Tra le giovani eroine vittime delle persecuzioni dei primi secoli del cristianesimo, Lucia di Siracusa è senz’altro una delle figure che più hanno acceso e ancora accendono la fantasia popolare. La sua storia avvince per l’aura di fierezza e ardore che avvolge il personaggio, rivelando uno spirito femminile indipendente, ribelle, rivoluzionario rispetto agli stereotipi proposti dai cliché tradizionali della santità. Lucia è per noi modernissima perché ha sfidato regole che pretendevano di sancire il suo destino di giovane promessa sposa. Vuole appartenere a se stessa e non a un uomo, Lucia, e allo stesso tempo vuole essere tutta del mondo e per il mondo.
La leggenda che conosciamo ha inizio con un pellegrinaggio che la ragazza compie a Catania insieme a sua madre per venerare il sepolcro di Sant’Agata. Raccoltasi in preghiera, improvvisamente Lucia cade in uno stato di sonno profondo: una sorta di incubatio, simile a quella che si praticava nei templi pagani consacrati alla dea Iside o ad Asclepio, durante la quale Agata in persona le appare in sogno chiamandola sorella e predicendole il futuro martirio. Quella rivelazione segna lo svelamento di una vocazione ardente e irrinunciabile: la fanciulla decide di annullare il matrimonio già deliberato dai genitori e distribuisce ai bisognosi la sua ricca dote. Ma lo sposo rifiutato reagisce all’oltraggio con rabbia e la denuncia al prefetto, addebitandole un’accusa bizzarra, quella di essere “cristianissima”. Condotta in tribunale, Lucia si sottopone all’interrogatorio; poiché si ostina a non voler abiurare, viene condannata a prostituirsi nel postribolo della città, ma quando le autorità giungono a prelevarla, il suo corpo diventa pesante come pietra, tanto che risulta impossibile spostarla. Esasperato, il giudice converte la condanna disponendo che venga destinata al rogo, ma perfino le fiamme la lasciano illesa: la giovane resiste coraggiosamente e annuncia di voler essere luce per i credenti e guarire dall’accecamento della superbia coloro che ancora si trovano nel buio, esprimendo, con queste parole, la missione già presente in nuce nel suo nome.
Lei, che si proclama portatrice di luce, verrà onorata come patrona della vista e protettrice delle malattie degli occhi. La data del 13 dicembre, in cui la leggenda colloca la sua morte, consente di associare il culto di questa santa alle liturgie degli antichi riti pagani del solstizio, che prima dell’ufficializzazione del calendario gregoriano risultava anticipato rispetto alla data odierna. Ma in origine Lucia si appropriava innanzitutto delle funzioni taumaturgiche attribuite a Lucina, che nella tradizione romana era la dea che assisteva le partorienti, nonché una delle identificazioni di Diana, la greca Artemide, nell’esercizio di levatrice, dunque di divinità “che porta alla luce”. Ecco perché alcune letture insistono sulla connessione tra la venerazione di Lucia e un precedente culto di Artemide presente in epoca precristiana a Siracusa, dove, nell’isola di Ortigia, che è stata il primo nucleo della città antica, ancora oggi rimangono tracce di un tempio dedicato a questa dea.
La suggestione etimologica legata al nome Lucia ispirò senza dubbio anche la tutela sulle malattie degli occhi e sulla vista; tuttavia, è probabile che si tratti di una circostanza aggiunta in un momento successivo, così come è certamente tardiva la diffusione del racconto degli occhi strappati durante il supplizio, di cui i documenti più antichi non recano traccia. Anche l’iconografia che la raffigura nell’atto di reggere un piattino contenente i bulbi oculari è posteriore, pur rimanendo la più comune di questa santa. Lucia rinuncia simbolicamente alla vista fisiologica per acquisirne una spirituale; la sua cecità richiama l’oscurità dell’inverno, che la santa squarcia irrompendo con la fiaccola della viva fede nel momento più buio dell’anno solare, annunciando la vittoria della luce sulle tenebre. Il rogo del suo martirio è a tutti gli effetti un rogo solstiziale.
Il riferimento alla funzione taumaturgica resta un aspetto imprescindibile di questa rivisitazione simbolica. Ancora oggi, la spiritualità legata ai santuari mariani e al potere taumaturgico delle sante ci ricorda la grande forza di trasformazione degli archetipi, nei quali si è riversato un vastissimo materiale culturale; la sanitas promossa dai culti salutari pagani, nel momento della transizione religiosa è confluita spontaneamente nella salus sostenuta dal messaggio evangelico. Nell’intreccio fra vissuto mitico e patronato medico si è rigenerato l’archetipo del guaritore ferito, che ha ricavato forza e carisma dall’esperienza personale del dolore.
La mitologia, come la testa recisa di Orfeo, continua a cantare anche dopo la sua morte.
(K.Kerenyi)