffi” non a caso sono stati recentemente studiati, fra il serio e il faceto, alla ricerca di possibili significati esoterico/politici (La società dei puffi fra stalinismo e nazismo, Antoine Bueno) Non vestono dopotutto un berretto frigio, di origine mitraica e che venne utilizzato simbolicamente dalla rivoluzione francese? Il processo di diffusione/emulazione massmediale e culturale del nanetto quale emblema morale assume toni di autoalimentazione mediando fra la spontaneità e il marketing. Il fenomeno inizia almeno dieci anni prima del celebre film Il fantastico mondo di Amelie (che di cognome nel film fa: Poulain. Un accenno alle Sirene?) tuttavia è indubbio che questo ottimo film, assai premiato e di grande successo in Francia e Italia, abbia contribuito a implementare il fenomeno stesso.
Gli adepti del fecitismo gnomico sembravano dimenticati dai mass media quando una recente pubblicità di una grande azienda svedese di mobili, nella quale viene messa in scena la distruzione dei nanetti di gesso, li ha richiamati alla ribalta nella loro proteste contro questa violenza "antinanica"! Un'altra recente occasione di popolarità dei nostri feticci c’è stata a maggio di quest’anno alla prestigiosa fiera dei fiori del Chelsea Flower Show a Londra quando sono stati “presentati” e fotografati come una sorta di simbolici “ospiti d’onore”, passando così da fattori “rivoluzionari” al ruolo di partner dei mondi vip, secondo un consumato copione di legittimazione sistemica e spettacolarizzante. Come per le Sirene si ripropone la medesima insolubile domanda? Cui prodest? Domanda che va posta in merito alla componente non spontanea della diffusione sociale di questi nuovi modelli culturali. E’ semplicemente il business del fantastico che ciclicamente ritorna? Ponendoci però questa domanda usciamo dall’analisi fenomenologica del racconto mitico entrando nella sociologia, nella storia del costume e della società e nell’analisi (magari) dell’esoterismo contemporaneo.
Il nanetto utilizza la “forza del blasone” quale eloquente allegoria unita al bisogno psicosociale di ritualità e di appartenenza identitaria. Il primo aspetto si percepisce anche per la Sirena, la quale ha perso però la propria ritualità. Interessante è notare la voluta indeterminatezza dell’attenzione al “nanismo magico” in quanto i fans della liberazione delle statuine, che documentano con video e foto le loro imprese “libertarie”, non si pongono veramente il tema dell’esistenza del “piccolo popolo” in quanto il loro movimento di opinione e di sensibilità appare tutto concentrato nella dimensione della prassi evocativa e rimitizzante. Simile dimensione si riscontra per l’immaginario di Babbo Natale. E’ l’uso rituale e l’esperimento ludico e umano che a loro interessa. C’è’ chi ha piacere nel vestirsi da legionario romano e organizza rievocazioni, chi si applica al softair delle guerre simulate nei boschi, chi si veste di foglie nei carnevali nordici e chi ruba e libera nanetti da giardino. E’ il “come se” che conta in una sorta di yoga laico o di autosuggestione appagante. E allora la standardizzazione dell’immaginale (le statuine tutte uguali) è veramente nemica di questi esperimenti sociali.
Se per i nanetti il fattore fondamentale non sono i simulacri e neppure la loro immagine quale epifenomeno di un immaginario, ma il loro uso da parte degli “adepti”, e quindi al centro c’è l’Idea e il movimento collettivo (quasi acefalo e indifferenziato) per le Sirene la loro ambigua “entità” resta al centro della generazione del contesto. L’immaginario sirenico si mostra infatti dotato di canoni distinti in quanto veicola un'alienità che oppone una resistenza passiva, per ora, a usi neorituali o di appartenenza “giocata”. Se non sappiamo chiaramente cosa siano le Sirene, neppure a livello immaginale, non possiamo neppure strumentalizzarle a meno che le vogliano trasformare in icone dell’incertezza sessuale, in testimonial di nuovi generi sessuali. Assisteremo nei prossimi anni al sorgere di confraternite sireniche?
L’unica cosa certa nella loro ricezione attuale è che le Sirene come Mito avranno quale temibile concorrente la società stessa quale società dell’immagine, della fascinazione sirenica nel suo sostituto cinematografico e nella sua funzione reificante. Lady Gaga, Miley Cirus, sono Sirene nel senso antico ed esoterico del termine: usano segni, simboli e suggestioni tali da indurre a “trattenere” la mente in una sorta di collettiva, feticistica e reificata forma di venerazione neopagana. Se la Sirena è la promessa illusoria di una verità e di un bene i modelli sociali attualmente dominanti sono la promessa di una Sirena. Il mondo contemporanea appare “sub-sirenico” e in questo senso l’archetipo della Sirena torna di attualità. L’imitazione non si regge senza rievocazione di un modello, anche fossero le conchiglie kitsch di Lady Gaga frutto di un mix fra il circo/lunapark e la Nascita di Venere del Botticelli.
Riferimenti:
Il Libro delle Sirene, Meri Lao
La mania delle fate, Massimo Conese
Miti greci nell’interpretazione cristiana, Hugo Rahner
Cristo e la Sfinge, Romeo de Maio
Simboli della trasformazione, C.G.Jung
La pietra filosofale, Georges Ranque
Fuoco che non brucia, Massimo Marra
Il Regno segreto, Robert Kirk
La Regina delle Fate, Edmund Spencer
Gli ebrei di Saturno, Moshe Idel
Bestiari medioevali, Luigina Morini
Visioni del fantastico e del meraviglioso, prima dei surrealisti (catalogo della mostra)
Wunderkammer (catalogo della mostra)
Sangue di drago e squame di serpente (catalogo della mostra)